La politica monetaria molto espansiva adottata nell’area euro dal 2008 ha comportato un forte aumento degli utili delle banche centrali. Solo in parte distribuiti agli stati e con modalità decise a livello nazionale. Accantonamenti per garantire l’indipendenza ed esigenze di finanza pubblica.

Come si distribuiscono gli utili

A partire dal 2008 la politica monetaria super-espansiva nell’area euro ha determinato una forte crescita degli utili delle banche centrali. Gli stati ne ricevono solo una parte, con conseguenze non irrilevanti per i conti pubblici. Uno studio della Banca centrale europea (aprile 2016) tocca la questione, ma il tema è complesso e politicamente delicato.
Proviamo ad affrontarlo, partendo dai motivi che spiegano la differenza fra l’utile prodotto e quello distribuito allo stato.
Il primo dipende dal fatto che i principi contabili applicabili alle banche centrali dell’Eurosistema (diversamente dai principi contabili Ias/Ifrs) prevedono che le plusvalenze su titoli, valute e oro (unrealised gains) non concorrano a formare l’utile distribuibile, ma vadano ad alimentare una riserva (riserva di rivalutazione); le minusvalenze, invece, riducono l’utile (per la parte che eccede le plusvalenze iscritte nella riserva di rivalutazione nei precedenti esercizi).
Il secondo motivo è legato al fatto che i principi contabili (anche qui diversamente dagli Ias/Ifrs) consentono di accantonare una quota dell’utile a un “generico” fondo rischi. Le legislazioni nazionali possono prevedere limiti o regole più specifiche.
Infine, una quota dell’utile netto, ossia al netto degli accantonamenti al fondo rischi e delle tasse, può essere accantonata a riserva. Questo aspetto è regolato da leggi nazionali. Ad esempio, in Spagna non sono possibili accantonamenti a riserva e l’utile netto (non soggetto a prelievo fiscale) deve essere interamente versato allo stato. In Germania l’utile netto (esente da prelievi fiscali) non può essere accantonato a riserva una volta che queste abbiano raggiunto 2,5 miliardi di euro. In Francia sono possibili accantonamenti a riserva fino a un massimo del 5 per cento dell’utile netto e fino a quando le riserve raggiungono il doppio del capitale sociale. In Italia, la banca centrale può accantonare a riserva fino al 40 per cento dell’utile netto e una parte può essere distribuita agli azionisti.
L’utile non distribuito allo stato è dato quindi dalle plusvalenze, dagli accantonamenti al fondo rischi, dagli accantonamenti a riserva e dai dividendi agli azionisti, mentre la parte distribuita è data dalle tasse e dall’utile netto residuo versato allo stato.
Considerando gli utili 2009-2015, la quota distribuita allo stato risulta pari a circa il 25 per cento in Germania e Italia, al 36 per cento in Francia e al 50 per cento in Spagna (figura 1). Molto dipende dalle regole contabili sulle plusvalenze, ma anche gli accantonamenti al fondo rischi e alle riserve determinano una differenza fra utile prodotto e distribuito che ha un impatto rilevante sui conti pubblici. Per la Francia, ad esempio, gli accantonamenti al fondo rischi e alle riserve nel 2015 rappresentano circa il 12 per cento della manovra correttiva di bilancio programmata nel 2015 (quasi un miliardo su una manovra di circa 7,7), mentre per l’Italia il 10 per cento circa (2,5 miliardi su una manovra di 26 circa).

Leggi anche:  Reagire all'inflazione: un'indagine sulle imprese del made in Italy

Riserve e garanzia di indipendenza

Lo studio Bce pone il tema dell’equilibrio fra l’esigenza delle banche centrali di trattenere parte dell’utile per dotarsi di riserve e fondi rischi adeguati e il costo opportunità per i contribuenti di un loro livello troppo elevato.
Il punto è come stabilire l’adeguatezza dei fondi e del patrimonio complessivo (che include anche il capitale).
Il patrimonio è una riserva finanziaria per assorbire perdite ed evitare che il valore dell’attivo scenda sotto quello delle passività (patrimonio negativo). Ma le passività delle banche centrali – ossia la moneta – non sono convertibili nell’attivo e quindi non vi è rischio di default.
La Bce evidenzia però come in caso di patrimonio negativo le banche centrali potrebbero non essere in grado di coprire i costi di funzionamento: dipenderebbero così dal finanziamento degli stati, chiamati a ricapitalizzarle; verrebbe dunque meno la loro autonomia finanziaria e, con essa, l’indipendenza.
Il patrimonio deve quindi assorbire le perdite in modo che vi siano risorse sufficienti per la copertura delle spese operative. L’adeguatezza del patrimonio potrebbe essere valutata rapportandolo all’attivo ponderato per il rischio (poiché le perdite dipendono dalla rischiosità dell’attivo) e alle spese di funzionamento. Manca però un punto di riferimento rispetto al quale esprimere un giudizio. Non aiuta il fatto che entrambi i rapporti risultano molto variabili fra paesi: al 2015, il rapporto patrimonio/attivo ponderato per il rischio (con ipotesi ragionevoli di ponderazione) varia da circa il 50 per cento per la Germania a circa il 10 per cento per la Spagna, mentre il rapporto patrimonio/spese di funzionamento varia da circa 26 in Spagna a 7 in Francia (figura 2).
Se il patrimonio è adeguato, l’utile dovrebbe essere interamente distribuito, viceversa trattenuto per la quota necessaria a riportarlo su livelli adeguati. È una valutazione che mette in evidenza un difficile equilibrio fra l’indipendenza delle banche centrali e le esigenze di finanza pubblica.

Figura 1 – Composizione dell’utile delle banche centrali nei principali paesi dell’area euro (2009-2015 – miliardi di euro)

Leggi anche:  Inflazione bassa, ma il carrello tricolore non c'entra

siciliano1

Fonte: elaborazioni su relazioni annuali banche centrali. Le plusvalenze sono date dalla variazione della riserva di rivalutazione fra fine 2008 e fine 2015.

Figura 2 – Rapporto fra patrimonio e attivo ponderato per il rischio delle banche centrali nei principali paesi dell’area euro (dati 2015)

siciliano2

Fonte: elaborazioni su relazioni annuali banche centrali. Il patrimonio è dato dalla somma di capitale, riserve, fondo rischi e fondo di rivalutazione. Le spese di funzionamento sono date dalle spese per il personale, costi operativi e amministrativi, ammortamenti e svalutazioni di immobilizzazioni materiali e immateriali.

* Le opinioni espresse in questo articolo sono personali e non impegnano in alcun modo l’istituzione di appartenenza.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Per l'euro digitale il percorso è ancora lungo