I nuovi costosissimi farmaci bonificano il sangue dall’HCV, ma devono ancora dimostrare di guarirla o di evitare cirrosi/cancro epatico e la loro sicurezza nel tempo.
Anche a chi oggi non ha diritto ai farmaci va spiegato quanto può fare per evitare o minimizzare le complicanze.
Circa un milione di italiani sono infettati da HCV a causa di trasfusioni infette, strumenti chirurgici non sterili, tatuaggi e piercing. Le cause maggiori sono ormai sotto controllo, la via d’infezione sessuale è infrequente.
Giulio Formoso e Anna Maria Marata hanno scritto nel loro articolo di costi dei nuovi farmaci antiepatite C e di possibili strategie “per riuscire a trattare il maggior numero possibile di pazienti a condizioni sostenibili dal Ssn”.
Pur non dicendo cose scorrette, mi pare che non affrontino due importanti questioni.
Non c’è garanzia sulle nuove terapie
L’efficacia di tali terapie innovative è dimostrata, con ricerche sponsorizzate dai produttori, per ora solo su esiti surrogati come la risposta virologica sostenuta/SVR sotto la soglia minima rilevabile nel sangue, 24 settimane dopo la sospensione del farmaco; dunque non è garantita né l’eradicazione del virus dal sangue, né che esso non persista nei tessuti e né c’è prova di efficacia diretta dei farmaci su esiti clinici rilevanti come evoluzione da epatite a cirrosi, il suo scompenso, insorgenza di cancro epatico e mortalità
Inoltre, la viremia non è così predittiva del decorso clinico: ci sono pazienti che sviluppano gravi complicanze nonostante una SVR e molti che ottengono una SVR con le nuove cure non avrebbero mai sviluppato gravi complicanze anche senza farmaci (Tab. 1).
Tab. 1 – Progressione dell’infezione da HCV
Storia naturale dell’epatite C
La fase acuta è in genere asintomatica.
Il 30-40 per cento degli infetti non avrà epatite cronica: chi sviluppa cirrosi lo fa in media a 40 anni dall’infezione. Inoltre, l’80 per cento degli infettati non avrà minor qualità di vita e meno del 5 per cento morirà per cirrosi complicata o ca. epatico.
A oggi dei nuovi farmaci sono certi solo i costi (-opportunità) altissimi e alcuni effetti avversi (per ora pochi, ma la storia insegna che per tanti nuovi farmaci il reale profilo in termini di rischi e danni si chiarisce solo dopo molti anni).
Un problema d’informazione
Ci sono già molte misure alla portata di gran parte dei soggetti infetti e la cui adozione potrebbe essere molto favorita da strategie pubbliche di educazione sanitaria, di supporto e di promozione della salute le quali non sono né attuate e né note alla popolazione generale, agli infetti e alla maggioranza dei sanitari.
Costoro dunque, né consapevoli né supportati nel ricorso a utili alternative, faranno pressioni per ottenere che governatori regionali o procuratori (a loro volta in difetto di altre fonti informative) distraggano fondi da usi sanitari differenti, per aumentare i destinatari di questi farmaci. Tuttavia si tratta di terapie dal risultato finale ancora incerto e bilancio danni/benefici da definire, mentre campagne “informative” con supporto commerciale cercano di alzare attese e pressioni, sollecitando screening di popolazione.
Screening degli infetti?
Per molte malattie società scientifiche specialistiche o associazioni di malati, con sponsor commerciali, propongono “campagne di sensibilizzazione”. Di fatto suscitano allarmi per far aumentare certe prestazioni.
Campagne sull’Hcv, già molto criticate dalla medicina generale, sono riprese con l’avvento dei nuovi farmaci.
Efficacia e costo-efficacia del sofosbuvir
È il primo nuovo farmaco anti-Hcv, sostenuto da studi realizzati dal produttore. Il valore aggiunto rispetto comparator appropriati è solo supposto: infatti, non ha ancora dimostrato di ridurre le complicanze rilevanti dell’epatite e non è nota la probabilità di re-infezione in chi non cessa comportamenti a rischio.
Inoltre, poiché la mortalità da epatite C è bassa e non c’è prova che sofosbuvir la riduca, è improprio chiamarlo “salvavita”.
Effettuare screening asintomatici esporrebbe ai danni delle terapie molti che non ne avrebbero benefici. Oggi una scelta razionale dal punto di vista clinico ed etico (e non solo economico) è quella fatta dell’autorità sanitaria, ossia definire le priorità in base al rapporto costo-efficacia (ipotizzata in base a esiti surrogati) nei pazienti in evoluzione verso gravi complicanze.
In effetti prima la cura con interferone e ribavirina, di efficacia moderata (dimostrata) ma seri effetti collaterali, si attuava se la fibrosi evolveva in cirrosi e i benefici diventavano più probabili dei danni.
Chi non ha oggi accesso a tali cure, però, avrebbe comunque molte armi: sono già noti decine di comportamenti che frenano l’evoluzione dell’epatite e che fanno bene al fegato. Tutti han diritto a conoscerli e i pazienti ad avere aiuti per praticarli.
Conclusione
Gli interessi finanziari legati ai nuovi farmaci non devono forzare la sanità pubblica ad adottare strategie poco razionali. Né va loro consentito di oscurare ancor più lo stile di vita, con grave sottoutilizzo del suo potenziale preventivo e curativo.
Chi teme l’Hcv, specie se sa di essere infetto ma senza accesso alle nuove cure, può fare tantissimo per tenerla a bada.
* Le idee espresse nell‘articolo non investono la responsabilità dell’Organizzazione di appartenenza. Conflitti di interesse: nessuno.
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Salvatore Ricca Rosellini
Non aspettate i dati di mortalità e le meta-analisi. Mettetevi il camice.
Siamo tutti d’accordo sugli stili di vita sani ed il loro potenziale nella cura delle malattie del fegato. Ma questi nuovi farmaci per l’epatite C fanno davvero la differenza. I pazienti più gravi devono essere curati ora, senza aspettare che i loro dati di mortalità compongano le statistiche e le future meta-analisi. Gli epidemiologi si mettano il camice, scendano negli ambulatori e vedano cosa accade dopo solo pochi mesi di cura.
Per noi, che seguiamo queste persone malate da oltre trent’anni e per i malati pare proprio un miracolo… Una vera rivoluzione terapeutica.