Fare leva sui residui fiscali per sostenere la necessità del federalismo è sbagliato. Mostrano solo la redistribuzione dai territori con redditi più alti verso quelli con redditi più bassi. Come vuole la Costituzione, per garantire a tutti gli stessi diritti. Le responsabilità della politica.
Cosa sono i residui fiscali
Il tema della presunta ingiustizia fiscale sofferta dal Nord torna periodicamente, utilizzato per sostenere proposte, più o meno esplicite, di trattenere nelle regioni settentrionali le risorse altrimenti destinate a finanziare la spesa pubblica di un Sud inefficiente e sprecone. L’ultima occasione è offerta dall’aggiornamento al 2012 dei residui fiscali regionali della Cgia (l’associazione artigiani e piccole imprese) di Mestre.
Ma qual è il reale significato dei residui? Sono davvero eccessivi? E ha senso invocare la ripresa dell’impegno federalista per ridurli?
Come ci ricorda la Cgia, il residuo fiscale misura il saldo tra le entrate e le spese pubbliche regionalizzate, ossia la differenza tra l’onere medio che il contribuente sostiene per il pagamento di imposte e contributi e il beneficio che trae dalla spesa pubblica diretta al territorio di residenza. Il saldo risulta positivo in tutte le regioni del Nord (tranne il Friuli dove è praticamente nullo) e negativo per tutte quelle del Sud. La Cgia valuta il residuo della Lombardia in 53,9 miliardi di euro (5.511 pro capite). Quello del Veneto è di 18,2 miliardi (3.733 euro pro capite). Questi valori sono ritenuti troppo alti, sicché sarebbe necessario “riprendere in mano la riforma del federalismo fiscale, premiando i territori più virtuosi e penalizzando chi gestisce in maniera scriteriata la cosa pubblica”.
Redistribuzione fra territori
In un nostro recente lavoro, abbiamo ricostruito l’evoluzione storica dei residui fiscali dal 1951 al 2010, affrontando i problemi metodologici connessi al loro calcolo, causa principale della eterogeneità delle stime esistenti. A questo proposito, si può notare come i residui calcolati dalla Cgia siano molto ampi rispetto ad altre stime (ad esempio, di Giampaolo Arachi, Caterina Ferrario e Alberto Zanardi). Nella nostra ricostruzione, al 2010 il residuo pro capite nel Nord-Ovest era di circa 2.150 euro, di poco più di mille euro nel Nord-Est. Valori molto più elevati rispetto agli anni Settanta, ma in evidente decrescita dalla fine degli anni Novanta (figura1).
Prescindendo dall’entità dei residui, il loro «segno» non deve stupire. Le entrate delle amministrazioni pubbliche crescono con la base imponibile, più elevata al Nord, mentre la spesa pubblica è distribuita abbastanza uniformemente tra tutti i cittadini, titolari degli stessi diritti di cittadinanza. I residui riflettono dunque la redistribuzione tra individui con redditi in media più elevati al Nord e più bassi al Sud. A ciò si aggiunga che, per “promuovere lo sviluppo, la coesione e la solidarietà sociale e rimuovere gli squilibri economici e sociali” (articolo 119 Costituzione), risorse aggiuntive andrebbero destinate ai territori in ritardo di sviluppo (per alcuni anni, ciò si è tradotto nell’obiettivo programmatico di riservare al Sud il 45 per cento della spesa in conto capitale), un’ulteriore giustificazione della redistribuzione evidenziata dai residui.
In realtà, quale misura debbano assumere i residui dipende dalle preferenze della politica in merito al diritto all’accesso ai beni pubblici (e a quanto questo diritto possa essere limitato dalla capacità contributiva del territorio di residenza), oltre che dall’impegno per il riequilibrio territoriale.
Nell’esercizio condotto in un altro lavoro, deriviamo residui regionali «teorici», ipotizzando un prelievo fiscale commisurato al reddito medio regionale, una spesa ordinaria proporzionale alla popolazione residente e una spesa per le politiche regionali coerente con gli obiettivi programmatici. Il confronto fra questi residui e quelli effettivi (calcolati da Staderini e Vadalà) è sintetizzato nelle ultime due colonne della tabella 1. Solo il Piemonte risulta sensibilmente penalizzato come regione «eccessivamente donatrice». Il Sud, nel suo complesso, riceve quasi l’11 per cento in meno di quanto il criterio utilizzato implicherebbe.
