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Brexit: tre scenari per il day after

Quali sono gli scenari politico-diplomatici che si aprono in caso di Brexit? Il primo vede un’adesione del Regno Unito a trattati già esistenti. Il secondo un accordo ad hoc con l’Unione europea. Il terzo una riforma complessiva della Ue. Il termine di due anni di trattativa previsto dai Trattati.

Regole per la Brexit

Immaginiamo che la mattina del 24 giugno venga confermato l’esito del referendum sulla Brexit che già circolava nella notte: gli inglesi hanno votato per “leave the Union”. Quali regole si applicano e quali i probabili scenari politico-diplomatici?
Quanto alle regole, si applica l’articolo 50 del Trattato sul funzionamento della Ue, il quale prevede tre ipotesi.
La prima è un recesso entro un tempo massimo di due anni a far data dalla notifica della volontà di recedere al Consiglio europeo da parte dello Stato interessato. L’accordo di recesso è negoziato dalla Commissione ed è concluso dal Consiglio europeo, previa approvazione del Parlamento.
La seconda ipotesi è che, entro il termine di due anni, non si concluda – nonostante i negoziati – alcun accordo di recesso. In tal caso i trattati cessano automaticamente di essere applicabili allo Stato recedente.
Infine la terza ipotesi, è che il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato recedente, decida all’unanimità di prorogare il termine dei due anni. I trattati Ue restano allora applicabili allo Stato recedente, sino alla data decisa con la proroga.
Anche gli scenari politico-diplomatici probabili sono tre.

Scenario 1: il Regno Unito decide di aderire a trattati già esistenti

Nel Regno Unito si afferma la volontà politica di regolare i rapporti con l’Unione non mediante un accordo specifico, bensì attraverso l’adesione a trattati già esistenti, come l’Efta (European Free Trade Association) o l’Eea (European Economic Area) o la Omc (Organizzazione mondiale del commercio).
Si tratta di una soluzione minimalista che consentirebbe di percorrere l’opzione dell’accordo di recesso entro i due anni dalla notifica al Consiglio europeo. La notifica potrebbe essere compiuta alla fine dell’anno con il duplice vantaggio di rendere più agevole la predisposizione del nuovo bilancio dell’Unione, che terrebbe conto del recesso dal 1° gennaio 2019, e di aumentare di qualche mese il tempo disponibile per predisporre tutti i termini e le condizioni dell’uscita del Regno Unito.
La scelta dovrebbe anche semplificare il negoziato sia dal punto di vista giuridico, che dal punto di vista politico. Infatti, nessuno Stato Ue dovrebbe obiettare a una soluzione di questo tipo.

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Scenario 2. Regno Unito e Ue convengono di stipulare un accordo ad hoc

Il Regno Unito decide di regolare le future relazioni con l’Unione con un accordo ad hoc: i modelli non mancano e vanno dall’accordo di associazione analogo a quello attualmente in vigore tra Ue e Turchia, al Free Trade Agreement, ad esempio simile a quello stipulato tra Ue e Canada (Ceta), oppure al complesso di relazioni intercorrenti tra Ue e Svizzera, la quale è membro Efta, ma non è parte Eea, e stipula di volta in volta con l’Unione accordi di incorporazione del diritto Ue.
In questo caso, sarebbe difficile rispettare il termine dei due anni, sia pure esteso mediante l’escamotage della notifica ritardata. Infatti nel 2017 sia la Germania che la Francia terranno le elezioni politiche e in entrambi i paesi vi sono importanti partiti che spingono per rivedere i rapporti con l’Unione, pertanto i governi di questi Stati non saranno disposti a premiare l’uscita del Regno Unito con un accordo soddisfacente per quest’ultimo.
In base all’articolo 50, l’accordo di recesso deve essere deliberato dalla Ue da almeno 19 Stati su 27 e tra questi devono figurare almeno quattro Stati grandi sui cinque rimanenti. Basterebbero dunque alleanze tattiche tra due grandi Stati per impedire la conclusione dell’accordo. Ciò senza contare che quest’ultimo deve essere approvato dal Parlamento europeo e il passaggio potrebbe non essere privo di complicazioni.
Di nuovo, si potrebbe cercare di prorogare il termine dei due anni, ma al riguardo è imponderabile la posizione del Regno Unito, posto che la proroga del termine implica la continuazione della appartenenza alla Ue e ciò potrebbe essere considerato inaccettabile dagli inglesi, dato l’esito del referendum.

