L’intervento dello stato ha un ruolo determinante nella gestione delle crisi bancarie. E le misure adottate non sono per forza dannose per le finanze pubbliche. Diverse esperienze internazionali dimostrano al contrario che a volte lo stato ci guadagna.
Perché lo stato è necessario
Nella soluzione delle crisi bancarie ha assunto un ruolo determinante l’intervento dello stato, l’unico in grado di garantire una rapida soluzione dalle situazioni di dissesto, trasmettendo quei segnali di garanzia, solidità, chiarezza e trasparenza necessari per ripristinare un clima di fiducia e stabilità. Segnali tanto più importanti se si pensa che le risorse pubbliche stanziate nei vari paesi europei prima della approvazione della direttiva sul bail-in non sono sempre state a pieno utilizzate. A testimonianza di come sia proprio l’effetto annuncio e la sicurezza che comunque alla fine “il popolo” salverà le banche a garantire l’efficacia degli interventi, in un contesto non esposto alle incertezze e alla volatilità dei mercati.
Possono, indubbiamente, essere utili gli strumenti che cercano di mitigare i costi delle crisi addossandoli innanzitutto su azionisti e creditori “forti” (non i depositanti), come quelli appunto contenuti nella direttiva sul bail in; ma l’esperienza che stiamo facendo dimostra come questi meccanismi, oltre ad aver assoluto bisogno di buone e sagge dosi di modulazione e gradualità quando vengono introdotti, da soli non sono in grado di consentire una sicura fuoriuscita dalla crisi. Al contrario corrono il pericolo di prolungarla all’infinito pregiudicando la solidità non soltanto di chi è in difficoltà, ma anche di chi è sano, perché generano un tossico e velenoso sentimento di sfiducia in tutto il sistema.
Quindi, la presenza dello stato è necessaria e poi, cosa molto importante e spesso sottovalutata, non è affatto vero che alla fine le finanze pubbliche ci debbano perdere. Anzi qualche volta ci guadagnano.
Le esperienze internazionali
Nelle schede che presentiamo cerchiamo di vedere attraverso quali modalità nel passato, recente e meno recente, sono state salvate le banche in alcuni paesi europei. Sono schede relative alle esperienze (tutte antecedenti alla approvazione della direttiva sul bail-in) di Svezia, Svizzera, Spagna, Irlanda e Germania. Per loro natura necessariamente sintetiche e riassuntive, danno però il senso delle strade finora seguite. In tutti questi paesi si è dato vita ad apposite bad bank per gestire e sanare la zavorra dei crediti deteriorati delle banche. Si è in determinati casi pensato a soluzioni generali che coinvolgevano l’intero assetto creditizio oppure, in altri, si sono adottate misure concentrate su singoli intermediari in difficoltà.
Ciascuna esperienza, naturalmente, presenta caratteristiche diverse e va collocata nel suo specifico contesto storico ed economico. Quindi non è automaticamente traducibile in sistemi istituzionali diversi, ma molti sono gli elementi di indubbio interesse. Soprattutto emerge con forza un comune filo conduttore che induce comunque a riflettere: al di là delle differenti modalità tecniche, alla fine è sempre il popolo a salvare le banche e per il popolo il salvataggio può anche rivelarsi tutto sommato non troppo dispendioso.
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Orkydea
“a volte lo stato ci guadagna”
forse qualche stato efficiente e competente
in Italia non esiste uno stato efficiente e competente
qui adottiamo soluzioni incompetenti e populiste, dettate dalla paura e dalla ricerca del consenso
in Italia le banche “erano” solidissime, ora scoppiano come palloncini
oggi abbiamo la tecnologia per intervenire nei sistemi bancari, prelevare forzosamente i dati dei clienti, trasferire i dati in un’altra banca e far fallire la banca che ha amministrato male i soldi dei clienti, punto
dirigenti delinquenti in galera
dipendenti conniventi a casa
banca chiusa per fallimento
as simple as that
tutto il resto, “la banca non può fallire”, “troppo grossa per fallire” e menate varie, via, à la poubelle
quando cominceremo a fare la persone serie, a punire severamente gli errori, a tutelare davvero i cittedini?
Antonio Sechi
E’ un interessante quadro sinottico, certamente utile per capire meglio, uscendo almeno un po’ dall’angusto panorama nazionale. Forse aggiungerei alle tabelle l’incidenza degli interventi pubblici sul PIL nazionale. Mi pare necessario per contestualizzare le scelte politiche dei governi. 100 €miliardi non sono lo stesso importo in Italia, in Germania o in Bulgaria.
Henri Schmit
Ottimo articolo! come quello precedente sull’effetto benefico delle intenzioni dichiarate da parte dell’autorità pubblica. Non c’è mercato, non c’è contratto, non c’è libertà senza autorità pubblica che garantisca. Questo non giustifica qualsiasi intervento, ma vieta la rinuncia di principio all’intervento, come alcuni sedicenti liberali volevano farci credere. Rimane la questione quando e come intervenire, se si salva il sistema o se a spese pubbliche si sistemano gli amici. Chi ci garantisce che il pubblico ne trarrà vantaggio? Il governo in carica? Sicuramente quello precedente non ha garantito un bel niente; scegliendo il ruolo di Ponzio Pilato ha in realtà utilizzato il rischio sistemico per fare (inutilmente) pressione sull’opinione pubblica chiamata a votare sulle riforme (questo il giudizio espresso da Ferruccio De Bortoli una settimana fa in una trasmissione televisiva). Chi allora se ne assumerà la responsabilità? Quanto costerà? Dove – da chi – prendere quello che servirà?
Alfredo
Lo Stato ci guadagnerà anche, ma scusate, io contesto il principio. Non si vede perchè nel caso delle banche il rischio d’impresa debba ricadere sui cittadini. A fronte di un riparo dalla speculazione, come gli stessi autori terrorizzano in un precedente articolo, la sicurezza di trovare soccorso nell’intervento pubblico autorizza evidentemente azionisti e manager (sovente retribuiti con cifre esorbitanti) a intraprendere politiche poco oculate, quando non al limite dell’azzardo. E poi, se denaro pubblico dev’essere speso, anzichè ricapitalizzarle, non si potrebbe ricorrere a procedure più selettive di tipo civilistico (come le procedure concorsuali) salvaguardando esclusivamente gli interessi di depositari e correntisti, che nulla hanno a che fare con certe decisioni?
Massimo Matteoli
Non sono un economista ma basta il buon senso per capire che il fallimento della terza banca italiana avrebbe conseguenze disastrose per l’intero paese.
La cosa più ridicola, mi scusi chi la pensa così, sono quelli che dicono che non vogliono “spendere” i loro soldi per salvare il MPS, senza contare quanto gli costerebbe non salvarlo. Il fatto veramente tragico è l’nerzia del sistema finanziario italiano; anche loro hanno evidentemente paura di “spendere”, eppure l’esperienza di Banca Etruria (e le perdite che anche loro hanno subito per questo) dovrebbe pure aver insegnato qualcosa.
Tanto per fare un nome, Intesa san Paolo, così sollecita a dichiarare di essere pronta a sostenere Berlusconi contro la scalata di Bollorè a Mediaset, pensa forse che i suoi conti miglioreranno con la tempesta che colpirà il sistema bancario italiano nel caso di risoluzione del MPS? Poveri illusi.