La dimensione dei residui può essere quindi più o meno ampia, sia in un sistema centralistico che federale, a seconda della propensione della politica economica alla redistribuzione territoriale. Un assetto istituzionale efficiente (o meno) può certo influire su responsabilità fiscale, inefficienze e sprechi, come mostra l’esperienza italiana, dove il modello del decentramento senza responsabilità che ha ispirato l’istituzione delle regioni ha contribuito a una crescita incontrollata della spesa pubblica e di conseguenza anche dei residui (figura 1). Ma se il federalismo (e in particolare un buon federalismo) può rafforzare la virtù dei responsabili della politica fiscale, nulla impedisce che, anche in un contesto federale e virtuoso, i residui fiscali «ottimali» possano essere molto elevati, quando si attribuisca importanza adeguata alla realizzazione dei principi costituzionali di uguaglianza dei cittadini nell’accesso ai servizi pubblici e alla necessità di ridurre i divari regionali.
Note: 1 Il valore pro capite Italia corrisponde al dato stimato da Staderini e Vadalà (2009) per le entrate effettive; 2 A partire dai dati di spesa pro capite stimati da Staderini e Vadalà (2009), si sono calcolati i valori totali. Il totale Italia è stato ripartito tra Mezzogiorno e Centro-Nord in coerenza con l’obiettivo programmatico (rispettivamente 45 e 55%) e la spesa così ottenuta è stata ripartita tra le regioni applicando la distribuzione regionale della spesa effettiva; 3 questo capitolo di spesa è ripreso da Staderini e Vadalà (2009) senza correzioni; 4 il dato pro capite Italia è imputato ad ogni regione e macroripartizione; 5 i residui fiscali effettivi sono quelli stimati da Staderini e Vadalà (2009, pag. 602, tav. 2); 6 scostamento % del residuo effettivo dal residuo teorico: sono penalizzate le regioni che contribuiscono alla redistribuzione più di quanto dovrebbero (eccesso di residuo > 0); 7 scostamento % del residuo effettivo dal residuo teorico: sono penalizzate le regioni che ricevono meno di quanto dovrebbero (difetto di residuo > 0).
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Alessandro Garilli
Probabilmente l’autore manca di obiettività sulla destinazione della spesa pubblica: sprechi, assunzioni, organici sovradimensionati devono essere foraggiati da chi invece cerca di mantener maggior rigore?
Giuseppe Rallo
Devo dire che rimango sempre stupito della considerazione che danno i media alla “CGIA di Mestre” come se fosse un centro studi di livello internazionale, è semplicemente la lobby degli artigiani del nordest, tutto ciò che pubblica non deve far altro che seguire una tesi: “al Nord ( in particolare nel Nord Est paghiamo troppe tasse”, provate ad andare nel loro sito, esistono ricercatori, economisti, o studiosi “certificati” ? Non se ne parla. Quest’ultima ricerca è l’ennesima riprova della assoluta sufficienza con cui elaborano le loro tesi. Aggiungo alcune cose a quanto scritto dagli autori: 1) La sede legale e la residenza degli industriali e della maggior parte dei lavoratori è al nord ( ma i fatturati li fanno anche con le vendite al sud) è assolutamente logico che le imposte vadano alle regioni del nord; 2) La spesa in conto capitale del bilancio dello Stato italiano negli ultimi dieci anni è stata all’incirca del 75% al nord e del 35% al sud; 3) I trasferimenti alle imprese, stiamo parlando di 10 miliardi l’anno vanno quasi tutti alle imprese di Stato, ad esempio le Ferrovie che investono esclusivamente nel nord Italia. P.S. per Alessandro Garilli quando parla di maggior rigore si riferisce ai 30 miliardi del Mose di Venezia, oppure agli appalti dell’Expo di Milano, per non parlare della TAV….ma per favore!
