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La flessibilità sulle pensioni ha un prezzo. Alto

Il presidente del Consiglio ha promesso di rivedere la legge Fornero, in modo che si possa accedere alla pensione anche prima di raggiungere l’età fissata. Ma come calcolare la penalizzazione per l’uscita anticipata? Il rischio di compromettere i precari equilibri del sistema pensionistico.

La “flessibilità in uscita”, promessa nei mesi scorsi dal presidente del Consiglio Matteo Renzi per superare la rigidità della legge “Fornero”, dovrebbe entrare nella prossima legge di stabilità. Le proposte in campo sono diverse; tra queste, la più nota e dibattuta è quella Baretta-Damiano che prevede una penalizzazione dell’assegno dell’1-2 per cento per ogni anno di anticipo dell’età di pensionamento. Si tratta di una proposta molto “generosa”, i cui costi potenziali sono stati stimati nell’ordine di 8-10 miliardi di euro dal presidente dell’Inps. Adottando il metodo di calcolo contributivo, la percentuale di penalizzazione dovrebbe in realtà essere molto più elevata, intorno al 4-6 per cento per ogni anno di anticipo. Consideriamo infatti il caso di un lavoratore maschio, non sposato e con una storia contributiva regolare. Ipotizziamo anche che la speranza di vita non cambi nel tempo e sia pari a quella calcolata dall’Istat nell’anno 2013.

Tabella 1

Cattura 10In media, a 67 anni, un italiano ha ancora davanti a sé 17 anni di vita. Come si può notare dalla tabella, al diminuire dell’età, la speranza di vita aumenta “quasi” di un anno: se il nostro lavoratore dovesse andare in pensione a 62 anni, avrebbe davanti a sé 21 anni. Nella versione originale della proposta Baretta-Damiano, la riduzione sarebbe pari solo all’1 per cento annuo.

Tabella 2 

Cattura 2
Per il “pensionando”, la scelta dell’età del pensionamento deve tenere anche conto di quanto si riduce il montante contributivo per ogni anno di anticipo. Per semplicità, assumiamo che il peso di ciascun anno contributivo sia identico e che il montante a 67 anni risulti da quaranta anni di versamenti regolari e continuativi. Fatto 100 il montante contributivo a 67 anni, un anno in meno di lavoro lo riduce di 2,5. Quindi, se il lavoratore decidesse di andare in pensione a 62 anni con trentacinque anni di contributi, avrebbe un montante contributivo che è pari all’87,5 per cento di quello che otterrebbe se aspettasse altri cinque anni.

Leggi anche:  Pensioni: l'eterno nodo della flessibilità in uscita

Tabella 3

Cattura 4
Tutto questo si traduce in un assegno pensionistico ridotto sia per i minori contributi versati sia per la maggiore speranza di vita residua. Nel nostro semplice esempio, andare in pensione a 62 anni implicherebbe un assegno inferiore del 29,1 per cento rispetto a quello che si otterrebbe rimanendo al lavoro fino a 67 anni. In termini di media aritmetica annua, bisognerebbe togliere alla pensione “piena” il 5,8 per cento per ogni anno di anticipo dell’età di pensionamento. Quindi, quasi tre volte il taglio del 2 per cento ipotizzata nella proposta Baretta-Damiano o in quella Pizzolante.
Sistema a rischio 
Se all’Inps venisse lasciata la facoltà di ricalcolare gli assegni pensionistici con il metodo contributivo, la flessibilità in uscita sarebbe sacrosanta: non intaccherebbe gli equilibri del sistema previdenziale e restituirebbe agli individui la libertà di scelta sul momento più opportuno per ritirarsi dalla vita lavorativa attiva. Il problema è che nel mondo “virtuoso” del sistema contributivo la penalizzazione della pensione è significativa. La rigidità della legge Fornero ha molti difetti, ma un grande pregio: non consente di “giocare” con i precari equilibri del sistema pensionistico pubblico. Rimettere in discussione l’età della pensione scopre, infatti, il fianco a soluzioni particolarmente generose per i “pensionandi”. Magari, con la nobile giustificazione di politiche economiche volte a favorire il ricambio generazionale nei luoghi di lavoro. Ma con il rischio di un ritorno ai tempi in cui sull’Inps veniva scaricato ogni genere di costi impropri.
 
