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Ma chi vuole indebitarsi per anticipare la pensione?

Nella lunga recessione dell’economia italiana l’aumento dell’età media di pensionamento ha finito per spostare sui giovani buona parte dei costi. Ecco perché ora si parla di flessibilità in uscita. Difficile però attuarla perché implica pensioni più basse e debiti da ripagare per molti anni.

Perché si discute di flessibilità

Alla flessibilità in uscita dal lavoro sono state dedicate discussioni, proposte e obiettivi che appaiono eccessivi rispetto alle risorse finanziarie che il governo sembra disposto a mettere in campo per la sua applicazione. L’analisi delle scelte di politica pensionistica operate a partire dal 2011 non lasciano pensare che lo strumento sarà usato per provare a risolvere le tensioni che si sono create sul mercato del lavoro a causa dell’interazione di una riforma restrittiva del sistema pensionistico e di una lunga recessione dell’economia.
La richiesta di flessibilità in uscita per i lavoratori che si trovano in prossimità dell’età pensionabile è una delle conseguenze della riforma Monti-Fornero, che ha realizzato un irrigidimento repentino nei criteri di eleggibilità per il pensionamento in un momento di grave crisi della finanza pubblica. L’inasprimento delle condizioni di uscita “ha congelato” per alcuni anni pensioni a prevalente contenuto retributivo e ha avuto un immediato effetto benefico sul contenimento dei saldi del bilancio pubblico.
Tracciare un solco netto tra passato e presente è però sempre complicato. Il legislatore ha individuato una strada per rendere il passaggio meno traumatico: le salvaguardie. Stiamo parlando degli “esodati”, i lavoratori che a seguito dell’inasprirsi della normativa si sono trovati, in condizioni di inattività e non ancora maturi per pensionamento. Il numero dei salvaguardati, fissato nel 2011 a 65mila unità, è cresciuto negli anni, così come è cresciuto il numero delle salvaguardie, arrivate a sette. Merito (o demerito) di un mercato del lavoro nel quale il passaggio da occupato a inattivo è difficile da identificare univocamente e di un sistema politico-sindacale nel quale interessi settoriali riescono spesso a sopravanzare quelli collettivi.
Nonostante le salvaguardie, la questione sembra essersi complicata: l’aumento dell’età media di pensionamento ha spostato sui giovani la parte maggiore dei costi della lunga recessione dell’economia italiana. Una crescita economica più sostenuta avrebbe probabilmente reso meno forte la correlazione negativa tra occupazione dei lavoratori anziani e giovani. Oggi, però, la coperta non solo è corta, ma in alcuni periodi si è anche ridotta di dimensione: in situazioni di questo tipo anche le istituzioni internazionali suggeriscono di favorire l’uscita degli anziani, non di bloccarla.
Perché allora non cambiare direzione e lasciare che chi vuole uscire prima possa farlo? A parere di chi in Italia propone la flessibilità in uscita, ciò permetterebbe di alleviare le tensioni occupazionali e di rendere possibile l’anticipo di uno o più anni per coloro che, per ragioni personali o per mancanza di occupazione, vogliano accelerare il pensionamento.

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Tasso di occupazione nelle classi di età (15-24) e (55-64)