bob
….nella bolgia della mediocrità in cui da 30 anni a questa parte è caduto il Paese cosa si aspettava? Essendo un piccolo imprenditore sono allergico per esperienza alle ” questioni” sia Sud che Nord, non sono altro pane ricco per il “politicchiucchi” e ” biada grassa per il popolino” . Solo un dato è Incontrovertibile, anche considerando il periodo storico, questo Paese è cresciuto dal dopoguerra agli inizi degli anni ’70 con il concetto di sistema-Paese. Dopo il disastro! Iniziato con il ’68: distruzione della cultura e della scuola. Anni ’70: le Regioni e fine del sistema-Paese. Gli anni ’92 colpo finale: la distruzione di una intera classe politica per far e posto a miseri masanielli. Un Paese che non ha capacità critica e memoria storica è un Paese destinato a fallire. Come chi fa impresa che tralascia i dati storici per valutare le strategie future. Pensare soltanto che da Malagodi a La Malfa – padre siamo passati al “falegname” Bortolussi spiega la tragedia molto più di analisi e concetti di parte
paolo forin
Concordo con il commento precedente ed osservo che ipotizzare un qualsivoglia criterio di redistribuzione per dimostrare che il Sud riceve meno di quanto ne risulta è un puro esercizio accademico.
Inventiamone uno che dimostri che Il Veneto riceve meno, ha lo stesso valore (cioè nullo), e la conclusione è opposta
ANDREA
Il sud lo ha rovinato l’assistenzialismo politico a danno del nord..quindi due piccioni nella pentola..nord e sud….è la politica e la burocrazia la rovina dell’Italia..il sud avrebbe mille potenzialità inespresse, lì in mezzo al mediterraneo…il federalismo è necessario perché sinonimo di responsabilità degli eletti di fronte ai propri elettori e maggior controllo!!!
bob
“Il sud lo ha rovinato l’assistenzialismo politico a danno del nord”. Vai a vederti i dati di chi ha utilizzato la Cassa per il Mezzogiorno e con quali modalità. Il Federalismo si fa dove le dimensioni lo consentono non in territori con gli stessi abitanti di 2 condomini di Roma…altrimenti è creazione e spartizione di poltrone inutili oltre che di localismi e clan familiari.
Marco
Le vostre conclusioni non sono quelle del prof. Ricolfi nell’immenso sacco del nord. Ovviamente non mi convincete (sono sulla stessa lunghezza d’onda di Andrea e Forin) ma mi piacerebbe vedere una discussione approfondita sul tema.
bob
…Ricolfi? Il Piemonte come territorio è stato il maggiore usufruitore della Cassa del Mezzogiorno (leggesi FIAT) il 60% del sistema produttivo del territorio girava intorno alla FIAT (sub-fornitori- servizi- logistica etc) . La politica è il dibattito dovrebbe analizzare dati e progetti all’intermo di un sistema – Paese ( come fanno i Paesi seri), invece si preferisce trovarsi un “alibi” o un ” nemico” e lavarsi la coscienza ma perdendo di vista la realtà che inesarabilmente non fa sconti a nessuno
marco
Bob e quindi? Era un sistema artificiale che e’ scomparso (ormai Fiat finalmente compete Nell agone internazionale) ma tutto il parassitismo e clientelismo generato dalla politica al sud con la colpevole connivenza del popolo del sud stesso rimane tutto! Se non si correggono queste distorsioni (il parassitismo che distrugge ogni possibile buona allocazione delle risorse al mezzogiorno) non si va da nessuna parte. Ricolfi lo ha magistralmente dimostrato nel suo libro.
jorge
Il trasferimento di risorse da Nord a Sud Italia non ha paragoni, per dimensioni e durata, a livello mondiale. I risultati sono stati pessimi: nessuna convergenza su produttività e sviluppo, focus delle migliori risorse del Sud verso la appropriazione di risorse pubbliche invece che verso iniziative imprenditoriali, soffocamento delle stesse potenzialità produttive del Nord a causa di oneri insostenibili. Con un terzo del paese che consuma ma praticamente non produce la conseguenza è il declino graduale dell’intero paese: i paesi nostri concorrenti sono ben contenti della palla al piede che si ritrovano le nostre risorse produttive del Nord.
marco
Bravo ti quoto in toto.
ciro
eccone un altro convinto di mantenere tutto il Sud col suo lavoro e le sue risorse produttive! Sai che al sud paghiamo più tasse di quanti servizi riceviamo in cambio?