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La tragedia della disoccupazione giovanile

Il tasso di disoccupazione giovanile registrato a gennaio in Italia è del 39,3 per cento. Non è solo un problema economico: non essere occupati determina una perdita di capitale umano, che può produrre effetti gravi su individui e società nel suo complesso. Il sostegno all’inclusione attiva.

I dati sulla disoccupazione dei giovani

Secondo i dati provvisori dell’Istat, il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a gennaio è stato pari al 39,3 per cento, il valore più alto dall’ottobre 2015. La crisi economica ha penalizzato i giovani non solo in Italia, ma in tutti i paesi europei; il tasso di disoccupazione giovanile (che dal 2005 aveva incominciato a scendere) nel 2008 ha ripreso a salire fino a raggiungere il 23,7 nel 2013. Come si può vedere nella tabella, vi è una forte eterogeneità tra paesi, con tassi inferiori al 10 per cento in Germania, Danimarca, Islanda e Norvegia e superiori al 30 per cento nei paesi del Mediterraneo.

Tabella 1 – Tasso di disoccupazione giovanile paesi UE

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Dati Eurostat

Come evidenziato da Mario Draghi, in una recente intervista al Guardian, tassi di disoccupazione giovanile così elevati sono una tragedia perché i giovani, restando esclusi dal mercato del lavoro, non riescono a sviluppare le proprie capacità.

Così si perde capitale umano

Secondo la teoria del capitale umano, la produttività sul mercato del lavoro dipende, oltre che dalle capacità innate e da quelle acquisite attraverso l’istruzione, anche dalla formazione maturata sul posto di lavoro. Con il passare del tempo, alcune conoscenze tendono a diventare obsolete mentre altre vengono perse a causa del mancato utilizzo. Non essere occupati determina quindi una perdita di capitale umano che può produrre effetti gravi sia sugli individui che sulla società nel suo complesso. Un recente rapporto della Commissione europea stima per i paesi Ue un costo di circa 153 miliardi di euro (1,2 per cento del Pil) derivante dai Neet (Not in Education, Employment or Training), cioè i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non sono coinvolti in processi formativi. La stima include i costi relativi ai sussidi di disoccupazione, ai redditi non percepiti, ai contributi non versati e alle tasse non riscosse. Ma sarebbe molto maggiore se si considerassero anche gli effetti sulla salute fisica e mentale, sul tasso di criminalità e sulla coesione sociale. Non bisogna neanche dimenticare che i giovani più colpiti sono quelli con bassi livelli di istruzione e basse competenze, cioè quelli che provengono da famiglie più disagiate. Perciò la disoccupazione giovanile può frenare la mobilità intergenerazionale e fare in modo che il disagio sociale si tramandi da una generazione all’altra. Francesco Giubileo e Francesco Pastore hanno recentemente discusso su questo sito gli effetti di una serie di politiche attive del lavoro (ad esempio programmi di accompagnamento e di formazione), sottolineando come spesso nel nostro paese non abbiano prodotto gli effetti sperati. Né il Jobs act né il programma Garanzia giovani sono stati sufficienti a salvare i giovani italiani dalla disoccupazione. Le imprese hanno preferito assumere lavoratori già qualificati (non è detto che il raddoppio del bonus nell’ambito di Garanzia giovani sia sufficiente a invertire la tendenza). Sembrerebbe quindi necessario accompagnare le strategie di rimedio con politiche preventive di più lungo periodo. Si tratta di dare a tutti “il passaporto per la vita”, cioè le competenze necessarie per un pieno inserimento economico e sociale. La letteratura economica mostra che sono gli investimenti in età pre-scolare a essere i più efficaci. Il premio Nobel per l’economia James Heckman ne stima un rendimento del 7-10 per cento annuo, grazie a migliori risultati a scuola e sul mercato del lavoro e a minori costi sociali. Famoso è ad esempio il Perry Pre-School Program, realizzato in Michigan, che ha coinvolto bambini di 3-4 anni con un basso quoziente intellettivo e provenienti da famiglie a basso reddito. Le attività previste dal programma mirate allo sviluppo delle capacità cognitive e sociali hanno avuto effetti positivi sul rendimento scolastico, sul tasso di occupazione a 19 anni e sui redditi. Un programma di questo tipo poteva essere inserito in Italia nell’ambito del “Sostegno per l’inclusione attiva” esteso, dopo una sperimentazione avviata nel 2013, all’intero territorio nazionale. Il programma prevede, oltre a un sostegno economico, un progetto personalizzato d’intervento che riguarda tutti i componenti della famiglia, con particolare attenzione ai bambini. A differenza però di quello che è stato fatto negli Stati Uniti e in altri paesi europei, non esiste un protocollo di attività precise. Le linee guida recitano: “I servizi sociali, per parte loro, si impegnano a favorire con servizi di accompagnamento il processo di inclusione e di attivazione sociale di tutti i membri del nucleo, promuovendo, fra l’altro (…) il collegamento con il sistema scolastico (…)”. Non definendo interventi precisi e non stabilendo un piano rigoroso di valutazione, il governo italiano sta perdendo l’opportunità di intraprendere azioni mirate e di realizzare una seria analisi costi-benefici sui risultati che saranno raggiunti.

