Il voto popolare nel Regno Unito non ha premiato il governo Cameron. I conservatori ottengono la maggioranza per il crollo dei liberal-democratici, i laburisti perdono per il prevalere del nazionalismo scozzese. Un sistema non più bipolare e le richieste di una legge elettorale più proporzionale.
Chi ha vinto e chi ha perso
Se una vittoria inattesa è un trionfo, allora quello di David Cameron alle ultime elezioni nel Regno Unito è stato effettivamente un trionfo, come titolavano buona parte dei quotidiani, anche in Italia. Uno sguardo più attento ai risultati, invece, mostra che il dato politico più rilevante ha ben poco a che fare con la performance del partito conservatore, che vede crescere il voto popolare solo dello 0,7 per cento.
In un sistema maggioritario e bipolare, quale era il Regno Unito fino a qualche tempo fa, ciò che determina vittoria e sconfitta sono i voti che transitano da un partito all’altro, gli swing voters, quelli che cambiano partito da un’elezione all’altra o anche, per dirla in termini geometrici, il centro dello spazio politico. In un sistema uninominale first-past-the-post con due partiti bastano pochi voti a far scattare molti cambi di seggio.
In definitiva, quanti seggi sono passati dai laburisti ai conservatori in queste elezioni? La risposta è otto, meno di quanti ne siano passati dai conservatori ai laburisti (nove). E il voto popolare? I conservatori sono cresciuti dello 0,7 per cento, i laburisti dell’1,5 per cento, insieme hanno adesso il 67 per cento dei voti: difficilmente possiamo chiamarlo un sistema bipolare.
Ma allora cos’è successo? I fatti rilevanti dal punto di vista elettorale sono altri e non riguardano i conservatori e i laburisti: il boom dello Scottish National Party, i veri vincitori di queste elezioni, e il crollo dei liberal-democratici, che ha superato qualsiasi aspettativa.
Lo Scottish National Party ha aumentato la sua rappresentanza a Londra da 6 a 56 seggi. Quaranta seggi li ha strappati ai laburisti, dieci ai lib-dem. Dall’avanzata dei Braveheart del XXI secolo i conservatori sono stati risparmiari per un semplice motivo: sono già da tempo un partito pressoché inesistente in Scozia, che invece rappresentava una roccaforte laburista. L’appello lanciato da Tony Blair e dai blairiani del partito laburista per un ritorno al centro dello spazio politico avrebbe dunque senso in un contesto bipolare maggioritario. Ha invece poco fondamento se si pensa che, in buona parte, le politiche proposte dallo Scottish National Party sono più a sinistra di quelle del partito laburista e che la sconfitta più netta dei laburisti è avvenuta proprio in Scozia.
L’altro dato rilevante è il crollo dei lib-dem, che hanno concesso 27 seggi ai conservatori, 12 ai laburisti e 10 ai nazionalisti scozzesi, passando da 57 a 8 seggi. I conservatori, in altri termini, hanno cannibalizzato i loro alleati di governo. La coalizione di governo, che poteva contare su 363 seggi, ne avrebbe oggi 339: non si può dire che sia stata premiata dagli elettori. I seggi guadagnati dai conservatori sono quasi interamente da attribuire al crollo lib-dem. Bravi dunque gli strateghi del partito conservatore nel loro targeting dei seggi marginali, ma non si può certo dire si tratti di un trionfo.
Il problema costituzionale
Ciò che invece queste elezioni hanno messo in luce molto chiaramente è un problema costituzionale che ha probabilmente avuto un impatto negativo sul voto laburista.
Un parlamento senza una maggioranza chiara avrebbe favorito i laburisti che, a differenza dei conservatori, potevano contare sull’appoggio (interno o esterno a una coalizione di governo) di vari altri partiti, incluso lo Snp. Questo avrebbe di fatto reso il governo di Londra ostaggio dei nazionalisti scozzesi e dunque, dopo la devolution di poteri a Edimburgo, i parlamentari dello Scottish National Party sarebbero stati decisivi nel passare oppure no provvedimenti che non riguardano affatto la Scozia.
