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Dopo le quote rosa, la gestione dei talenti *

La normativa europea affianca al concetto di parità di genere, quello di diversità. Si tratta di principi differenti per impostazione e attuazione concreta. Sono conciliabili? Oppure la valorizzazione di tutte le diversità ai vertici delle aziende rappresenta un’evoluzione delle quote rosa?
La parità di genere nella normativa europea
Nella normativa europea, al principio di gender parity si sta affiancando quello più ampio di diversity.
La parità di genere, che impronta da tempo testi programmatici (“Strategia per la parità tra donne e uomini”, il “Patto europeo per la parità di genere”, per esempio), trova espressione nella proposta di direttiva sugli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate: entro il 2020, il 40 per cento dovrà essere costituito da esponenti del sesso sotto-rappresentato, cui va attribuita priorità rispetto a candidati del sesso opposto.
Invece, il criterio della diversificazione negli organi di gestione di enti creditizi e imprese di investimento, per “età, sesso, provenienza geografica e percorso formativo e professionale”, è presente nella direttiva 2013/36/UE (la cosiddetta Crd IV), nonché nella direttiva 2014/65/UE, in materia di mercati degli strumenti finanziari (la cosiddetta Mifid 2) e mira a contrastare il “fenomeno della mentalità di gruppo”, attraverso la rappresentazione di “una varietà di punti di vista e di esperienze”.
Mentre la parità di genere viene perseguita mediante l’automatismo connesso a quote percentuali predefinite, la valorizzazione delle diversità, tra cui quella di genere, si fonda sulla trasparente valutazione comparativa di profili eterogenei, svolta in base alle specificità aziendali.
Diversità e trasparenza
La coesistenza di impostazioni normative così differenti induce a chiedersi se le misure da cui sono attuate possano essere conciliate ovvero se la gestione di tutte le diversità, quale pratica di gestione dei talenti, non rappresenti piuttosto un’evoluzione del meccanismo delle “quote”.
Prima delle direttive richiamate, l’importanza di “capacità e punti di vista diversi, nonché esperienze professionali adeguate” era già stata evidenziata nel Libro verde della Commissione europea in materia di governo societario del 2011: “una maggiore diversità alimenta il dibattito (…) e, potenzialmente, migliora la qualità delle decisioni”.
Successivamente, la Commissione (Action Plan, 2012) ha rafforzato il concetto di diversity con quello di disclosure, affermando che la trasparenza nella gestione della diversità incoraggia le imprese “a tener più conto della necessità di garantire una maggiore diversità nei loro consigli”.
Da ultimo, la direttiva 2014/95/UE in materia di informazioni di carattere non finanziario e di diversità nella composizione degli organi sociali, ha ribadito il nesso funzionale fra diversity e disclosure: “accrescere la trasparenza” serve non solo a “informare il mercato sulle pratiche di governo societario”, ma altresì a “creare una pressione indiretta sulle imprese per spingerle a diversificare la composizione del proprio consiglio”.
Nell’ordinamento italiano, il legame tra politiche di diversità e obblighi di trasparenza è previsto nelle Disposizioni di vigilanza per le banche (circolare n. 285/2013), recentemente aggiornate in attuazione della direttiva Crd IV; inoltre, era contenuto nelle raccomandazioni del Codice di autodisciplina redatto dal comitato per la corporate governance promosso da Borsa italiana.
Oltre le quote rosa
La diversa impostazione della proposta di direttiva sull’equilibrio di genere, imperniata sulle cosiddette quote rosa – così come fa in Italia la legge Golfo-Mosca (n. 120/2011) – si basa sull’assunto che in molti Stati membri “misure vincolanti” sulla rappresentanza femminile hanno consentito risultati migliori rispetto alla iniziative volontarie (Gender quotas in management boards, 2012). Tuttavia, l’obiettivo della parità di genere viene ormai ricondotto non solo a istanze di equità e uguaglianza, ma soprattutto di efficienza aziendale. Dunque, la richiesta di una maggiore presenza di donne nelle sedi decisionali può trovare nella ponderata valutazione qualitativa sottesa alle politiche di diversity un’attuazione più compiuta che nella imposizione quantitativa di quote riservate. La valorizzazione delle diversità in maniera motivata, infatti, può contribuire a rimuovere in modo sostanziale – e non quale mero effetto formale di un automatismo percentuale – gli ostacoli culturali che si frappongono al riconoscimento di una parità effettiva. Gli obblighi di trasparenza previsti non paiono, peraltro, meno efficaci rispetto alla vincolatività delle “quote”: il sindacato pubblico, incidendo sull’accountability delle imprese, rappresenta per queste ultime un forte stimolo a operare le scelte più corrette.
Va comunque sottolineato che se la gestione delle diversità può essere oggi reputata strumento idoneo a valorizzare il genere femminile è grazie al percorso avviato con l’obbligo delle quote rosa, che hanno agevolato il riconoscimento dell’importanza delle donne nei board aziendali. D’altra parte, la stessa legge 120/2011 prevede una durata temporale limitata per quell’obbligo: successivamente, politiche trasparenti in tema di diversità potranno rappresentare la migliore evoluzione, in termini soprattutto culturali, del processo volto a risolvere eventuali squilibri di genere ai vertici societari.
* Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono l’istituzione per cui lavora

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  1. Prima di spingersi alla parità di genere nei board, io mi concentrerei sulla partecipazione al lavoro femminile. Vero unico possibile motore di sviluppo http://www.italiasalva.it/2015/01/lavoro-e-disoccupazione-questione-di-genere-femminile.html

  2. Noemi Anna

    Non dimentichiamo che permane un grosso gap tra le poche donne che hanno raggiunto posizioni importanti e la maggioranza di esse che invece sono tuttora vittime di discriminazioni. E’ importante perciò diffondere una cultura di genere per il raggiungimento di un’effettiva parità per tutte: http://www.epubblica.com/ebook/uguaglianza-o-differenza-di-genere-16.aspx

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