 

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24 commenti

  1. QW

    Prima di affermare con sì grande certezza ciò che metterebbe a repentaglio i “precari equilibri” del sistema pensionistico, sarebbe oppurtuno portare qualche dato atto a mostrare i precari equilibri, altrimenti siamo nel campo dell’ideologia…(non siamo più nel 1992….). A ciò andrebbe aggiunto un dato: qual’è la spesa totale per sostenere (tramite forme di sostegno dal reddito) tutti quei lavoratori espulsi al mercato del lavoro a 55-58 anni? non è spesa pensionistica ma sempre spesa pubblica è…

    • Marco Borgna

      I precari equilibri servono a garantire i solidi equilibri di chi gode dei diritti acquisiti.
      Se, come scrive, è un problema puramente economico, ci diano la possibilità di recuperare quanto versato e ci lascino scegliere come vivere gli ultimi anni della nostra vita.

  2. claudio pinna

    Io mi permetto di segnalare come l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico pubblico sia garantito dall’uguaglianza tra i contributi versati e le pensioni erogate. L’aliquota di contribuzione per i dipendenti privati è oggi pari al 33%. Se vogliamo consentire l’accesso anticipato alle prestazioni ed avere gli stessi saldi previdenziali dovremo incrementare il numero di lavoratori. Le pensioni aggiuntive saranno infatti pagate con i maggiori contributi incassati. E per mantenere in equilibrio il sistema, ipotizzando che la pensione media annua sia uguale alla retribuzione media annua, per ogni pensionato aggiuntivo che potrà accedere in via anticipata alla prestazione, dovranno essere generati almeno tre nuovi posti di lavoro (che versando ciascuno un contributo del 33% finanzieranno la prestazione percepita dall’ulteriore pensionato). Se i nuovi posti di lavoro fossero due, per mantenere l’equilibrio bisognerà ridurre la nuova pensione anticipata del 33% (e del 66% se il nuovo posto di lavoro fosse solo uno). Ecco per me come dovrebbe essere calcolata la penalizzazione.

  3. claudio pinna

    Io mi permetto di segnalare come l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico pubblico sia garantito dall’uguaglianza tra i contributi versati e le pensioni erogate. L’aliquota di contribuzione per i dipendenti privati è oggi pari al 33%. Se vogliamo consentire l’accesso anticipato alle prestazioni ed avere gli stessi saldi previdenziali dovremo incrementare il numero di lavoratori. Le pensioni aggiuntive saranno infatti pagate con i maggiori contributi incassati. E per mantenere in equilibrio il sistema, ipotizzando che la pensione media annua sia uguale alla retribuzione media annua, per ogni pensionato aggiuntivo che potrà accedere in via anticipata alla prestazione, dovranno essere generati almeno tre nuovi posti di lavoro (che versando ciascuno un contributo del 33% finanzieranno la prestazione percepita dall’ulteriore pensionato). Se i nuovi posti di lavoro fossero due, per mantenere l’equilibrio bisognerà ridurre la nuova pensione anticipata del 33% (e del 66% se il nuovo posto di lavoro fosse solo uno). Ecco per me come dovrebbe essere calcolata la penalizzazione

    • QW

      Io invece mi permetto di segnalare che ciò di cui parla non è un “sistema pensionistico pubblico” ma un sistema di ripartizione pura, integralmente fondato sul finanziamento contributivo. Al riguardo: 1) non sta scritto da nessuna parte che il sistema pensionistico pubblico, nemmeno nella sua parte “assicurativa” o previdenziale se preferisce, debba fondarsi esclusvamente sul finanziamento contributivo; 2) le principali organizzazioni internazionali (World Bank, “The inverting pyramid”, 2014) caldamente suggeriscono di iniziare a spostare il finanziamento sulla fiscalità generale, anche (ma non solo) in vista dell’impatto della trasformazione tecnologica sul mercato del lavoro.. si può fare, sono scelte politiche..capisco non trovino terreno fertile in un paese che sia avvia verso l’eliminazione della tassa sulla prima casa (per tutti!, olè)…

  4. Maxell

    per raggiungere il cosi detto equilibrio la ricetta è semplice , e qualcuno lo dimentica sempre, basta non rubare !

  5. Luigi M.

    Letto anche il commento precedente: non c’è niente da fare, in Italia si considera l’INPS un contenitore dove scaricare le richieste di chi non accetta di lavorare di più. Sottoscrivo pienamente quanto sostenuto dall’autore: chi vuole andare in pensione in anticipo è libero di farlo, ma con la pensione ricalcolata con il contributivo e con un importo mensile minimo (derivante dal calcolo contributivo) che deve essere fissato per legge.sotto questo minimo anche con il contributivo non si potrebbe andare in pensione. se ci fate caso quelle proposte becere vengono sempre da ex sindacalisti: quelli che opponendosi all’introduzione del contributivo pro rata per tutti ai tempi della riforma hanno contribuito all’affossamento del bilancio INPS. ed a questa gente è ancora consentito di parlare di pensioni.

