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Politiche di coesione: la grande debolezza italiana

Nell’ultimo periodo di programmazione dei fondi europei l’Italia ha mostrato le consuete difficoltà di gestione. Alla fine, ci sono stati anche risultati positivi, ma inferiori a quelli raggiunti negli altri paesi. Il nostro paese si deve dare più efficienti regole di programmazione e valutazione.

Obiettivi ambiziosi e risorse rilevanti

L’Italia ha ricevuto forti critiche per i ritardi e le inefficienze nella gestione dei fondi strutturali nell’ultimo periodo di programmazione, al pari di alcuni paesi dell’Est che però avevano la scusante della poca esperienza. Una recente sintesi delle valutazioni volute dalla Commissione europea ci consente di stilare un bilancio del periodo 2007-2013 in cui sono stati destinati 269,9 miliardi di euro al sostegno degli investimenti e alle infrastrutture (Fesr – Fondo europeo per lo sviluppo regionale e Fondo di coesione).
L’obiettivo principale era ridurre le disparità regionali e la maggior parte delle risorse – 1.527 euro per abitante – è andata alle aree in ritardo (obiettivo “convergenza”), mentre le regioni più sviluppate (obiettivo “competitività e occupazione”) hanno ricevuto le briciole, 91 euro per abitante.
All’Italia sono arrivati 21 miliardi di Fesr, pari a circa il 4,4 per cento degli investimenti pubblici. Il grosso delle risorse (85 per cento) è andato al Sud.

Luci e ombre sull’Italia

In Europa i fondi hanno favorito la creazione di quasi un milione di posti di lavoro e generato circa 3 euro di Pil addizionale per ogni euro investito, nonostante la crisi abbia alterato radicalmente il contesto. In Italia vi sono stati gravi ritardi nella progettazione e nella spesa, tanto da rischiare a più riprese di perdere risorse preziose. A ottobre 2016, a quasi tre anni dalla fine del periodo di programmazione, i pagamenti erano pari all’85 per cento dei fondi contro una media UE del 93 per cento: un risultato peggiore di quello del 2000-2006.

Figura 1 – Pagamenti da parte della UE (Fesr) tra il 2007 e il 2016 (fine ottobre) in percentuale delle risorse totali allocate

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Fonte: dati tratti da Work Package 1: Synthesis Report, Ex-post evaluation of Cohesion policy 2007-2013 (Applica, Ismeri Europa, Cambridge Economic Associates).

Fonte: dati tratti da Work Package 1: Synthesis Report, Ex-post evaluation of Cohesion policy 2007-2013 (Applica, Ismeri Europa, Cambridge Economic Associates).

Alla fine alcuni risultati positivi ci sono stati, ma con una gestione più efficiente si sarebbe potuto fare di più. Sono stati finanziati oltre 6mila progetti di ricerca e sviluppo e 2.500 collaborazioni tra piccole imprese e centri di ricerca, circa 4.500 nuove imprese sono state aiutate a nascere. Vi sono stati interventi migliorativi su oltre mille chilometri di linee ferroviarie, con un contributo alla rete Ten-T (Trans European Network) anche se problemi burocratici e lentezze varie hanno ostacolato le azioni nei trasporti. Circa 825mila persone sono state allacciate a reti fognarie nuove o migliorate e 2,3 milioni di persone hanno ottenuto accesso alla banda larga. Il contributo dei fondi al Pil è stato modesto, stimato in un aggiuntivo 0,3 per cento, e il declino del prodotto pro capite delle regioni italiane dell’obiettivo “convergenza” è stato inarrestabile, anche a causa della crisi, raggiungendo a fine periodo un livello inferiore alla media europea.

Figura 2 – Pil pro capite nelle regioni dell’obiettivo “convergenza” tra il 2000 e il 2014 (Pps; in percentuale della media UE27)

Fonte: dati tratti da Work Package 1: Synthesis Report, Ex-post evaluation of Cohesion policy 2007-2013 (Applica, Ismeri Europa, Cambridge Economic Associates).

Fonte: dati tratti da Work Package 1: Synthesis Report, Ex-post evaluation of Cohesion policy 2007-2013 (Applica, Ismeri Europa, Cambridge Economic Associates).