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Salviamo la Garanzia giovani dai manichei

16 commenti

  1. Tutte le economie del mondo sono puntate verso l’aumento di produttività. Ovvero diminuire il lavoro a parità di produzione o aumentare la produzione a parità di lavoro. Nel primo caso i consumi diminuiscono per la diminuzione del monte salari e parte del prodotto rimarrà invenduto, lo stesso accadrà alla produzione eccedente nel secondo caso. Forse il problema sta da un’altra parte, ovvero nella pessima redistribuzione della ricchezza prodotta come ci insegna il fatto che il pianeta produce cibo per 10/11 miliardi di persone ma dei 7 esistenti almeno 1 soffre la fame e come ci ha segnalato Piketty con le sue statistiche sul capitale del 21° secolo.

  2. franco trinchero

    uno dei problemi, potrebbe essere che, salvo poche e lodevoli eccezioni, i bravi imprenditori del nostro capitalismo reale preferiscono sfruttare lo sfruttabile del capitale umano, compreso quello giovanile, anziché svilupparlo? Si fa un gran parlare della bassa qualità e della poca voglia di lavorare dei lavoratori (inclusi i giovani) italiani, ma non sarebbe ora di aprire un dibattito anche sulla qualità dell’imprenditoria nostrana?

  3. Maria Rosaria Di Pietrantonio

    Nessuna riforma è utile in un paese corporativo come il nostro, abbiamo visto che nessuno può modificare questa struttura e quindi chi è “figlio di” starà benone, chi non lo è , qualunque sia il suo livello culturale non avrà nessuna possibilità, specie nel campo delle professioni, dove il corporativismo è totale e trasversare orizzontale etc…esempio: farmacisti, titolari super protetti e gli altri super abbandonati da tutti, bando di concorso per una farmacia comunale a Camerino, per un lavoro di 2 anni, il requisito fondamentale rischiesto in busta chiusa è la richiesta di paga oraria al ribasso……ora, la paga oraria di un povero disgraziato farmacista italiano è 12,00 euro all’ora, ma di che stiamo parlando…fuggire fuggire subito e non voltarsi mai!

    • Marco

      Io sono Farmacista e quello che è successo lo trovo vergognoso, trattati come le colf, dopo anni di studi, esame di stato ed in alcuni casi anche specializzazione

      Vogliamo poi parlare dell’abusivismo al banco? nn si trova lavoro perchè c’è il commesso che si è fatto assumere 10 anni fa, quando alcuni di noi studiavano duramente, perchè c’era carenza di farmacisti e lavora al posto nostro, senza che nessuno dica niente. I Nas, le asl fanno finta di nulla.

