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Più trasporto pubblico, meno smog: una ricetta cara?

Nelle scorse settimane il tema smog ha fatto prepotentemente ritorno sulle prime pagine dei giornali, come accade ogni qualvolta le condizioni atmosferiche del periodo invernale determinano un superamento dei limiti sempre più stringenti stabiliti dalle normative. E, come in altre occasioni, è riemersa la contrapposizione tra misure “di emergenza” e “strutturali”. Tra queste ultime, per quanto concerne l’ambito della mobilità, sembra essere centrale il ruolo del potenziamento dell’offerta dei servizi di trasporto collettivo.

La terapia tradizionale

È forse utile provare a quantificare quale potrebbe essere la ricaduta di una tale strategia. Lo si può fare grazie ai dati contenuti nel Piano urbano della mobilità sostenibile del comune di Milano, che ha visto la luce nel 2015.
Il piano si propone come obiettivo una riduzione della quota di domanda di mobilità soddisfatta dal mezzo individuale a favore dei trasporti collettivi e degli spostamenti in bicicletta e a piedi: l’attuazione dei progetti previsti dal documento determinerebbe una riduzione della percentuale di spostamenti in auto di circa il 6 per cento (dal 28,8 al 22,9 per cento nel caso di quelli interni alla città e dal 57,1 al 51,3 per cento per quelli di scambio); il 5 per cento della domanda passerebbe al trasporto pubblico e l’1 per cento alla bicicletta.

Effetti limitati sullo smog

In quale misura il cambio modale influirebbe sulla qualità dell’aria? Il piano non fornisce una risposta esplicita, ma una stima approssimativa può essere fornita sulla base degli scenari di evoluzione delle emissioni che vengono descritti analiticamente. In particolare, nel documento vengono messi a confronto lo “stato di fatto” attuale, lo “scenario di riferimento” (ossia come si evolverebbe la situazione in assenza di provvedimenti) e lo “scenario di progetto”.
Nello scenario di riferimento le emissioni si ridurrebbero rispetto allo stato di fatto di una percentuale compresa tra il 21 per cento nel caso del Pm10 e il 72 per cento per l’Ec-Bc (carbonio elementare – black carbon). Come riconosciuto nello stesso documento: “il contributo più rilevante alla riduzione delle emissioni è attribuibile al progresso tecnologico nella progettazione dei veicoli a motore per il rispetto delle direttive europee in materia di emissioni da veicoli a motore e al progressivo ricambio nel parco veicolare circolante”. A valle, vi è un marginale contributo delle azioni che puntano a modificare la ripartizione modale degli spostamenti. Nel caso del Pm2.5, la differenza di emissioni tra lo scenario tendenziale e quello di progetto risulta pari a 17 tonnellate all’anno, che rappresentano meno dell’1 per cento di quelle totali della provincia di Milano pari nel 2012 a 2.117 tonnellate. Come evidente, la ricaduta in termini di miglioramento della qualità dell’aria della riduzione di emissioni risulta difficilmente percepibile.
Sembrano quindi essere prive di fondamento affermazioni come, ad esempio, quella che proviene da Atm Milano secondo cui: “il potenziamento del trasporto pubblico è lo strumento principale per combattere lo smog” e ingiustificate le richieste di maggiori risorse per il settore al fine di perseguire l’obiettivo.

Figura 1 – Emissioni atmosferiche dovute ai trasporti (Milano + 40 comuni di prima fascia) [t/anno]

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Fonte: elaborazione su dati comune di Milano, Piano urbano della mobilità sostenibile

Figura 2 – Inventario delle emissioni in atmosfera della provincia di Milano

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Fonte: Arpa Lombardia, Rapporto sulla qualità dell’aria della città metropolitana di Milano 2014


Chi paga?

I benefici che derivano da una migliore dotazione di servizi di trasporto collettivo vanno in misura largamente prevalente agli utenti. Per ragioni di equità dovrebbero essere costoro a farsi carico dei maggiori costi che, come già evidenziato su queste pagine da Andrea Boitani e Paolo Beria, non sono affatto trascurabili. Nel caso di Milano, il Piano urbano della mobilità sostenibile comporterebbe maggiori spese e minori introiti per il settore pubblico pari a circa 200 milioni all’anno che andrebbero a sommarsi ai 200 milioni per il pagamento dei canoni delle linee M4 ed M5; il costo complessivo per la finanza pubblica sarebbe quindi a regime più che raddoppiato rispetto a quello attuale. Il conto potrebbe essere meno salato solo con un radicale aumento dell’efficienza del settore – che presenta in Italia costi di produzione doppi e un costo del lavoro per unità di prodotto triplo rispetto a quello britannico – abbinata alla razionalizzazione dell’attuale offerta che presenta coefficienti di occupazione, in media, non elevati: nel caso di Milano ogni 100 posti forniti ne vengono occupati 12.
Non sembra particolarmente saggio incrementare l’afflusso di benzina in un motore che funziona attualmente con bassi livelli di rendimento e, quindi, elevate “esternalità” per i contribuenti.

Figura 3 – Costi e ricavi del Tpl in Europa

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Fonte: Il Sole 24 Ore, 2/11/2012


Figura 4
– Grado di utilizzo del Tpl a Milano

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Fonte: comune di Milano, Piano urbano della mobilità sostenibile

 

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Ma la riforma dei reati tributari è un’occasione persa

  1. Marco Spampinato

    Bene guardare ai documenti di piano e all’efficienza/efficacia delle aziende di trasporto pubblico, ma l’informazione sui costi è incompleta.
    1. Il costo annuo di un’automobile è stimato da circa 3000 a 7000euro (su siti x consumatori, la seconda cifra tiene conto dell’ammortamento). A questi costi, anche nel caso di scarso utilizzo, si deve aggiungere il fabbisogno di capitale iniziale (dai 15.000 euro in su). L’acquisto di un auto aggiuntiva, con o senza incentivi, comporta quindi un esborso pari alla scelta di un anno o due (forse più) di studi universitari. Mi aspetto l’obiezione: ma studiare a che serve? Rende? (L’auto non rende nulla, sono due consumi..).
    2. Sarebbe positivo che in un piano di mobilità non si demandasse ad altro/i le responsabilità, cercando di quantificare i propri obiettivi. Menzionare l’innovazione sui motori ha forse altro scopo: evitare lo scrutinio critico sulla spesa/interventi previsti, se la riduzione dello smog non è percepibile “a naso”. Un eccesso di preoccupazione può distorcere gli obiettivi e condurre a una difesa politica preventiva da possibili critiche…
    3. Difficile comprendere come tra uno spostamento con mezzi pubblici e piedi/bici (+auto condivisa, affitto etc.) ed uno in automobile, il primo possa inquinare più del secondo. Quindi si dovrebbe capire meglio come quel 5% è quantificato, se è abbastanza ambizioso o non lo è affatto, a parita di variabili esterne (redditi, innovazione tecnologica, meteo).

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