La costruzione dell’Unione bancaria mira a scindere l’abbraccio tra banche e debiti sovrani. Manca però l’Edis, il terzo pilastro necessario per raggiungere un’effettiva condivisione del rischio tra paesi dell’Eurozona.
Il vicolo cieco
Questi giorni di turbolenza sui mercati ricordano quanto rischioso sia avere un’Unione bancaria incompleta, dove i meccanismi di condivisione dei rischi (lo Schema europeo di assicurazione dei depositi – Edis) non sono ancora in atto. L’Eurozona è in uno stallo. Una delle ragioni è la mancanza di un accordo sulle regole per l’esposizione bancaria verso il debito sovrano – attualmente considerato privo di rischio e non soggetto ai limiti sulla concentrazione. Le posizioni sono contrapposte: i governi dei paesi con i rating migliori si oppongono all’Edis se non verranno introdotti limiti all’esposizione delle banche verso i sovrani più rischiosi; i paesi con rating peggiori sono restii a rivedere le regole senza un meccanismo di condivisione dei rischi, come l’Edis.
Come uscire dal vicolo cieco è il tema dell’ultimo numero di European Economy. La conclusione è che la questione è rilevante soprattutto nell’ambito di un’unione monetaria che preveda espliciti meccanismi di condivisione dei rischi tra paesi. E che, di conseguenza, non sia possibile trattare in modo separato il rafforzamento della condivisione dei rischi attraverso l’Edis e la revisione delle regole affinché tengano conto della diversa rischiosità dei sovrani e di altre esposizioni bancarie.
Ma la transizione verso una soluzione ottimale è estremamente rischiosa in tempi di elevata turbolenza. Gran parte delle misure prudenziali determinerebbero una riallocazione dei portafogli di tale entità, anche in Germania, da avere effetti recessivi e un aumento dei rendimenti nei paesi vulnerabili. Il che porrebbe seri rischi di stabilità a tutta l’Unione.
Paradossalmente, l’avvio del “circolo diabolico” tra banche e sovrani all’inizio della crisi finanziaria (figura 1) è da attribuirsi alla mancanza di meccanismi monetari e fiscali di condivisione dei rischi, oltre al peccato originale degli squilibri fiscali in alcuni paesi e alla fragilità delle banche post-Lehman: l’impossibilità della Banca centrale europea di agire come prestatore e acquirente di ultima istanza, l’assenza di meccanismi di supporto fiscale tra i paesi europei.
Figura 1 – Cds sul debito sovrano a 10 anni (sinistra) e Cds sulle banche a 5 anni (destra)
Fonte: Thomsom Reuters Datastream. Per le banche, i dati si riferiscono alla media dei Cds sulle banche di ciascun paese a 5 anni. I dati sono espressi in punti base.
La decisione delle banche di investire nel debito nazionale durante la crisi (figura 2) è stata in larga misura razionale: c’erano poche alternative, in recessione, con una forte crescita del rischio di credito e una bassa capitalizzazione. Questa strategia ha anche permesso di realizzare guadagni in conto capitale e nella fase più acuta della crisi ha sostenuto la domanda di debito sovrano. Ma il supporto tra mutue fragilità non sarebbe stato sostenibile senza l’ombrello dell’Esm e dei vari bazooka della Bce, introdotti gradualmente a partire dal 2011, che hanno di fatto bloccato la spirale perversa.
La crisi ha lasciato molti detriti sul terreno e l’abbraccio tra banche e sovrani rimane tale (figura 2). La costruzione dell’Unione bancaria mira proprio a scindere questo abbraccio. Questo è lo spirito dei primi due pilastri, il supervisore unico e il meccanismo di risoluzione. Ma manca ancora il terzo pilastro, l’Edis, che è necessario per raggiungere un’effettiva condivisione del rischio tra paesi dell’Eurozona.
Figura 2 – Quota del debito sovrano detenuto dalle istituzioni monetarie finanziarie su asset totali
Fonte: Bce. Rapporto tra debito sovrano domestico detenuto dalle istituzioni monetarie finanziarie e asset totali delle stesse, per ciascun paese. I dati sono espressi in punti percentuali.
