Dall’Unione Europea arrivano vincoli crescenti che non riguardano solo la politica economica o fiscale. I margini di manovra dei governi nazionali, regionali o locali si riducono di conseguenza. Ma così si restringe lo spazio per il pluralismo delle scelte. E diminuisce il ruolo della politica.
I rapporti tra centro e periferia nella Ue
Nel corso degli ultimi decenni i rapporti tra centro e periferia all’interno degli stati membri dell’Unione Europea sono stati influenzati in modo significativo dall’europeizzazione, cioè dal processo di costruzione e diffusione di istituzioni e politiche pubbliche a livello Ue. Secondo vari studi empirici, a partire dagli anni Novanta, in diversi casi l’integrazione europea ha ampliato i poteri delle regioni e, nel complesso, ha prodotto effetti diversificati. In paesi a forte vocazione centralista, come la Francia e Regno Unito (e, sebbene in modo più limitato, in paesi quasi-federali come l’Italia), la diffusione delle politiche comunitarie ha comportato un rafforzamento dell’autonomia degli esecutivi subnazionali nei confronti dei governi nazionali. Il meccanismo è semplice: le politiche e le istituzioni comunitarie, attraverso l’introduzione di nuove pressioni o opportunità sovranazionali, hanno consentito agli attori subnazionali di sviluppare nuove forme di alleanze, che in più occasioni hanno fornito loro l’opportunità di scavalcare i governi nazionali, massimizzando i propri interessi politici ed economici e conseguendo specifici obiettivi mai raggiunti prima a causa delle resistenze poste al livello centrale. Diverso è stato invece l’impatto delle politiche comunitarie sulle relazioni tra centro e periferia in paesi federali, come la Germania e la Spagna: lì le stesse pressioni provenienti dall’Unione Europea, hanno portato a una limitazione del potere regionale. Insomma, un quadro variegato che però conferma la rilevanza del cambiamento di relazioni tra i vari livelli di governo rispetto al passato. Il limite più evidente dei risultati empirici di questo tipo è che spesso gli studi da cui sono stati tratti erano incentrati su di un unico settore di politica pubblica – politiche di coesione o sviluppo regionale – e pertanto i risultati potrebbero valere specialmente (o esclusivamente) per quell’area. Non di rado, invece, le riflessioni conclusive degli osservatori riguardano il processo di europeizzazione (e, prima ancora, di integrazione europea) nel suo complesso, producendo generalizzazioni piuttosto audaci rispetto al materiale empirico disponibile. Ad esempio, focalizzando l’attenzione sulla politica di coesione europea – volta alla riduzione delle disparità socioeconomiche presenti nei paesi membri e alla promozione dello sviluppo regionale – in letteratura sono state tratte conclusioni più generali sulla nascita di un’Europa delle regioni in cui il livello decisionale centrale sarebbe stato progressivamente superato. Ciò avrebbe determinato una trasformazione della configurazione dei poteri graficamente visualizzabile come un passaggio da una forma di diamante a una simile a una clessidra (figura 1): il potere del livello nazionale si sarebbe ridotto al punto da diventare un mero filtro che connette il livello comunitario e quello regionale. Dal canto loro, l’Unione Europea e il livello regionale avrebbero conquistato nuovi spazi di potere determinati dall’accrescimento delle competenze disponibili.
Figura 1 – Verso una nuova configurazione dei poteri nell’Unione Europea?
Chi decide?