      La busta paga di 12 euro è nei sogni, la paga oraria e 10,9 qualcosa

  4. anna

    Salve, non sono un’esperta, ma solo una persona, quasi anziana, che riflette. La disoccupazione giovanile italiana ha tanti cattivi padri, difficile elencarli tutti, mi limiterò ad annotare la chiusura del tempo pieno alle scuole medie e alla chiusura contestuale (con l’abolizione del doppio insegnante) di quelle meraviglie che erano i laboratori di ed.tecnica sempre delle scuole medie, dove tanti si sono formati all’attività pratica; hanno fatto esperimenti in collettivo, dalle lampadine in serie ed in parallelo, alle costruzioni in legno, a Word star dei primi computer, sotto la minaccia di essere estromessi dal lab. se non ti comportavi bene, da professori sereni che non temevano le ritorsioni, spesso malsanamente protettive, dei genitori. Quei laboratori sono stati provvidenziali per molti, ricchi e poveri che fossero. Avessi potere ci ripenserei….. certo ci vorrebbero due insegnanti e gruppi piccoli , ma… hai visto mai con l’aria di disoccupazione che tira….
    Con stima

    • bob

      Anna tra tutti gli interventi il suo ha l’onesta e il buonsenso di ricordare e di non perdere la memoria storica. cosa fondamentale per un uomo o un Paese. Ci sono 2 tipi di smemorati: gli imbecilli e i furbi! Categoria che vive in simbiosi stretta. Basterebbe analizzare il percorso negli ultimi 40 anni di questo Paese per capire perchè si è arrivati ad una crisi culturale senza precedenti. Perchè a mio avviso, rispetto ad altre situazioni mondiali, la nostra non è una crisi strutturale ma profondamente culturale….quindi pericolosissima! Vogliamo citare alcuni flash tanto per ricordare? Partiamo dal ’68 dal 6 politico, per poi arrivare alla follia delle Regioni, dalla distruzione per via giudiziaria di una intera classe politica lasciando spazio ad un orda di masanielli, per finire alla cultura dei “compro oro” e delle “slot machine” , dall’elettronica fatta sparire a Ivrea, al passaggio dalla chimica fine di Giulio Natta al ” varachinaro di Treviso” etc etc. Trovarsi in braghe di tela e non chiedersi perchè, non porsi domande, non fare analisi critica è classico di un popolo di straccioni “Franza o Spagna purchè se magna” ………..non è cambiata una virgola

  5. MAURO RANELLI

    Sembra un problema di inclusione derivante da non adeguata formazione. Se in Italia il programma Garanzia Giovani ed il Jobs Act non stanno dando i risultati attesi, la strada percorribile potrebbe essere quella di coinvolgere direttamente le imprese private, ma anche pubbliche, nella formazione. Far accedere, dunque, a risorse pubbliche destinate alla formazione le imprese e, quindi, premiare anche con sgravi contribuiti quelle che al termine del periodo formativo, stabilizzano un congruo numero di giovani rispetto alla dimensione ed alla capacità economica aziendale. In questo modo, emergerebbe anche la qualità imprenditoriale italiana e, soprattutto, la capacità dei giovani di mettersi veramente alla prova nel mercato del lavoro. E’, però, indubbio che qualora si continuasse a mantenere l’attuale livello di formazione nonché il blocco del ricambio generazionale, ormai strettamente legato all’allungamento dell’età pensionistica ed al fermo del turn over nella P.A., il potenziale del capitale umano disponibile continuerà ad essere intaccato con indubbie perdite in termini di competenze, dinamicità ed inclusione sociale.

    • key

      Non c’è nulla da fare lo Stato deve metterci soldi.AGL agenzia generale del lavoro.Basta Regioni,Provincie,Comuni.Un unico interlocutore tra cittodino e Stato.Basta mille portali autorizzati che generano un gran confusione.Basta milioni di CV che fluttuano nella rete come un nugolo di moscerini.Tutoring fisico o virtuale per ogni cittadino.Inquadramento,formazione inserimento,assistenza(assegno di disoccupazione o inoccupazione).