Incapacità di utilizzare bene le risorse

Nei nuovi stati membri è emersa una impreparazione delle amministrazioni pubbliche alla gestione dei fondi che ha varie cause. Ma, sorprendentemente, anche l’Italia ha fatto male, pur non essendo alle prime armi, né soffrendo di penuria di risorse umane. Hanno faticato molti programmi dell’area “convergenza”. Si tratta di difficoltà permanenti che non danno segnali di miglioramento, non confinate all’utilizzo dei fondi europei, e che affondano radici profonde nelle modalità poco meritocratiche e competitive con cui il pubblico impiego è stato gestito nel tempo.
La scarsa efficienza nell’uso dei fondi in Italia è testimoniata anche dalla gestione delle risorse nazionali, come il Fondo di sviluppo e coesione (Fsc). Nel 2007-2013 queste risorse sono state tagliate della metà rispetto a quanto inizialmente programmato, per la crisi e per destinarli a finalità diverse dallo sviluppo regionale e, nonostante ciò, alla fine del 2015 il livello di avanzamento della spesa era molto basso (11 per cento nel Mezzogiorno, 32 per cento nel Centro-Nord). Anche nel periodo attuale di programmazione – 2014-2020 – il Fsc ha già accumulato ritardi, con poche risorse assegnate.
Le problematiche emerse nell’utilizzo dei fondi UE hanno condotto a cambiamenti nelle regole e altre iniziative europee: condizionalità per l’accesso alle risorse, al fine di favorire programmazione e riforme, piani di rafforzamento amministrativo, maggiore enfasi sui risultati e sulla necessità di migliori indicatori di risultato.
È troppo presto per valutare l’effetto di questi accorgimenti, ma è improbabile che siano sufficienti a sanare le debolezze croniche dell’Italia. Già ora i pagamenti dei programmi operativi sono sospesi a causa di vari ritardi, tra cui l’approvazione dei sistemi di gestione e controllo.
Indipendentemente dalle regole comunitarie, sono necessarie iniziative nazionali decise e più efficienti regole di programmazione e valutazione che il paese dovrebbe darsi autonomamente, per evitare che, nonostante la lunga esperienza accumulata, sia ancora fanalino di coda.

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  1. Ale

    Può per favore chiarire se all’interno dell’Italia esistono sia regioni obiettivo “convergenza” che obiettivo “competitività e occupazione”? Questi obiettivi non esistono più, corretto?
    L’articolo conclude, citando la programmazione – 2014-2020, ma non spiega se esistano ancora queste regioni obiettivo “convergenza” che obiettivo “competitività e occupazione”

    • La valutazione ex-post riguarda il 2007-2013 e l’Italia in questo periodo aveva sia regioni “convergenza” (Calabria, Puglia, Campania, Sicilia. Basilicata era in regime di phasing-out) che regioni “competitività e occupazione”. Nel periodo 2014-2020 le regioni italiane si articolano in “meno sviluppate” (Calabria, Sicilia, Campania, Puglia e Basilicata), “transizione” (Abruzzo, Molise, Sardegna) e “più sviluppate” (le rimanenti).

  2. Ho l’impressione che l’insuffciente utilizzo dei fondi europei disponibli sia legato ad una gestione clientelare dell’accesso a tali risorse da parte delle autorità pubbliche. I fondi sono visti come un’opportunità di arrichimento per pochi priviliegiati (consulenti, appaltatori) appoggiati dai poteri pubblici che approvano. In subordine si dovrebbe anche verificare se la parte utilizzata dei fondi è stata utilizzata in modo adeguato ed efficiente. Penso all’incidente ferroviario fra Andria e Corato che doveva essere evitato in ogni caso, ma che poteva essere evitato a costi contenuti con l’impiego di fondi strutturali. O sbaglio? Chi decide le priorità? Chi può fare proposte? come sono vagliate? Qual è il ruolo del governo centrale? Quali società private lucrano di questa filiera a prescindere dai risultati? Confesso che non conosco la realtà sul campo, ma temo che sia ci tanto di opaco, di condizionamento improprio e di riserva protetta di certi ambienti politici. Potrebbe essere quella la causa dell’inefficienza.

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