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Dove trovare le risorse

L’operazione si può realizzare senza che il bilancio dello Stato, nel lungo termine, ne risenta: affinché questo accada è necessario che la somma complessiva delle pensioni che un individuo riceve nel corso della sua vita non dipenda dall’età di pensionamento. In sostanza: se vai in pensione prima, l’importo è più basso perché prendi l’assegno pensionistico per un numero maggiore di anni. Una riduzione compresa tra il 3 e il 4 per cento per ogni anno di anticipo è sufficiente ad assicurare il risultato.
Tuttavia, se nel lungo periodo le poste in entrata e in uscita si compensano, è nel breve che i conti non tornano: anticipare il pagamento delle pensioni fa crescere subito la spesa e questo nell’austero mondo del fiscal compact è un problema, anche perché la scarsa flessibilità di bilancio è già stata prenotata da annunci di tagli alle imposte, sul lavoro, personali e societarie, che in questa fase sembrano avere priorità negli obiettivi dell’esecutivo.
Ecco allora la proposta del governo: la flessibilità si può fare, ma sarà il mercato (banche, assicurazioni) a occuparsi di fornire i fondi necessari a chi li richiederà, con piani di ammortamento di venti anni. L’intervento del bilancio pubblico si limiterà probabilmente alla copertura delle spese per i lavoratori più deboli che decideranno per l’anticipo (disoccupati, lavoratori con reddito basso o in settori usuranti).
La strada scelta per realizzare l’obiettivo sembra essere quella del credito di imposta che dovrebbe risultare differenziato in funzione delle condizioni economiche dell’interessato. In questo modo, l’impegno finanziario del settore pubblico si ridurrebbe drasticamente, da 4-5 miliardi a 1 miliardo di euro per anno. Affinché il cerchio si chiuda, però, i lavoratori che vogliono anticipare la pensione devono accettare di indebitarsi e di ricevere una prestazione pensionistica più bassa per almeno venti anni; due risultati che non possono essere dati per scontati nel panorama italiano e di cui forse l’esecutivo è cosciente.

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I temi trattati sono approfonditi nel contributo dell’autore al volume La Finanza Pubblica Italiana. Rapporto 2016.

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  1. Giuseppe

    Se è vero che, senza ricorrere al prestito, nel breve periodo la spesa a carico dell’INPS aumenterebbe, occorre tener conto che nel lungo periodo le casse dell’INPS ne avrebbero invece grandi risparmi. Faccio un esempio numerico con numeri che conosco ed esagerando di proposito la flessibilità. A fine anno compirò 57 anni e dovrei andare in pensione a Dicembre 2027, cioè a 68 anni, approssimativamente col 75% del mio ultimo stipendio.
    L’aspettativa di vita credo che sia intorno a 84 anni, cioè 16 anni di pensione. Quindi l’aspettativa di spesa per l’INPS sarà pari a 12 volte il mio ultimo stipendio. Se decidessi di andare in pensione addirittura alla fine del 2019 (cioè ben 8 anni prima del previsto) quel 75% dovrebbe essere moltiplicato per 16/(16+8), cioè percepirei il 50% del mio ultimo stipendio. Quanto mi costerebbe? Non poco, è vero, ma sarebbe una mia scelta in assoluta libertà e sapendo cosa mi aspetta:
    1) incasserei un TFS anticipato, ma ridotto, rispetto ad andare in pensione regolarmente a 68 anni;
    2) tra i 60 e i 68 anni percepirei il 50% del mio ultimo stipendio 2019 invece che il 100% di uno stipendio presumibilmente in crescita fino al 2027;
    3) oltre i 68 anni percepirei una pensione inferiore anche al 50% di quello che sarebbe stato il mio ultimo stipendio a fine 2027.
    L’INPS risparmierebbe, quindi, sul mio TFS ed anche sulla mia pensione, perché la percentuale risulterebbe ridotta in base agli anni, ma l’ultimo stipendio sarebbe più basso.

  2. antonio petrina

    LA soluzione proposta sposta il problema sull’indebitamento privato, di cui l’Italia primeggia per virtuosità nel contesto europeo, a fronte del livello altissimo del debito pubblico.

  3. Lorenzo

    Non accetto questa logica tutta all’interno della spesa pensionistica, esclusi sacrosanti tagli alle pensioni più alte. Il problema da una parte è quello dell’equità, e quindi si recuperino risorse su grandi patrimoni e spese improduttive, anche di figure dirigenziali inefficienti. In secondo luogo è una questione di giustizia e di moralità: non puoi far pagare con pesanti penalità chi ha lavorato e pagato fino all’ultima lira le tasse per tutta la vita e vuole anticipare di 2 o 3 anni rispetto alla diffusa condizione di evasione e di privilegi nel paese. Se questa classe politica non ha il coraggio necessario è sicuramente destinata ad essere travolta. Ci sono stati chiari segnali, mi pare!

