Un disegno di legge mira a regolare lo svolgimento delle primarie. Sono diversi gli aspetti che suscitano dubbi. A partire dal fatto che si tengano per l’elezione di sindaci e presidenti di regione, ma non per scegliere il candidato presidente del Consiglio. Multe a chi non rispetta il risultato.
Regolare le primarie: sì, ma come?
Qualche mese dopo le contestate primarie del Partito democratico per l’elezione a sindaco in alcune importanti città italiane, una proposta di legge mira a regolarne lo svolgimento, rendendole uno strumento “pubblico”.
La disaffezione nei confronti della politica e le vicende giudiziarie legate ad alcuni membri del Parlamento hanno allontanato militanti e simpatizzanti dall’area di influenza dei partiti. Proprio per questo motivo, le primarie sono state concepite da un lato come antidoto alla crescente sfiducia nei confronti delle strutture di intermediazione politica (i partiti) e, dall’altro, come strumento di riavvicinamento dei candidati agli elettori. Il collegamento tra la scelta dei candidati e l’espressione di una “volontà degli elettori”, quindi, dovrebbe essere visto positivamente. Ma non è così in questo caso.
Nel disegno di legge, la disciplina delle primarie è legata alle cariche monocratiche elettive: sindaci e presidenti di regione nella maggioranza dei casi. Se la filosofia, secondo i proponenti, è regolare la scelta di un candidato da parte dei partiti, per coerenza si potrebbe estendere la possibilità anche per la presidenza del Consiglio, specie in un contesto nazionale che, con l’entrata in vigore dell’Italicum, si vorrebbe avvicinare di fatto a una elezione diretta (premierato) del candidato. Comunque sia, benché la scelta spetti al Presidente della Repubblica e al Parlamento che gli deve accordare la fiducia, l’indicazione del candidato è divenuta una prassi consolidata, anche nelle schede elettorali.
In ogni caso, la legge non dovrebbe discriminare – come invece propone, attraverso l’esclusione dal 2×1000 (articolo 9) – un partito che dovesse scegliere altri metodi di selezione dei candidati per le cariche di sindaco e presidente di regione e magari optasse per le primarie per la scelta dei parlamentari o del candidato presidente del Consiglio.
L’automatismo del metodo delle primarie, poi, tralascia un fattore cruciale nella selezione dei candidati: quello di chi già ricopre la carica. Un sindaco al primo mandato che ha ben governato e che gode dell’appoggio del partito sarebbe comunque costretto ad affrontare le primarie, togliendo tempo alla direzione politico-amministrativa della città e sprecando energie da parte dei militanti, dirottandole sulle primarie e non sulla campagna elettorale.
L’aspetto più paradossale probabilmente è quello relativo all’articolo 7, che permette, pur di far celebrare le primarie, la presentazione di un solo candidato. Perché utilizzare risorse pubbliche nei casi in cui uno o più partiti presentino per la carica monocratica un solo candidato? In questo caso più che di primarie, sarebbe corretto parlare di ratifica della candidatura.
Un altro punto critico concerne la possibilità, per i soggetti politici che lo desiderano, di usufruire delle strutture pubbliche per la selezione del proprio segretario: si tratta di una questione interna a un partito – un’associazione privata seppur con finalità “pubbliche” – che non dovrebbe essere mescolata con la selezione dei candidati. A meno di pensare a una giornata unica per tutte le primarie delle cariche monocratiche (impossibile, se non altro per la non coincidenza temporale delle varie elezioni), l’elezione di un segretario di partito implica che i seggi (e la relativa macchina organizzativa pubblica) siano aperti anche in regioni o comuni dove il voto non è imminente. Si potrebbe ipotizzare la scelta di una data per le primarie dei segretari dei partiti (che hanno i requisiti per indirle), ma anche in questo caso vi sarebbe un problema di coincidenza di date e di utilizzo di fondi pubblici.
Multe a chi non rispetta il risultato
Il disegno di legge paventa una multa (articolo 9) per tutti quei candidati che non rispettino l’esito delle primarie: sostanzialmente il collegio dei garanti non restituirebbe sino a metà della cauzione che i candidati devono versare prima di parteciparvi.