  6. Bobcar

    Non capisco come facci l’autore a calcolare il “costo” della riforma proposta da Damiano, dato che nessuno sa il numero dei lavoratori che sceglierebbero di accedere alla pensione anticipata. Tra l’altro, se la riforma prevede anche maggiorazioni analoghe della pensione per ogni anno aggiuntivo, potrebbe comportare addirittura dei risparmi per l’inps o no?

  7. QW

    Il ricalcolo contributivo, formula perfetta per i ragionieri delle pensioni italiane. Proviamo a seguire il ragionamento e assumiano che un lavoratore termini la carriera con uno stipendio netto di 1200 euro/mese. Con una carriera piena (pensionamento attorno ai 67 anni, contribuzione attorno ai 40), il tasso di sostituzione netto è attorno all’80%. Dunque pensione netta = 960 euro/mese. Immaginiamo ora la penalizzazione del 30% circa, calcolata dall’autore con 62 anni e 35 di contributi, la pensione netta scende a 670 euro/mese.

  8. QW

    Il ricalcolo contributivo, formula perfetta per i ragionieri delle pensioni italiane. Proviamo a seguire il ragionamento e assumiano che un lavoratore termini la carriera con uno stipendio netto di 1200 euro/mese. Con una carriera piena (pensionamento attorno ai 67 anni, contribuzione attorno ai 40), il tasso di sostituzione netto è attorno all’80%. Dunque pensione netta = 960 euro/mese. Immaginiamo ora la penalizzazione del 30% circa, calcolata dall’autore con 62 anni e 35 di contributi, la pensione netta scende a 670 euro/mese. E qui qualche problema si pone, si ripropone il tema dell’adeguatezza che ha caratterizzato il dibattito pensionistico fino alla riforma Fornero: 670 euro/mese dopo 35 anni di lavoro….che il contributivo non sia il metodo adatto alle circostanze di crescente pressione demografica e risorse limitate?….

    • QualeWelfare

      Last but not least..caro Pinna, visto che non riporta la fonte, temo proprio non sia come dice lei..veda un po’ qui: “fin dal 1996 – cioè subito dopo le riforme Amato del 1992 e Dini del 1995 – il saldo tra le entrate contributive e le uscite pensionistiche previdenziali al netto delle ritenute fiscali sono consistentemente positive; nel 2013 – l’ultimo anno di cui si hanno i dati – è stato di 21 miliardi di euro (l’equivalente di una legge finanziaria!). Continuare ad attingere al sistema pensionistico per sostenere il bilancio pubblico implica una scelta economica, sociale e politica con effetti controproducenti a tutti e tre i livelli.” (F R Pizzuti, http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Pensionamento-anticipato-perche-conviene-31332 ). Si prega di riportare le fonti, grazie.

  9. Claudio Pinna

    Qualche dato forse utile alla discussione. Pressione fiscale in Italia più vicina al 50% che al 40. Se vogliamo trasferirvi ancora qualcosa…. Spesa pensionistica intorno al 16 % del pil come sostanzialmente la Grecia. Deficit attuale del sistema pensionistico intorno ai 20 miliardi di euro e che diventano 60 se proiettati…. Bastano questi dati o ne vogliamo aggiungere altri?

    • QW

      No, non bastano decisamente, sono dati grezzi, ruvidi, buoni per i giornalisti, non per analisi approfondite. Temo dovrà aggiungerne altri per convincere..
      Pressione fiscale: il dato che cita è in relazione al PIL, se il PIL non cresce mai, anche perchè una parte importante non è dichiarata, la pressione fiscale aumenterà sempre.
      La spesa pensionistica: idem, è in rapporto al PIL, se il PIl non cresce mai, la spesa aumenterà sempre…vuoi vedere che la crescita abbia qualcosa a che fare col cuneo contributivo, piuttosto che con la pressione fiscale genericamente intesa? (per capirci, stimola di più la crescita ridurre il prelievo contributivo o eliminare la TASI per i i proprietari di case milionarie…?).
      Last but not least, deficit del sistema pensionistico 20 miliardi (cosa sia poi questo “sitema pensionistico” poi…anche qui, definizioni da giornalisti, con tutto il rispetto): non risulta affatto, qual è la fonte? grazie.

