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La carriera delle donne riletta in una partita di tennis

Riuscire a reagire in maniera adeguata a un iniziale insuccesso può avere conseguenze molto rilevanti sul percorso professionale successivo. È un problema che sembra riguardare in particolare le donne, più propense a scoraggiarsi dopo un risultato negativo. Gli aspetti culturali da modificare.

Ragazze tra lacrime e studi scientifici
Di recente, le dichiarazioni del premio Nobel per la medicina Tim Hunt sulla facile tendenza femminile alle lacrime hanno fatto scalpore, costringendolo alle dimissioni dalle cariche accademiche e scientifiche. Eppure, riflettere sulle diversità nelle attitudini e nelle reazioni psicologiche che contraddistinguono uomini e donne può essere rilevante per comprendere le differenze di genere nei risultati economici e sociali e per pensare a interventi che cambino gli ambienti lavorativi nonché alcuni aspetti istituzionali, in modo da renderli meno centrati su un modo di pensare tipicamente maschile. Ad esempio, un recente articolo pubblicato su una prestigiosa rivista americana (Buser, Niederle e Oosterbeek, 2015) mostra che, a parità di abilità, le differenze tra ragazzi e ragazze nella propensione alla competizione spiegano una parte rilevante della minore tendenza da parte delle ragazze a scegliere curriculum di studio scientifici. Questi percorsi di studio se da una parte garantiscono buoni rendimenti sul mercato del lavoro, dall’altra tendono a essere dominati da uomini e a essere caratterizzati da un ambiente molto competitivo. Le donne, quindi, rinuncerebbero a salari elevati e a buone prospettive di carriera pur di evitare la competitività che caratterizza questi settori.
Chi vince il primo set vince il match?
Gli ambienti molto competitivi sottopongono gli individui a una costante pressione psicologica e le donne potrebbero mostrare reazioni diverse rispetto a quelle degli uomini. La pressione psicologica può avere molteplici cause, ad esempio può originare da situazioni in cui la posta in gioco è alta, da circostanze che implicano un forte rischio di insuccesso oppure quando gli individui devono affrontare le emozioni che seguono cattive prestazioni o critiche. Per comprendere meglio l’eventuale esistenza di differenze di genere nelle reazioni alle pressioni psicologiche abbiamo usato i dati relativi a circa 35mila partite di tennis disputate tra il 2007 e il 2014 da giocatori professionisti, limitandoci a quelle giocate al meglio dei tre set. Innanzitutto, abbiamo valutato come il risultato del primo set influenza la prestazione nel secondo. Il risultato del primo set fornisce informazioni su come i giocatori stanno giocando, sulle loro condizioni fisiche e psicologiche e, soprattutto, cambia l’equilibrio della partita poiché uno dei giocatori si troverà in temporaneo vantaggio e l’altro si troverà costretto a recuperare. Essere in svantaggio e sentire una più pressante necessità di vincere il secondo set può influenzare la performance successiva e indurre un crollo psicologico. Secondo alcuni studi di psicologia, le donne in questo contesto sarebbero più fragili e più propense degli uomini ad abbattersi perché tendono a interpretare gli insuccessi come indicatori del loro effettivo valore piuttosto che come eventi specifici. Ciò può influenzare l’autostima e generare trappole emotive da cui non è facile riprendersi. Dalla nostra analisi risulta che, a parità di posizione in classifica dei giocatori, probabilità di vincere la partita e altre caratteristiche individuali e di torneo, perdere il primo set produce un effetto negativo sulla performance dei giocatori al secondo set, sia per gli uomini che per le donne. Tuttavia, l’effetto è molto più forte per le donne. I nostri risultati sono confermati anche se consideriamo solo i set che si sono chiusi 7-5 o 5-7 o al tie-break oppure le partite disputate tra tennisti che avevano ex-ante una probabilità simile di vincere. Successivamente, abbiamo esaminato l’effetto prodotto dal risultato del secondo set sulla performance dei giocatori nel terzo. Quando si arriva al terzo ognuno dei due giocatori ha vinto un set. In questo caso non troviamo nessuna differenza di genere, la reazione dei giocatori è simile per uomini e donne: chi vince il secondo set ha anche una maggiore probabilità di vincere il terzo, indipendentemente dal genere. Questi risultati suggeriscono che quando le donne si trovano in una situazione di svantaggio e ricevono segnali negativi tendono a gestire peggio degli uomini le emozioni negative che ne derivano, mentre le loro reazioni sono simili a quelle maschili in situazioni di parità e con feedback sia negativi che positivi.
Da Wimbledon al mondo del lavoro
Le reazioni psicologiche possono avere rilevanza anche al di fuori dei contesti sportivi: nel mondo del lavoro, gli individui sono spesso impegnati in competizioni “sequenziali” di cui conoscono man mano l’andamento. Ad esempio, molte imprese usano meccanismi di valutazione comparativa per promuovere e remunerare i propri lavoratori. Riuscire a reagire in maniera adeguata a un iniziale insuccesso può avere quindi conseguenze molto rilevanti sul percorso professionale successivo. Le donne potrebbero essere più soggette al problema o perché geneticamente meno pronte a gestire situazioni di stress emotivo oppure perché tendono a riprodurre uno stereotipo sociale che hanno inconsciamente acquisito.
Cosa fare dunque? Per poter pensare ad adeguati interventi di policy è necessario innanzitutto comprendere il ruolo svolto rispettivamente da “natura e cultura”. Se queste attitudini dipendono da fattori culturali allora si può pensare di intervenire affinché maschi e femmine crescano in ambienti “gender neutral”. Inoltre, le abilità non cognitive (come la capacità di gestire le emozioni, la resilienza a feedback negativi, l’attitudine a competere) potrebbero cambiare grazie all’esperienza. Una maggiore presenza femminile in ambienti fino a questo momento prevalentemente maschili potrebbe permettere alle donne di imparare a gestire meglio le situazioni che comportano una forte pressione emotiva e aiutare a creare ambienti meno centrati su una visione “troppo” maschile del mondo.
 

