Il decreto legislativo 158/2015 ha modificato la disciplina penale su imposte dirette e Iva. Ma è un semplice restyling dell’esistente, mentre era auspicabile un intervento più incisivo, con una maggiore pervasività dei criteri di sussidiarietà ed extrema ratio. Le novità sui delitti collaterali.

Una riforma a bassa intensità

Il recente decreto legislativo 158/2015 ha modificato, tra l’altro, la disciplina penale in materia di imposte dirette e Iva, dando attuazione alle indicazioni della legge delega n. 23/2014. L’apprezzamento per l’intervento è stato abbastanza generalizzato. Eppure, – nonostante taluni miglioramenti – non mancano di certo timidezze, se non (incoerenti) inasprimenti punitivi.

In oltre quindici anni di applicazione concreta, il sistema si era non poco opacizzato. Tre i principali difetti:

  • un certo smarrimento dell’impostazione originaria del decreto legislativo 74/2000, che a causa di numerosi interventi legislativi su singoli punti aveva subito un’alterazione della propria struttura di fondo, così che anche comportamenti dolosi ma sprovvisti di connotazioni artificiose finivano attratti all’ambito della repressione penale;
  • il fatto che vi fossero evidenti limiti in termini di efficacia preventiva generale, in quanto alcuni fenomeni rilevanti (come la cosiddetta evasione da riscossione) erano sottovalutati;
  • l’evidente sovrapposizione fra la sfera penale tributaria e l’area della sanzionabilità amministrativa.

Ora, a fronte di scenari così impegnativi, la scelta attuata con il decreto legislativo 158/2015 è stata quella di un mero restyling dell’esistente; un intervento sotto taluni profili non deprecabile, ma sotto altri quasi in controtendenza rispetto a ciò che ci si sarebbe potuti attendere e cioè una maggiore pervasività dei criteri di sussidiarietà ed extrema ratio.

Le principali novità

Le direttrici d’intervento più significative della riforma possono riassumersi:

– in un ampliamento dell’area del penalmente rilevante per effetto congiunto della modifica della definizione di elementi attivi e passivi contenuta nell’articolo 1, comma 1, lettera b) tale per cui assumono ora potenziale rilievo criminale non solo le condotte incidenti sulla quantificazione dell’imponibile, ma anche quelle che determinano una diretta alterazione dell’imposta dovuta; e dell’introduzione del delitto di omessa dichiarazione del sostituto d’imposta che rappresenta un (del tutto inatteso) recupero di una delle infelici fattispecie criminose già sperimentate nella (deludente) esperienza della legge 516/82;
– nel mantenimento di un adeguato presidio repressivo a fronte delle condotte fraudolente in conseguenza della conservazione della falsità dichiarativa realizzata mediante l’impiego di fatture non veritiere (articolo 2) e del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3) ancorché la descrizione del fatto tipico in questo caso sia stata revisionata ampliandone l’ambito soggettivo (in precedenza limitato ai soli soggetti tenuti all’istituzione delle scritture contabili) ed eliminando la falsa rappresentazione contabile dalla descrizione del fatto tipico;
– nella significativa (e auspicata) revisione della condotta sanzionata dal delitto di dichiarazione infedele (articolo 4) la cui formulazione previgente, riproduttiva dell’analogo illecito amministrativo, comportava (al superamento delle prescritte soglie di punibilità) che qualsiasi divergenza fra l’imponibile dichiarato e quello accertato – quand’anche in ragione della cosiddetta evasione interpretativa – poteva innescare un procedimento penale.

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Oltre a intervenire sulle fattispecie di ordine dichiarativo, tuttavia, non sono mancate le innovazioni anche sui cosiddetti delitti collaterali. Anche in questo caso, emergono luci e ombre. In modo opinabile, infatti, è stata mantenuta la criminalizzazione dell’omesso versamento dell’Iva risultante dalla dichiarazione annuale (articolo 10-ter), limitandosi a un innalzamento della soglia di punibilità. Questa soluzione lascia perplessi per una duplice motivazione, l’una contingente e l’altra strutturale. In primo luogo, infatti, va rilevato come in molti casi l’omessa corresponsione del tributo trovi la propria occasio in una crisi di liquidità la quale impedisce di fatto l’adempimento. In una tale situazione, l’applicazione della sanzione penale in aggiunta a quella amministrativa configura un eccesso punitivo poco razionale. In seconda istanza, poi, è indubbio come la perdurante criminalizzazione dell’omesso versamento Iva perpetui la penalizzazione di una condotta sprovvista di connotazioni fraudolente allorquando il principio di sussidiarietà lo sconsiglierebbe.
Inoltre, pur a fronte di un innalzamento della relativa soglia di punibilità è stato ampliato l’oggetto del delitto di omesso versamento previsto dall’articolo 10-bis per effetto della criminalizzazione anche dell’omessa corresponsione delle ritenute semplicemente dovute facendo così regredire l’avvenuta certificazione delle stesse a un posterius potenzialmente irrilevante.
Infine, è stato mantenuto il delitto di indebita compensazione (articolo 10-quater) il cui fatto tipico (in particolare modo il discrimen fra l’impiego di crediti non spettanti e quello di crediti inesistenti) avrebbe avuto bisogno di un’adeguata revisione per colmarne il deficit di tassatività e non di una semplice iterazione normativa.

Una carenza di visione?

La sensazione preliminare che si trae dalle scelte operate dal decreto legislativo 158/2015 è quella di un legislatore delegato non particolarmente ispirato. Accanto alla risoluzione di un problema (la sottrazione al rischio penale della cosiddetta evasione interpretativa) vi sono interventi di cui si stenta a comprendere l’opportunità, come la criminalizzazione dell’omessa dichiarazione del sostituto d’imposta, la perdurante criminalizzazione dell’omesso versamento Iva annuale, l’ampliamento del fatto tipico di omesso versamento di ritenute.
Se un intervento di riforma era avvertito come necessario, avrebbe dovuto compiersi ex ante un adeguato screening delle reali esigenze punitive. Non sembra che ciò sia realmente avvenuto o almeno, se è avvenuto, non traspare dalla trama del provvedimento. Dall’intervento legislativo, il Dlgs 74/2000 esce modificato ma non rinvigorito e mostra ancora molte delle pecche strutturali che avevano suggerito una riforma.

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