Due linee strategiche
Quali sono le proposte per risolvere il problema dell’esposizione delle banche al rischio sovrano e superare anche l’empasse che blocca l’Edis? Due linee strategiche.
La prima prevede una “discriminazione orizzontale” tra titoli del debito pubblico (Andritzky et al., 2016): le misure prudenziali dipendono dalla loro rischiosità. Il che può determinare una riduzione della domanda di titoli emessi dai paesi vulnerabili, con forti ripercussioni anche sistemiche e una quantità insufficiente di titoli a rischio zero, essenziali per il sistema bancario. Questi effetti emergerebbero anche se le riforme venissero introdotte gradualmente: i mercati tendono ad anticipare i cambiamenti della regolamentazione (Lanotte et al, 2016).
La seconda linea si basa invece su una combinazione di “discriminazione orizzontale” e “verticale” (Pagano, 2016). Si introdurrebbero comunque trattamenti prudenziali differenziati in base alla rischiosità dei titoli, ma si costituirebbe un portafoglio diversificato basato sui titoli sovrani dei paesi euro, a fronte del quale emettere asset suddivisi in due o più tranche. La più senior sarebbe a rischio zero o quasi (gli European Safe Bonds, Esbies), e quelle più junior a rischiosità più elevata ma identificata. Si genererebbe una quantità sufficiente di attività finanziarie sostanzialmente prive di rischio e si limiterebbe il calo destabilizzante nella domanda dei titoli dei paesi più vulnerabili. L’impatto sul sistema finanziario sarebbe più sostenibile.
Gli Esbies sono una soluzione ingegnosa al problema del “circolo diabolico”. Ma per quanto ingegnosa, comunque la soluzione non sarebbe tale senza il completamento dell’Unione bancaria attraverso l’Edis. E nel frattempo la parola d’ordine rimane: maneggiare con estrema cautela.
* L’articolo è tratto dall’editoriale (Barba Navaretti et al, 2016) dell’ultimo numero di European Economy-Banks Regulation and the Real Sector
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Guido Gennaccari
1) Creare, sotto la guida della Bce e dell’Eurogruppo, un Fondo Europeo del Debito (FED) dove, ogni volta che un paese emette debito, destina il 50% al fondo in questione.
2) Ogni volta che una banca vuole sottoscrivere/comprare debito del proprio paese per 100 (es.: Unicredit compra btp) sarà obbligata a sottoscrivere/comprare una somma equivalente alla metà, quindi 50, del FED, quindi comprando titoli di stato degli altri paesi europei spalmando pro-quota la somma di 50 su tutti i titoli di stato compresi nel fondo, con quota di partecipazione uguale.
3) Se un paese ha difficoltà a raccogliere capitali ed emette quindi basse quantità di debito, vedi ad esempio la Grecia, con questo meccanismo ha quasi la certezza che il 50% dell’emissione vada a buon fine e sia presente il proprio debito nei portafogli di tutte le altre banche europee con effetto di abbassare i tassi di emissione visto che il meccanismo garantisce il collocamento del 50% dello stock. Paesi ad alto standing creditizio come la Germania, con alte masse di debito richiesto, potrebbe invece tornare a tassi non negativi del Bund. Il meccanismo potrebbe spalmare omogeneamente il rischio paese tra tutti i membri dell’Unione e quindi abbassare i rischi di default (tassi di interesse finalmente convergenti in tutta la zona) portando i tassi verso la normalità con qualche piccola speranza anche di vedere un focolaio di inflazione positiva che piano, piano si avvicini all’obiettivo del 2%.
Maurizio Cocucci
Non capisco la logica, a meno che lei non intenda fissare ex ante anche il prezzo al quale le banche (solo banche oppure qualsiasi investitore?) dovranno obbligatoriamente acquistare la metà dei titoli. Il problema non è il collocamento visto che i rapporti di copertura sono ben superiori a 1, ma i rendimenti che sono influenzati dal prezzo offerto dagli investitori. E comunque sempre ammesso di riuscire a cambiare le regole che ad oggi impediscono di finanziare direttamente la spesa a deficit.
bellavita
bbe interessare molti risparmiatori e investitori istituzionali