Se mai vi era del vero in questa nuova configurazione di potere, di certo lo scenario in tempi recenti è cambiato. A causa dei crescenti vincoli provenienti dall’Unione Europea, non solo in tema di politica economica e coordinamento fiscale, i margini di manovra per le autorità di governo nazionali, regionali o subregionali si sono notevolmente ristretti. Certo, non siamo tornati a un contesto in cui esiste solo il livello nazionale; nondimeno, assistiamo a un maggiore peso dell’Unione Europea che vincola sempre più non solo i governi nazionali, bensì – a cascata – anche quelli regionali e locali. E ciò rende sempre più difficili percorsi decisionali locali autonomi rispetto alle regole decise a livello europeo. Nell’ambito delle politiche europee, poi, alcuni governi – come la Germania – sono riusciti a ritagliarsi un ruolo più centrale che mai, rendendo la configurazione dei poteri ancora più complessa. Cosicché la loro ripartizione è ora più simile a un triangolo rovesciato che non a una clessidra. I mutamenti devono far riflettere sulla nuova natura della competizione partitica che ne deriva, sia a livello nazionale, sia a livello locale. Se andiamo oltre alla definizione classica di politica come “lotta per il potere” e la intendiamo come “conflitto circa l’adozione di decisioni” capiamo bene quanto lo spazio per un ampio pluralismo in termini di scelte sia stato progressivamente limitato dai “vincoli esterni’ europei. E, di conseguenza, quanto lo spazio per la ‘politica’ sia ormai ridotto al lumicino: dopo l’era della ‘post-democrazia’, siamo entrati nell’era della ‘post-politica’.
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stefano osti
Da un lato si vorrebbe una più forte unione europea per avere voce in capitolo a livello mondiale, dall’altro ci si rammarica della perdita di peso della politica locale o nazionale; il problema vero non potrebbe essere che la politica per le decisioni importanti dovrebbe collocarsi a livello europeo superando anacronistici nazionalismi e burocratismi comunitari?
Flavio
Sono sorpreso perché in questo articolo, peraltro pregevole in molte sue parti, non si menziona mai il ruolo del Parlamento europeo, eletto dai cittadini della UE, né quello del Consiglio della UE, i cui membri sono Ministri nazionali, quindi in linea di principio eletti dai cittadini della UE. Infine, i membri della Commissione europea devono ottenere la fiducia del Parlamento europeo (che può anche sfiduciarli). Non mi è chiaro quindi cosa si intenda per “post-politica” men che meno “post-democrazia”.
EzioP1
Come Giappone e USA insegnano la liquidità o la soluzione finanziaria non bastano a far riprendere i consumi (famiglie e imprese), ci vuole la fiducia nel futuro (stabilità economica e politica e non solo). Infatti dove la disponibilità finanziaria è aumentata i consumatori invece di spendere hanno preferito risparmiare per prevenire possibili disagi in tempi futuri. C’è quindi un futuro che viene visto da tutti con le lenti scure. La risoluzione di questo negativismo si può trovare forse nella stabilità politica, nell’assenza di guerre fredde calde e monetarie, nella correttezza o assenza di corruzione, ma queste incidono meno. E’ chiaro che quindi il problema non è risolvibile con il buon comportamento di un paese o di un gruppo di essi, il fenomeno investe tutti i paesi, è un fenomeno planetario. E quando mai lo risolveremo ?
Henri Schmit
Il 2015/16 sarà ricordato come l’anno del ritorno ‘at the top of the agenda’ dei temi di sicurezza. Il primo compito dello Stato è quello di garantire la preservazione della vita, il benessere e i valori essenziali dei suoi cittadini. La ridistribuzione (il well fare, il fondo di coesione, le pensioni, l’indennità di disoccupazione etc) viene dopo. Pure i diritti fondamentali, le libertà pubbliche, esistono solo se la sicurezza è assicurata. L’UE non è un’unione della sicurezza. La Nato e gli Stati nazionali lo sono, alcuni in modo efficiente (diciamo la F, il RU e la CH), altri in modo più improvvisato (paesi come il B, per non parlare dei presenti ….). La democrazia vera è legata a doppio filo alla sicurezza; i paesi che non sono in grado di assicurare questa, difficilmente riescono (a lungo) a garantire quella. Chi decide? chiede l’autore. Bisogna sapere che cosa intende, chi decide oggi (senza alcun dubbio i governi nazionali anche per l’UE, nonostante le figure a triangolo, la realtà è quella del rombo); chi deciderà probabilmente domani (speriamo che sia un livello democraticamente legittimato, cioè né l’UE né la maggiore parte delle realtà sub-nazionali) o chi dovrebbe decidere? Mi auguro solo chi è eletto in elezioni aperte, controllato con strumenti adeguati (trasparenza, dibattito, iniziative aperte e votazioni popolari), responsabile davanti ad altri organi e all’opinione pubblica, revocabile a qualsiasi momento se non rispetta le regole d’ingaggio: non è l’UE.