Una norma, questa, atta a evitare casi simili a quello ligure, quando Sergio Cofferati, sconfitto alle primarie, optò per il sostegno a un altro candidato di sinistra, uscendo dal Partito democratico.
Cosa significhi “inosservanza del risultato” (articolo 9 comma 3), tuttavia, non è specificato: potrebbe voler dire non potersi candidare con altri movimenti o liste civiche: una correttezza che potrebbe essere legittimo pretendere. Ma potrebbe voler dire anche impedire di lasciare il partito e questo minerebbe il principio di libertà di associazione nelle sue più profonde basi. Se anche si propendesse per la prima spiegazione, tuttavia, non si vede come si possa impedire al candidato perdente di non fare campagna elettorale per il vincitore o come si possa presumere che lo sconfitto non indichi ai suoi votanti, magari indirettamente e senza necessità di prendere una posizione pubblica (casi del genere sono all’ordine del giorno), di votare per un altro candidato. L’incertezza nella definizione consegnerebbe al collegio dei garanti – chiamati ad esprimersi a riguardo – un margine di manovra immotivato e discriminante.
Parrebbe sacrosanta, in un contesto segnato da denunce di brogli a ogni tornata, una regolazione dello strumento delle primarie, magari prevedendo un maggiore utilizzo di una pre-registrazione (primarie semi-chiuse) anche a costo di diminuire la partecipazione in valori assoluti. Tuttavia, è controproducente una legislazione (nemmeno ben concepita) che tolga ai partiti la libertà di scegliere il mezzo migliore per la selezione dei propri candidati.
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serlio
Un riflesso incondizionato condiziona pesantemente la nostra classe politica; quando c’è qualche cosa che non va (in questo caso le primarie) ecco che occorre una legge e delle multe. Ecco che ci sono miriadi di leggi inapplicate e inappplicabili e sanzioni (tremende) di cui solo gli estensori avvertono la necessità. Sarebbe sufficiente applicare le norme esistenti, ma evidentemente non lo si vuol fare. Perchè?
Henri Schmit
Ottima la critica che purtroppo non va fino in fondo. In teoria la costituzione garantisce il diritto sacrosanto dei cittadini di presentarsi LIBERAMENTE come candidati a qualsiasi elezione pubblica e di determinare solo loro con le loro preferenze (=LIBERAMENTE) i rappresentanti eletti; dovrebbe valere a tutti i livelli, per funzioni esecutive o parlamentari-consiliari. Non è così. E dopo la doppia riforma R-B sarà peggio. Per portare l’inganno alla perfezione stanno inventando due cose: lo statuto pubblico dei partiti e ivi correlate delle primarie che rimangono di tipo chiuso (cf. i vari modelli USA) e che valgono solo per certe elezioni. Questo sistema semplicemente consolida – con l’avvallo della casta accademica, costituzionalisti e scienziati politici – i vasi contenitori, i partiti, e il loro potere. E questo il vizio più grave della riforma in corso, cancellare definitivamente per il parlamento la libertà dei cittadini come candidati e come elettori, sostituire a loro i principali partiti istituzionalizzati, lasciar formalmente in vigore il divieto del mandato imperativo ma svuotarlo attraverso le varie misure menzionate. E di una gravità enorme, e nessuno, nemmeno i promotori del no al referendum cost. e del si a quello abrogativo sono in grado di contestare chiaramente. Per non parlare dei consigli regionali e comunali dove spesso entra non chi è preferito dagli elettori ma chi ha reso servizi personali vari al capo di turno. Manca solo il cavallo di Caligola.
Frate
Nulla da eccepire. La proposta di riforma, con tutti i suoi limiti e discriminazioni, segue quella della Costituzione: riformare le istituzioni perché non si è capaci di riformare se stessi. In questo caso, è l’incapacità a ricreare i partiti politici che spinge a cercare nel conforto della legge (!) il rispetto di regole che, in letteratura, sono ricomprese nella cd. “disciplina di partito” o meglio nel cd. “diritto dei privati” (titolo dell’omonimo saggio di Widar Cesarini Sforza).