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  1. Rosario

    Mi permetto di suggerire anche l’efficacia di servizi come la tutorship e la mentorship per affrontare nel corretto modo casi inziali di insuccesso. Il confronto con un persona formata a tale scopo o comunque abituata a farlo, è un strumento molto potente per reinterpretare le esperienze di insuccesso minimizzando sia le distorsioni culturali che le “debolezze” di temperamento. Molte aziende stanno investendo in progetti di caoching e tutoraggio sulle proprie risorse specie quelle giovani e in generale si sta diffondendo molto il ricorso anche indivuduale alle relazioni di supporto traendo spunto proprio dalle esperienze degli sportivi.

  2. FabFarn

    Domanda agli autori dell’articolo!
    DOMANDA:
    avete mai giocato a tennis in modo almeno decente?
    Dalle vostre analisi non sembra perchè chiunque pratica o ha praticato tennis a livello decente ( non giocatore della domenica con la panzetta che dopo un’ora è già stanco e che tecnicamente è scarso!) sa benissimo che la differenza fra il tennis professionistico maschile e quello femminile è enorme per usare un eufemismo!!
    Il n 100 ATP batterebbe regolarmente la N 1 WTA!!
    Stiamo parlando di due mondi le cui performace sportive sono completamente diverse!!
    Un’ultima cosa, in campo maschile i veri campioni sportivi di tennis professionisitico si sfidano in match al meglio dei cinque set ( nei 4 tornei del Grand Slam che sono i più importanti e in Coppa Davis ) cosa che nel tennis femminile non esiste proprio!!
    Saluti. Fabrice

  3. Enzo

    A me sembra che uomini e donne, spesso, prima o poi si sposino. Che abbiano figli maschi e femmine indifferentemente. E mi sembra che ci siano molte rivendicazioni femminili delle donne nei confronti degli uomini.

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