Il governo prepara una nuova Strategia energetica nazionale. Al di là delle polemiche suscitate dalla notizia, è importante concentrarsi sugli elementi imprescindibili che dovrebbero costituirne la base. E far tesoro delle esperienze del passato, come i limiti della pur ambiziosa Sen del 2013.

Da Pen a Sen

Il dibattito intorno alla nuova Strategia energetica nazionale (Sen) è partito con un carico di polemiche degne di miglior causa. Non ha certamente aiutato la modalità con cui la notizia è stata comunicata – un’indiscrezione giornalistica – né la decisione del ministro Calenda di affidare la redazione di una prima bozza del documento a un consulente privato esterno all’amministrazione, come aveva già fatto Corrado Passera, estensore della Sen attualmente in vigore. A quella decisione è seguito un “apriti, cielo!” delle burocrazie ministeriali e non, degli esperti dentro e fuori le università e i centri di ricerca.
Nonostante la cosa non sia partita nel modo migliore, quello che è rilevante – e ancora poco discusso – è il ruolo che un documento di questa di portata possa o debba avere nell’offrire linee guida utilizzabili da tutti gli operatori.
La Sen oggi in vigore è stata presentata nel marzo 2013 dagli allora ministri Passera (Sviluppo economico, Infrastrutture e Trasporti) e Clini (Ambiente) attraverso un decreto interministeriale.
Si trattava di un documento complesso con molte ambizioni, qualche merito e diverse criticità. Soprattutto aveva il pregio di reintrodurre un elemento di strategia pubblica complessiva in un mondo, quello dell’energia, privo di un quadro di riferimento organico da un quarto di secolo. L’ultimo Piano energetico nazionale (Pen) risaliva infatti al 1988, quando l’energia rinnovabile era di là da venire. La Sen arrivava poi in una fase di riflessione, dopo un decennio di privatizzazioni importanti per il settore – Eni nel 1993 ed Enel nel 1999 – e di fondamentali interventi legislativi che hanno modificato a fondo gli assetti esistenti. Basterebbe solamente ricordare il decreto Bersani del 1999 con cui si avviava la liberalizzazione del mercato elettrico.
La Sen di Passera e Clini non è stata tuttavia incisiva, un po’ perché il governo che la promosse era già stato superato al momento della presentazione del documento, un po’ perché conteneva alcune questioni davvero complesse da digerire. La Sen 2013 è dunque rimasta un documento e niente di più. Difficile affermare che i provvedimenti presi dai successivi governi si siano inseriti in modo organico all’interno delle priorità indicate in quel documento. Alcune di esse paiono oggi fuori dal tempo, come l’idea di fare dell’Italia un “hub” del gas sud-europeo, con il rischio evidente di avere una sovrabbondanza di infrastrutture (rigassificatori, gasdotti) rispetto a una domanda in calo e a un’Europa che si avvia verso la decarbonizzazione. O come l’improbabile politica di raddoppio della produzione nazionale di idrocarburi che, nonostante l’esito del referendum “no-Triv”, appare tutto fuorché una priorità nel momento in cui in tutto il mondo ci si sta chiedendo quanti idrocarburi rischiano di restare sottoterra nei prossimi anni. Senza contare che le stesse multinazionali del petrolio rivedono radicalmente i propri piani industriali e i produttori di autoveicoli sterzano verso la mobilità elettrica.

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I dati imprescindibili

Quali sono i suggerimenti che possono essere tratti dall’esperienza della passata Sen? Volendo limitarsi solo al contesto, qualunque strategia nazionale è oggi condizionata da alcuni imprescindibili elementi:

  • i mercati energetici domestici sono liberalizzati e caratterizzati da una pluralità di attori privati, il che rende impossibile la pianificazione del passato. Strategia non fa rima con pianificazione, ma con indirizzo;
  • l’economia italiana è calata in un contesto europeo caratterizzato da una politica energetica e climatica centralizzata: le varie direttive europee – ultimo in ordine di tempo è l’articolatissimo “winter package” – condizionano enormemente le scelte autonome nazionali;
  • il mondo dell’energia è estremamente mutevole: poche variabili hanno conosciuto andamenti altalenanti e capovolgimenti repentini come i prezzi internazionali dell’energia e pochi shock come quelli energetici hanno colpito così profondamente i sistemi economici;
  • la tecnologia è cruciale nel mondo dell’energia, uno degli ambiti dove sono più intensi lo sforzo di ricerca e il progresso tecnologico. Questo significa che chi vuole “fare strategia” deve fare uno sforzo di immaginazione più che di previsione e deve darsi un orizzonte temporale sufficiente: non 2030 ma 2050;
  • preparare una bozza per poi aprirla al dibattito e modificarla di conseguenza ha un senso se gli attori che partecipano al processano ricevono un adeguato ritorno per la loro partecipazione: servono tavoli di consultazione per dare il senso del coinvolgimento.

Il lavoro infatti non termina nel proporre il documento alla discussione, ma solo dopo che la consultazione si è compiuta e che si è anche dato conto del modo in cui suggerimenti, critiche e indicazioni indipendenti sono stati recepiti. La condivisione è un elemento importante ed è totalmente mancato nella precedente esperienza.

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