  6. Federico

    Buongiorno Dottoressa, innanzitutto complimenti per l’articolo, vorrei delle delucidazioni

    1) Chi studia è considerato nelle statistiche (quindi aumenta gli occupati), non viene conteggiato quindi il calcolo è disoccupati/persone – studenti
    2) Leggo da più parti che gli immigrati “ci salveranno” perchè potranno contribuire con le loro tasse ecc, ma se in Italia c’è una grossa fetta della popolazione disoccupata che senso ha? (ovviamente il mio non ha intento razzista, sono solamente ignorante di certe dinamiche e ragionamenti macroeconomici)

  7. Enrico

    <>, le ragioni sono molteplici e non tutte chiaramente individuate con il loro peso relativo.
    La “soluzione” non esiste altrimenti non esisterebbe il problema.
    Sicuramente spostare la tassazione dal lavoro al consumo sarebbe un forte incentivo all’assunzione da parte del privato e comunque non la modulerei sull’età, servirebbe solo a spostare il problema.

    • Enrico

      Scusate, nel commento manca l’incipit: “Il cavallo non beve”

  8. Ferdinando

    Il lavoro sia intellettuale che manuale è stato falciato dall’ informatica e dalla robotica. Non c’ è più lavoro per tutti. Non è più neanche una questione di buona volontà: Il lavoro non c’è. E noi siamo sempre di più e viviamo troppo a lungo. Dobbiamo trovare nuovi pianeti da abitare.il nostro futuro è nello spazio, Siamo ancora alla preistoria….

  9. marcello

    Uno dei più attenti commentatori e critici dell’austerità espansiva è stato P. Krugman, premio Nobel e commentatore del NYT. In questi mesi sono andato a rileggermi i suoi articoli scientifici degli anni 80-90 e non senza un certo imbarazzo ho scoperto che era già tutto scritto. L’economia Internazionale è forse il settore più trascurato delle discipline economiche, ma a torto perchè le sue “leggi” sono poche e ….funzionano, cioè spiegano e rappresentano chiaramente e semplicemente quello che accade (gravity equation etc.). Cosa dice Krugman negli anni 80? La globalizzazione porterà una competizione sui settori con bassa qualità del lavoro e se il mercato del lavoro ha salari flessibili (USA) i lavoratori guadagneranno meno, se i salari sono rigidi (Eurozona) lo squilibrio farà crescere la disoccupazione. Soluzione: accrescere gli investimenti nei settori con lavoro high skilled e sfruttare la parecellizaione della catena del valore per riposizionarsi nei settori ad alto valore aggiunto. Infine e questo mi sembra l’elemento più importante per questa storia l’elasticita di sostituzione tra manifattura e servizi è troppo bassa perchè la produttività cresce poco, troppo poco e soprattutto molto meno nei servizi che nella manifattura, quindi pensare di fare dell’Italia, un paese da 60 mln di persone, una gigantesca Disneyland è una grande idiozia. Fate un giro a Liverpool o Manchester per vedere cosa accade se alle fabbriche si sostuiiscono ristoranti e alberghi!

  10. Luca B.

    Ho un rispetto massimo per quei giovani che non trovano lavoro. Eh si… li capisco proprio visto che a 46 anni e disoccupato da circa 1 e mezzo, condivido le loro preoccupazioni.

    Mi piacerebbe però fosse dato risalto, ovviamente con dati statistici alla mano, anche alla fascia d’età 34-49. Una fascia che viene candidamente segnalata come problematica per la ricollocazione, ma della quale la comunicazione in generale si occupa veramente poco.

    Sono d’accordo con Anna. La disoccupazione in Italia ha molti cattivi padri. Aggiungerei anche qualche non eccelsa e piangente madrina di recente incarico, che, tramite opportuna legiferazione, ha permesso la ristrutturazione dei costi aziendali del personale, scaricando sullo stato gli oneri sociali conseguenti….

  11. Anche l’occupazione sta diventando una tragedia, con la nascita di quei lavoratori appena al di sopra della soglia di povertà e pagati a voucher. CENTOQUINDICI MILIONI solo nel 2015

  12. Savino

    La commedia tragica dei fannulloni che hanno un lavoro e la tragedia dei giovani iperpreparati che si vedono cestinati i curricula scritti magistralmente.
    Sono risorse umane con cultura al di sopra della media volutamente sprecate.
    Nel metodo è un problema anche di incompetenza nella selezione.
    Nel merito è un problema di mentalità, perchè si preferisce chi fa un compitino ad un genio.

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