Prevenire il cancro epatico

In un precedente commento si è parlato di fattori di rischio per Hcv e progressione delle complicanze, poco noti alla popolazione e trascurati dai sanitari. Completiamo l’informazione su fattori protettivi e screening.

Frazione di cancro epatico prevenibile nella popolazione associata a fattori protettivi

Caffè: circa -34 per cento, se tutti ne bevessero come il gruppo che gli studi classificano come maggior bevitore (e l’effetto-dose è stato stimato a circa -25 per cento per tazza). La protezione vale anche per altre epatopatie in vari stadi di gravità, secondo una revisione sistematica e metanalisi

– Fibra alimentare: -31 per cento se tutti ne consumassero come il quarto di popolazione che ne consuma di più, con -30 per cento di rischio per ogni 10 grammi di fibra al dì consumati

– Pesce: -24 per cento se tutti ne consumassero come il quarto di popolazione che ne consuma di più. Ogni 20 g/die in più di pesce si associano a -20 per cento del rischio di cancro epatico; un -14 per cento si osserva anche con la sostituzione di 20 g di pesce a 20 g di carne al dì. I risultati sono simili anche negli infetti con Hbv o Hcv

– Attività fisica: -19/-27 per cento (revisione).

Anche in questo caso potremmo proseguire a lungo, ma ci fermiamo, perché la somma già supera il 100 per cento. Ciò ovviamente non significa che l’adozione di questi comportamenti protettivi e l’evitare quelli a rischio azzeri le possibilità evolutive in tutti gli infetti da Hcv, ma certo queste si riducono in maniera sostanziale.

Purché la sanità investa per informarne la popolazione e dare il necessario supporto per applicare queste misure, a partire da malati e infetti.

Screening dei soggetti asintomatici?

La proposta è corollario della “offerta dei nuovi farmaci a tutti gli infetti” con “obiettivo eradicazione”. Restiamo ai fatti per l’Italia:

con le risorse attuali il Ssn ha assicurato le cure a 49mila pazienti, cioè circa 40mila pazienti/anno, e potrebbe in circa 4 anni trattare tutti i 160-180mila casi stimati da EpaC (tra cui si concentrano i casi gravi);

uno screening di popolazione potrebbe far emergere la parte sommersa dell’iceberg, secondo EpaC circa 10 volte più numerosa, di soggetti in prevalenza asintomatici, molti destinati però a restare tali nel resto della vita;

una volta consapevoli di essere portatori di Hcv e allarmati da informazioni non bilanciate sulla storia naturale dell’infezione e sul peso relativo di comportamenti protettivi o dannosi, molti pretenderebbero l’accesso ai “nuovi farmaci”, aggiungendo la loro pressione a quella dei pazienti noti, e non è chiaro come il Ssn potrebbe oggi farvi fronte. Se lo facesse nei confronti di questi nuovi casi (ai prezzi attuali dei farmaci) stornerebbe ingenti risorse finanziarie da altri programmi, di verosimile maggior rendimento in salute. Se non lo facesse, crescerebbero tensioni e disaffezione per un sistema sanitario nazionale che a parole tutti dicono di voler difendere…

C’è anche la possibilità teorica di imporre ai produttori prezzi di rimborso molto inferiori; ma ammesso che i governi siano in grado di farlo, l’ordine logico dovrebbe essere: prima si ottengono prezzi sostenibili, poi si considera lo screening, non viceversa;

per non parlare dei rischi (piccoli o grandi) cui si esporrebbero molti portatori senza certezza di avere davvero bisogno di tali farmaci.

I principi da considerare

Fatta salva la garanzia dei nuovi farmaci (ma anche di informazione/prescrizione e supporto competente all’attuazione dei comportamenti protettivi) per tutti i casi già inclusi nei criteri di priorità, non ci sembra irrazionale non affrettare le cure per chi non è in condizione evolutiva verso F3, specie se asintomatico (con alcune ragionevoli eccezioni), in base:

al principio di precauzione, finché non sia chiaro anche per loro dove si situa il miglior bilanciamento rischi/benefici attesi;

al principio di solidarietà verso tanti altri assistiti, oggi privi di cure efficaci e possibili per altri problemi, perché le risorse che la società ha assegnato al Ssn non lo consentono (un esempio tra cento, che interessa anche tanti infetti da Hcv, è il fumo, oggi responsabile del 25 per cento  circa dei cancri epatici, oltre che di tante malattie con nesso causale certo: 12 tipi di cancro, 6 categorie di malattie cardiovascolari, diabete, Bpco, polmonite, influenza; e inoltre associato a eccesso di mortalità da insufficienza renale, malattia cardiaca ipertensiva, infezioni, cancro prostatico e mammario. Smettere di fumare ha effetti sulla mortalità totale maggiori di quelli da complicanze dell’Hcv, anche nell’insieme dei soggetti cronicamente infetti e fumatori. Ma chi voglia intraprendere un percorso di cessazione (un’indagine Doxa conferma che molti lo vorrebbero) spesso non può contare su supporti competenti di facile accesso, e deve pagarsi farmaci di provata efficacia: Tsn, vareniclina, bupropione);

al principio di tutela della sostenibilità del nostro Ssn che, da quando è stato istituito, corre oggi i rischi più gravi di deriva privatistico-assicurativa, poiché potenti forze economiche fanno credere che risolverebbe l’accesso a prestazioni oggi razionate in tanti campi.

Siamo infine convinti che il punto di vista di generalisti di sanità pubblica possa ampliare l’orizzonte di specialisti delle discipline implicate e pazienti, in genere molto focalizzati sul loro specifico ambito disciplinare e sui comprensibili timori per la loro specifica condizione. Anche esperti di economia pubblica dovrebbero tenerne conto.

* L’articolo è firmato anche da Alberto Aronica, Franco Berrino, Antonio Bonaldi, Vittorio Caimi, Gianfranco Domenighetti, Giuseppe Fattori, Paolo Longoni, Giulio Mariani, Luca Mascitelli, Ernesto Mola, Alessandro Nobili, Alberto Nova, Gianfranco Porcile, Luisa Ronchi.

 

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