Scenario 3: la Ue decide un’auto-riforma che consente al Regno Unito di continuare a esserne membro

La Brexit spinge l’Unione a riconsiderare la propria struttura costituzionale secondo il modello dei due cerchi concentrici. In quello centrale rientrerebbero gli Stati disposti ad accettare una “Unione sempre più stretta” anche con caratteri di integrazione politica; nel cerchio periferico si collocherebbero gli Stati che vedono l’Unione solo un’area economica.
Una tale riforma andrebbe incontro ai desideri anche dei più euro-scettici inglesi e quindi le ragioni per abbandonare l’Unione riformata verrebbero meno. In questa prospettiva il Regno Unito potrebbe accettare più facilmente di prorogare il termine di recesso, in modo da consentire alla riforma di essere adottata da tutti gli Stati membri. Tuttavia, questo scenario è ipotizzabile solo dopo le elezioni francesi e tedesche del 2017, perché vi è il rischio, in particolare in Francia, che un eventuale nuovo governo euro-scettico decida di collocare il paese nel cerchio periferico e non in quello centrale.

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  1. EF

    Scanario 4: il (nuovo) governo inglese non mette in atto la notifica dell’articolo 50, iniziando unilateralmente a disapplicare l’intero corpo giuridico della UE sperando di farla saltare senza prendersene la colpa. Questa ovviamente sarebbe la strada più vigliacca, ma sta iniziando a circolare come ipotesi nei giornali inglesi.
    Se lo facessero, però fatico ad immaginare che si formi una fila di altri paesi per firmare nuovi trattati con un governo così poco affidabile.

    Scenario 5: Cameron non si dimette e chiede al parlamento inglese l’autorizzazione a invocare l’articolo 50. Essendo il parlamento inglese sovrano (non è questa la battaglia dei Leavers?) potrebbe benissimo rifiutarsi, visto che i favorevoli all’uscita sono circa il 30%. In questo caso è possibile una sfiducia e nuove elezioni, attraverso le quali si chiederebbe un mandato chiaro popolare e democratico, che non necessariamente risulterebbe favorevole ai brexiters, una volta esaurita l’orgia emozionale di questo referendum.

  2. Henri Schmit

    Vedo un quarto scenario politico, il più probabile: con o senza Brexit ci sono già TRE cerchi concentrici, area euro, ue non euro e dall ‘accordo UK-UE di un paio di mesi fa l’UK. Anche se rimanesse l’UK, il referendum marcherà una svolta nella storia dell’integrazione europea in senso più nettamente interstatale, meno sovranazionale, e in senso più rigoroso nell’applicazione delle regole comuni esistenti, perché chi non ci sta se ne può andare. Non ci saranno nuove adesioni, né maggiori poteri per il PE. Ci possono essere nuove politiche comuni mirate (immigrazione, frontiere comuni, sicurezza comune, etc), ma senza il superstato tanto invocato da chi non sa gestire il proprio stato nazionale. Fine delle illusioni. Dobbiamo ringraziare l’UK di aver avuto il coraggio di richiamare a tutti che siamo o che dobbiamo rimanere sempre liberi di decidere del nostro futuro, a tutti i livelli, sia in Europa sia compatibilmente nei singoli stati.

  3. Per il Brexit si deve ringraziare l’euro è l’unione bancaria, sono i due legami che stanno strangolando i paesi europei.
    A caldo vi sarà una reazione dei restanti paesi punitiva nei confronti della Gb, nessuna concessione ma appena i governi, spinti dai movimenti interni comprenderanno le origini del Brexit vi sarà un cambio della politica monetaria.

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