  10. marcello

    In questa deriva liberista, ovviamente per modo di dire, si assume che ogni funzione d welfare debba essere abolita, nel nome della riduzione delle tasse. Quindi per essere al passo con i tempi e con gli altri, ma con chi? Di certo non con la Francia che ha le 35 ore, manda i pensione a 62 anni e nel corso della Grande Recessione ha accresciuto la spesa pubblica di 8 punti di PIL. Altro che Rapporto Beveridge e welfare, torniamo alla carità e instauriamo uno Stato Minimale, che garantisca solo la sicurezza, e siamo a posto. La scelta di come comporre il bilancio dello stato è una scelta politica: si possono togliere le tasse ai ricchi e continuare a far pagare l’IRPEF ai dipendenti e ai pensionati, oppure si possono spendere 3 miliardi per estendere anche al 2016 le decontribuzioni per i nuovi assunti, oppure si possono mandare in pensione a 62 anni con pensioni decenti coloro che hanno lavorato 40 anni!. Oppure si potrebbe dedicare qualche miliardo che risulterebbe da una patrimoniale alla francese al sistema educativo, università compresa. Ma forse è vero in questo paese W.H. Beveridge non lo ricorda più nessuno!

  11. Claudio Pinna

    non sono giornalista. Questo è il posto dei commenti e non delle analisi approfondite. I miei dati non sono stati confutati. Grazie.

  12. pietro brogi

    Mi piace ogni tanto riproporre il mio punto di vista, espresso già più volte su questo sito. I cosidetti ‘diritti acquisiti’ rappresentano una questione di lana caprina. E’ evidente che il diritto a percepire una pensione è già acquisito da parte dei pensionati in essere ma il suo ammontare no! Quindi un ricalcolo totalmente contributivo delle pensioni in essere sarebbe lecito. Questo permetterebbe ovviamente una erogazione più equa e flessibilità in uscita.
    Le deroghe non dovrebbero essere inserite nel bilancio previdenziale ma in quello dello stato come spesa sociale.
    Altre formule accrescono le iniquità di cui è pieno il panorama italiano.
    Come è possibile tollerare che un lavoratore che esce a 64 anni con un certo numero di anni di contribuzione percepisca una pensione inferiore di un collega che tramite qualche privilegio, con lo stesso numero di anni di servizio in pari posizione e la stessa età sta già percependo la pensione da oltre venti anni? Credo che la violazione costituzionale sia palese.

    • QW

      Secondo questo incredibile ragionamento potremmo ridurre una pensione, che so, di 2000 euro/mese a 500 euro/mese senza intaccare i diritti acquisiti.Fortunatamente, la Corte Costituzionale non agisce solo in forza di ragionamento ma in forza di diritto e si è espressa chiaramente sul tema in almeno un paio di occasioni negli ultimi 5 anni.

      • pietro brogi

        Forse il Sig. QW dovrebbe porsi un semplice quesito: chi dovrebbe pagare i 1500 euro non coperti dai contributi? Giovani che vengono pagati 1000 euro al mese e che versano proporzionalmente contributi irrisori i quali porteranno a ricevere irrisorie pensioni? I diritti acquisiti debbono essere supportati da adeguate risorse, altrimenti esiste solo il fallimento.

        • QW

          Gentile Brogi, come battuta mi verrebbe da dire, amaramente, i giovani in Italia non lavorano! Magari lavorassero a 1000/mese..quelli sono i pochi privilegiati (!!)…più seriamente, ha centrato il punto: “sostenibilità”, ma i paraocchi italiani (o di classe, lascio a lei la scelta..) non le fanno vedere la soluzione, nemmeno all’orizzonte: il finanziamento contributivo, che grava sul costo del lavoro in maniera tra l’altro solo proporzionale e non progressiva, non sarà sufficiente a sostenere il sistema pensionistico senza produrre iniquità insostenibili e compromettere la competitività…dunque, la soluzione caldeggiata ampiamente nel dibattito oltre i confini nazionali riguarda il rimpiazzo di parte del fianziamento contributivo con finanziamento fiscale (oibòh, mi dirà magari lei..lo so..) ma tant’è..manteniamo la tassa sulla prima case e alziamo quella irrisoria su donazioni ed eredità..vedrà, le risorse ci sono e non nemmeno così difficili da individuare… (si vedano i suggerimenti al riguardo di Banca Mondiale, Ocse, Commissione Europea).

          • pietro

            Una semplice domanda per il Sig QW: ritiene etica una pensione retributiva, a volte ottenuta ad eta’ molto giovani, spesso anche in presenza di altre retribuzioni? Politiche di privilegio e di casta portano necessariamentea disgregazione sociale e conflitto intergenerazionale. Pensi a quale spinta positiva potrebbe venire da un investimento delle risorse rese disponibili da una applicazione del sistema contributivo alle pensioni in essere per la creazione di posti di lavoro per le nuove generazioni……

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