Gli occupati sono significativamente aumentati nel 2016. Ma si tratta di una crescita che è stata sostanzialmente “generata” nel 2015. Perché gli incentivi varati per quell’anno hanno avuto successo, con un forte impatto sulla domanda di lavoro. Quelli per il 2016 sono stati un premio alle aziende.
Crescono gli occupati
La disponibilità di dati relativi ormai a quasi tutto il 2016 (primi undici mesi) consente di fornire le prime indicazioni di sintesi sull’evoluzione dell’occupazione. Indicazioni che, per evitare facili distorsioni, devono essere inquadrate nelle dinamiche di medio-lungo periodo.
Secondo i dati Istat-Rfl, gli occupati sono significativamente aumentati nel 2016, come ben si vede nel grafico 1, proseguendo la tendenza dell’ultimo biennio. L’inversione, rispetto al precedente lungo periodo di pressoché continua contrazione della domanda di lavoro (che aveva comportato un calo di circa un milione di occupati), è avvenuta tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014; tra il 2015 e il 2016 vi è stata una netta accelerazione e ora si può dire che si è almeno recuperato quanto perso nella seconda fase (2011-2013) della grande crisi.
Tutto il recupero occupazionale è attribuibile al lavoro dipendente. Anzi, complessivamente i dipendenti nel 2016 sono ritornati al livello osservato nel 2008, al culmine dell’espansione occupazionale che ha preceduto l’infausto 2008 (grafico 2).
Ciò non significa, ovviamente, che si sia riprodotta la medesima composizione di allora per settori, orari, tipologie contrattuali. I cambiamenti sono di assoluto rilievo sia sotto il profilo strutturale (minor peso dell’industria in primo luogo) sia per quanto riguarda le modalità di impiego, vedi in particolare la maggior incidenza del part time, passato, per i dipendenti, tra il 2008 e il 2016 dal 15 al 20 per cento, mentre l’incidenza degli occupati a termine è rimasta sostanzialmente inalterata, attorno al 13-14 per cento.
Del tutto insensibile a ogni refolo di ripresa risulta invece l’insieme dell’occupazione indipendente, per la quale il declino, già visibile prima del 2008, non si è praticamente mai arrestato (grafico 3).
In questa lunghissima discesa si può leggere una sorta di “normalizzazione” (capitalistica) dell’economia italiana, ora più vicina, per quote di lavoro indipendente, agli altri paesi sviluppati. Ma non si tratta affatto di una “normalizzazione” indolore: l’esaurirsi della specificità italiana (soprattutto, ma non solo, della “Terza Italia”) da un lato è all’origine di un disagio sociale diffuso e senza canali espressivi efficaci, dall’altro non risulta sostituito dallo sviluppo di culture e strutture imprenditoriali in grado di compensarne il declino del ruolo occupazionale e sociale.
Effetti degli incentivi
Il confronto con i dati amministrativi rafforza l’analisi e consente di precisare ulteriormente la natura della crescita occupazionale osservata per i dipendenti nel 2016.
A ben vedere, non è altro che la conseguenza, il consolidamento, di quanto accaduto nel 2015 quando è stato registrato un così consistente flusso di assunzioni e trasformazioni a tempo indeterminato – trainato soprattutto dalla decontribuzione – i cui effetti si sono riversati velocemente anche sui dati aggregati, cosa che non succede praticamente mai per le politiche del lavoro perché le dimensioni ordinarie dei tanti interventi che si succedono – dalle varie riforme dell’apprendistato alla regolazione dei voucher, dalla Garanzia giovani agli incentivi per la ricollocazione, dalle politiche elaborate in ambito di programmazione Fse (fondo strutturale europeo) alle misure per favorire l’imprenditorialità – non producono a breve risultati quantitativi tali da essere significativi e apprezzabili osservando i macroindicatori (volume di occupati o tassi di occupazione).
Potremo dunque dire – correttamente – che nel 2016 in media d’anno vi è stata maggior occupazione che nel 2015: in realtà, però, i dati Inps sui flussi di assunzioni e cessazioni ci consentono di precisare che tutta la crescita del 2016 è stata sostanzialmente “generata” nel 2015, come eloquentemente evidenziato nel grafico 4 (basta osservare con attenzione lo svilupparsi della dinamica cumulata dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato). Ciò permette di formulare un’ipotesi importante in merito alla valutazione degli incentivi: mentre quelli semplici, massicci – e giustamente straordinari – varati con la legge di stabilità 2014 hanno avuto sicuro successo, determinando con un formidabile impatto il cambio di clima e di passo nella domanda di lavoro – si sono rivelati cioè veri “incentivi”, quelli del 2016, ridotti di importo, non hanno modificato il volume atteso (standard) della domanda di lavoro ed è plausibile ritenere che – questi sì – si siano risolti in “premi” alle imprese per un comportamento sul versante occupazionale che avrebbero tenuto comunque.
* Le opinioni espresse non impegnano l’amministrazione di appartenenza.
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Luca Morandini
Non sarebbe il caso di depurare i dati dall’effetto della riforma Formero, che ha aumentato (o meglio, non ha fatto diminuire) il numero degli occupati delle classi piu’ anziane?