  4. Alessandro

    Non sono d’accordo con lei sui benefici ai conti pubblici della riforma Fornero. Infatti in quattro anni (2012-2015) la Riforma Fornero ha creato un extra-deficit pensionistico di 106 miliardi (da una media annua pre-Fornero di max 30 miliardi, alla media annua di 56 miliardi dal 2012 al 2015, dati INPS). La Fornero ha in modo altisonante chiamato la sua Riforma “Disposizioni per la crescita, l’equità, il consolidamento dei conti pubblici”. Risultati: PIL -4,1% (2012-2015); Debito pubblico (+13,9% inizio 2012-fine 2015). Commento: la solita eterogenesi dei fini.

  5. Andrea Chiari

    Perchè escludere dall’APE le vecchie pensioni di anzianità (oggi: anticipate) e limitarlo solo alle pensioni di vecchiaia? Se non ci sono costi per l’erario lasciamo questa possibilità a chi, tanti o pochi che siano, se ne voglia usufruire.

  6. Pan

    Sono veramente INDIGNATO che questa GENIALATA dell’APE venga anche solo presa in considerazione. Qualcuno è in grado di darmi almeno 1/10 di motivo valido per il quale io dovrei andare in banca a chiedere dei soldi sui quali poi ci pago le tasse, i contributi, irpef reg. com. ecc ecc? Questa “rapina” è proposta/imposta, guarda caso a chi ha contributi retributivi fino al 2011, ho scritto imposta perchè sicuramente le aziende che licenzieranno il personale a 62 anni, costringendolo a utilizzare l’APE, avranno un bel BONUS.
    Fermo restando che chi ha 62 anni adesso sa benissimo che i contributi versati dal 2012 valgono un’elemosina dovrebbe almeno poter scegliere di : 1) Stoppare il montante maturato adesso. 2) Andare in banca tramite L’INPS e decidere quanti soldi prendere solo x campare e non per versare contributi e tasse. 3)Alla fine dei 3/4 anni di APE percepire la pensione ferma a 4 anni prima. 4) Naturalmente chi potrà vivere senza andare in banca, risparmi/TFR, sarà libero di farlo.TUTTO QUESTO NON COSTA NULLA A NESSUNO.
    Ho quasi 58 anni e fra 4 anni dovrei andare in pensione anticipata, 43 anni e 3 mesi di contributi, quindi retributivo fino al 2011, FORTUNATAMENTE non dovrei essere…punto …dall’APE, regina di tutte le rapine.
    Fate bene i calcoli voi che avete 62 anni…siete/siamo gli ultimi che vivremo in modo dignitoso!! Non fatevi trasformare in poveri come purtroppo accadrà a milioni di persone in futuro.
    Cordialmente.

  7. Mauro

    In questi giorni si sta ” discutendo” di riforma delle pensioni a parte di ciò che conta :
    – ricongiunzione gratuita della gestione separata anche con casse previdenziali diverse da INPS
    – riduzione costi degli anni di riscatto universitari ( così molti verserebbero non scoraggiati dagli alti costi attuali )
    – riduzione riscatto volontario degli anni della gestione separata INPS ( i costi odierni sono elevati e vale il commento del punto precedente )
    – maggiore flessibilità in uscita per tutti a partire da 58-60 anni per lasciare acasa chi è stanco e poco produttivo e lasciare spazio ai giovani ( si chiama favorire il ricambio generazionale )
    – visto che alla fine è il montante contributivo di ognuno a fare testo per l’ importo della pensione che poi si riceverà non capisco, perché non applicare i punti precedenti.
    Ad oggi si parla solo di ” specchietti per le allodole ” come 80 euro e qualche piccolo bonus forse con lo scopo di favorire il vicino referendum.
    Grazie

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