Esistono aree di intervento pubblico che sono state devolute ai parlamenti nazionali su cui Westminster non ha più voce in capitolo, ma l’Inghilterra non ha un parlamento nazionale ed è interamente soggetta al parlamento del Regno Unito, dove ora acquistano un peso crescente i nazionalisti scozzesi. Emerge dunque con forza la questione inglese, tenuta a bada finora da partiti che riuscivano a rappresentare tutta l’Unione e che ora non ci sono più.
È probabile che il timore di un’Inghilterra ostaggio dei nazionalisti scozzesi possa avere indotto un certo numero di elettori inglesi a votare per i conservatori. Ciò oggi determina una netta spaccatura del Regno Unito in tre parti: la Scozia allo Snp, l’Inghilterra non urbana ai conservatori, le città inglesi ai Laburisti. Questa immagine notturna dell’Inghilterra mostra una quasi perfetta sovrapposizione fra distretti vinti dai laburisti e aree urbane (le più illuminate di notte).
In assenza di bipolarismo il sistema first-past-the-post dà esiti arbitrari e a volte imprevedibili. Si pensi che Ukip, con il suo 12,6 per centoe quasi quattro milioni di voti porta a casa un solo seggio, mentre lo Snp ne ha ottenuti 56 con il 4,7 per cento.
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Roberto
Certo che il sistema elettorale inglese è fortemente iniquo perché somma i lati negativi del maggioritario con il rischio di non governabilità.
E’ troppo penalizzante per la rappresentatività generale che un partito con il 12,6% dei voti abbia solamente 1 seggio mentre un partito, essenzialmente territoriale, con il 4,7% dei voti abbia ben 56 seggi.
E’ assurdo poi che un maggioritario così esasperato abbia dei rischi di governabilità.
Henri Schmit
Non condivido gli assunti non espressi nell’articolo. Dov’è scritto che si eleggono partiti? La Costituzione, anche la nostra, parla di individui liberi, elettori, candidati e deputati. Questo si chiama liberalismo, cioè fiducia nel valore della libertà individuale. Nonostante soglie di sbarramento e premi di maggioranza il voto di lista non garantisce alcuna maggioranza in Parlamento tranne attraverso il ricatto (la base del potere mafioso!) che chi non si allinea alla decisione del (capo-)partito non sarà più ammesso sulle liste. In Italia come in Germania e in Austria si ragiona termini corporativi, non liberali. Qual è la differenza? E la competizione a tutto raggio in Inghilterra, che in Italia si accetta, che si vuole pilotare, in tutto, nella normativa elettorale come nell’economia. Assenza di competizione in economia significa oneri maggiori, obiettivi o inconfessabili. Il costo dell’assenza di competizione in politica è più difficile a quantificare, ma non minore. Bravo Cameron! Lui e l’Inghilterra hanno ancora molto da insegnare. Penso al referendum. Che forza, che coraggio. In Francia si dice “crever l’abcès”, è di quello che si tratta, avere il coraggio di chiarire le scelte. Qua stiamo invece morendo di gancrena.
Enrico
Come sempre occorre andare al di là dei titoloni apparsi sui giornali approfondendo per evitare eccessive semplificazioni o esagerazioni (tipo appunto sintetizzare l’esito elettorale come trionfo dei conservatori).
Resta tuttavia il fatto che i laburisti hanno subito una sconfitta dopo 5 anni di opposizione e che, se anche avessero riconfermato i seggi che detenevano in Scozia, sarebbero rimasti parecchio dietro ai Tories (circa 60 seggi).
Sarebbe interessante conoscere l’andamento dei flussi elettorali, in particolare credo che, come detto nell’articolo, i conservatori siano riusciti a conquistare molti voti liberali e che i tories, a loro volta, ne abbiano perduti diversi a vantaggio dell’UKIP (che sono passati da 917.000 voti del 2010 ai quasi 4.000.000 di oggi), dato che non ritengo probabile sia avvenuta un’emorragia consistente di consensi dai liberali agli “indipendentisti” inglesi.