Storicamente, in fatto di emissioni di CO2 ci sono paesi creditori e paesi debitori. Oggi il tema cruciale è come suddividere la quantità massima di carbonio da rilasciare in atmosfera mantenendo l’aumento della temperatura ai livelli concordati. Secondo articolo della “trilogia del carbonio”.

Paesi debitori e paesi creditori di emissioni

Nel primo articolo della “trilogia del carbonio” abbiamo voluto discutere il tema delle responsabilità storiche, intese come il contributo di ogni singolo paese o area al totale delle emissioni cumulate, nel periodo 1990-2014.
Ne è risultata una distribuzione così diseguale tra le diverse nazioni del mondo che pare lecito far emergere una lettura che metta in evidenza (a seconda del criterio adottato) i paesi “debitori” e i paesi “creditori”.
Il ragionamento è molto semplice. Tra il 1990 e il 2014 le emissioni complessive di CO2 sono state pari a circa 634 giga tonnellate. Se vi fosse stata un’assegnazione preventiva sulla base della popolazione, se cioè si fosse stabilito che ogni abitante del pianeta ha diritto alla stessa quantità di emissioni, non vi sarebbero stati squilibri: ogni paese avrebbe consumato esattamente la quota pro capite stabilita, moltiplicata per il numero dei propri abitanti. Ma così non è andata: il contributo alle emissioni complessive è stato diseguale, o meglio, seguendo il ragionamento appena proposto, vi sono stati paesi o aree che hanno goduto di una fetta più ampia della torta, e altri di meno di quanto sarebbe loro spettato. Naturalmente, nell’esempio la dimensione della torta (ovvero il totale delle emissioni cumulate) è data per fissa.
Una rappresentazione di questo semplice calcolo è mostrata nel grafico 1. Per ogni anno dal 1990 al 2014 viene calcolato se ogni paese sia in credito o in debito rispetto a quello che avrebbe ricevuto se la ripartizione fosse stata semplicemente pro capite. Le posizioni di debito/credito sono poi state cumulate per rappresentare la situazione complessiva rispetto al periodo 1990-2014.

Grafico 1

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Al netto dei bunkeraggi la somma algebrica della posizione dei diversi paesi è uguale a 0. Ovvero crediti e debiti si bilanciano.
Il paese che vanta maggiori crediti è l’India. Con una popolazione che oggi supera abbondantemente 1,2 miliardi di persone, data la bassa intensità carbonica della propria economia, ha accumulato un credito pari a 83 GTon. Sul lato diametralmente opposto, l’area Oecd America ha collezionato un debito pari a 111 GTon. È come se – per procedere con l’esempio culinario – ogni cittadino nord americano (Us, Canada e Messico) avesse mangiato la propria fetta di torta e, preso da un’apparentemente instancabile bulimia, anche la fetta del cittadino indiano.
La Cina, e non sorprende considerando l’enorme incremento di emissioni a partire dal 2000, si trova in sostanziale equilibrio: ha speso quello che poteva spendere data la propria economia e il proprio sistema energetico.
Altra area fortemente deficitaria è l’Africa, in credito di 69 Gton, valore che deriva dalla relativa bassa crescita della domanda di energia.
Tutte le aree Oecd, chi più chi meno, sono debitrici, hanno cioè consumato più carbonio di quanto non gli fosse stato ipoteticamente assegnato.

E domani? Il ruolo del carbon budget

L’esercizio mostrato considera la creazione di debiti e crediti nell’ambito di emissioni già avvenute. Tuttavia il dibattito è ricco e in movimento come mai prima. E le recenti trattative di Marrakech lo confermano.
Qualche numero per comprendere meglio il problema. Supponiamo che le concentrazioni di CO2 in atmosfera oggi fossero pari a 400 ppmv (parti per milioni in volume). Supponiamo ancora –coerentemente con le ipotesi dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) – che l’obiettivo della politica economica e dell’energia miri a raggiungere, ma non a superare, il livello di 450 al 2040. Per arrivare dagli attuali livelli a quelli desiderati possiamo permetterci solo una certa quota di emissioni entro il 2040. Supponiamo siano 1000 GTon. A questo punto si comprenderà che il criterio di allocazione del budget del carbonio che dovremmo immettere nei prossimi anni è di cruciale importanza per capire quale possa essere l’evoluzione futura del negoziato.
In questa prospettiva, il carbon budget (ovvero il budget del carbonio) è la quantità massima di carbonio che può essere rilasciato nell’atmosfera, mantenendo una ragionevole possibilità di rimanere al di sotto di un determinato aumento di temperatura. E il ragionamento presentato fino a ora cerca di identificare un criterio (fra i tanti possibili) per assegnare questa quantità di carbonio.

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Quanto carbonio abbiamo usato? Quanto ne dobbiamo allocare?

È possibile affermare, con qualche minima incertezza, che, tra l’inizio della rivoluzione industriale e oggi abbiamo bruciato fonti fossili emettendo circa 2mila GTon di anidride carbonica, di cui il 56 per cento è stato assorbito da oceani e terra e il rimanente 44 per cento è finito in atmosfera, causando un incremento della concentrazione della CO2 passata dalle 280 ppm del 1760 alle 400 di oggi.
Se fissiamo come obiettivo le 450 ppm al 2050 ci serviranno circa 3mila GTon di anidride carbonica. I due terzi li abbiamo consumati in 260 anni. Per completare l’ultimo terzo ci vorranno 30 anni scarsi.
I modi e i tempi per arrivarci sono in discussione.
Rimane però un dubbio: l’incremento delle emissioni per ogni singolo paese è giustificato dal loro contributo alla crescita del benessere collettivo?

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