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Gli immigrati preferiscono il lavoro

La Brexit ridurrebbe l’arrivo di immigrati nel Regno Unito. Ma una ricerca mostra che i cittadini di paesi come Grecia, Ungheria e Polonia tendono a preferire il lavoro rispetto al tempo libero. Un tratto culturale che può valere un aumento del tasso di occupazione nello stato di accoglienza.

La diversità culturale fa bene al lavoro

La percezione di rischi crescenti legati all’immigrazione sta portando molti paesi europei a mettere in discussione la libera mobilità dei lavoratori. Particolarmente critica la posizione del Regno Unito, dove tra poco più di un mese la popolazione sarà chiamata a votare sull’uscita dall’Unione Europea, la cosiddetta Brexit.
Queste posizioni appagano una visione molto pessimistica e limitata del fenomeno migratorio. In uno studio recente analizziamo come la presenza di lavoratori immigrati contribuisca invece a generare una diversità culturale nelle preferenze tra lavoro e tempo libero che può avere effetti benefici sul mercato del lavoro di un paese.
Le preferenze individuali presentano un tratto culturale comune a tutti i lavoratori provenienti da uno stesso paese di origine, trasmesso da una generazione a quella successiva. Utilizzando indagini sulle preferenze, è più facile identificare l’effetto di questo tratto culturale sugli esiti occupazionali di individui che vivono e lavorano in un paese europeo diverso da quello di origine. Le istituzioni del paese di origine influiscono in modo importante sull’occupazione, rendendo più difficile isolare l’effetto delle preferenze. Viceversa, osservando gli emigranti si isola l’effetto delle preferenze sulla probabilità d’impiego, poiché portano le loro preferenze, ma non le istituzioni.
Un po’ a sorpresa, paesi come la Grecia e l’Ungheria, caratterizzati da bassi tassi di occupazione, rivelano una elevata preferenza dei loro cittadini per il lavoro. L’importanza delle preferenze emerge anche dopo aver tenuto conto dell’esperienza individuale della disoccupazione nel paese d’origine, che dato l’elevato coinvolgimento psicologico, può motivare l’enfasi individuale sull’importanza del lavoro in questi paesi.

Le preferenze degli emigrati

La figura 1 mostra la correlazione tra l’intensità delle preferenze per il lavoro nel paese di origine e il tasso di occupazione medio degli emigranti maschi, in età lavorativa (15-64), provenienti dalla stessa cultura di origine e residenti in tutti gli altri paesi.
Il focus sui maschi consente di ridurre il ruolo di fattori economici, che sono molto importanti nella partecipazione femminile. L’intensità di preferenza per il lavoro è misurata come la quota di residenti nel paese di origine (i “nativi”) che si definisce “fortemente d’accordo” con l’affermazione: “Mi piacerebbe lavorare anche se non avessi bisogno di denaro”. La misura è ottenuta dopo aver tenuto conto dell’effetto di età, istruzione, caratteristiche familiari (la presenza di figli), istruzione e occupazione dei genitori. Questi fattori, infatti, possono determinare non solo le preferenze, ma anche le capacità individuali e la remunerazione minima per cui un individuo è disposto a lavorare (salario di riserva).

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Figura 1 – Cultura di origine e occupazione degli emigranti, maschi tra i 15 ed i 64 anni.

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Fonti: nostre elaborazioni su dati della “European Social Survey”, 2004-2012.

La figura mostra una correlazione positiva: le preferenze diventano un’importante caratteristica d’impiego per gli emigrati all’estero, ovunque si trovino. L’associazione positiva emerge chiaramente dopo aver controllato per le caratteristiche dei paesi di destinazione. Inoltre, l’effetto delle preferenze appare ben distinto da quello di altri importanti fattori come la qualità delle scuole, i livelli di reddito e disuguaglianza, i tassi di occupazione e disoccupazione nel paese d’origine e altri valori o attitudini individuali. Questi fattori possono essere correlati non solo con le preferenze dei migranti per il lavoro, ma anche con i salari di riserva e la scelta di lasciare il loro paese di origine.
Il grafico mostra inoltre notevole eterogeneità nelle preferenze tra diversi paesi. Paesi come la Gran Bretagna presentano un tratto culturale meno incline al lavoro rispetto a paesi dell’Europa meridionale e centro-orientale, nonostante questi siano meno “virtuosi” dal punto di vista occupazionale.
Alla luce di questa evidenza, la Brexit potrebbe essere nociva per il Regno Unito. L’immigrazione permanente di lavoratori da paesi come Grecia, Ungheria e Polonia, oltre a giovare a chi li accoglie soprattutto sul piano economico e fiscale, consente anche di “importare” da questi paesi un tratto culturale che premia il lavoro.
Nel Regno Unito la diversificazione culturale può valere un aumento del tasso di occupazione superiore ai tre punti percentuali nel lungo termine.

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  1. Alberto

    Sono un milanese trapiantato a Manchester dopo la laurea, posso affermarvi che al 100% non usciranno dall’UE, addirittura distribuiscono porta a porta nella buca delle lettere dei libretti prodotti dalla commissione elettorale, con indicate entrambi gli scenari dopo l’esito del voto, con tabelle e grafici che anche uno stupido capirebbe. Sono molto informati tutti su tutto e sarà la vittoria del : “Remain a member of the UE” .
    Alberto.

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