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La storia surreale del voucher “che toglie dignità al lavoro”*

Prima di far scomparire i voucher, si sarebbe dovuto stabilire se hanno o meno prodotto effetti positivi. Ma la Cgil ne fa una questione di principio, considerando sbagliata gran parte della legislazione per la semplificazione della disciplina del rapporto di lavoro dipendente.

Voucher: nessuna diffusione abnorme

Istituiti dalla legge Biagi nel 2003 allo scopo di semplificare l’ingaggio per i “lavoretti”, i buoni-lavoro hanno incominciato a essere fruibili effettivamente dal 2008, anno in cui ne furono utilizzati soltanto mezzo milione. Da allora l’uso dello strumento ha fatto registrare un aumento esponenziale, apparentemente correlato più con la diffusione della sua conoscenza da parte degli utenti che con le modifiche legislative entrate in vigore nel 2010, 2012 e 2015: le vendite si sono quintuplicate già nel secondo anno: 2,7 milioni nel 2009; poi sono passate a 9,7 milioni nel 2010, a 15,3 nel 2011, a 23,8 nel 2012, 40,7 nel 2013, a 68,5 nel 2014, a 108 nel 2015 e a 134 nel 2016.
Quest’ultimo dato dei 134 milioni di buoni-lavoro venduti nel 2016 ha indotto la Cgil a denunciare una pretesa “evidenza della diffusione abnorme di questa forma di lavoro”. In realtà, se si considera che in Italia le ore di lavoro complessivamente svolte nel 2016 sono state poco meno di 43 miliardi, ci si convince facilmente che il lavoro retribuito con i voucher è stato anche nell’ultimo anno una frazione minuscola, al massimo lo 0,3 per cento. Nessuno può sostenere ragionevolmente che questo “zerovirgola” di lavoro accessorio costituisca l’evidenza di una sua diffusione abnorme, cioè del fatto che abbia sostituito una quantità rilevante di lavoro che altrimenti si sarebbe svolto nella forma ordinaria.
È certo che qualche abuso si sia verificato; ed è pure plausibile che in qualche caso l’ingaggio con i voucher abbia sostituito lavoro regolare; ma è altrettanto ragionevole pensare che nella parte di gran lunga maggiore dei casi questa forma di ingaggio abbia consentito, invece, di svolgere in modo trasparente, e con copertura contributiva, del lavoro che altrimenti sarebbe stato inghiottito dall’economia sommersa o non avrebbe potuto neppure svolgersi. Logica vorrebbe, dunque, che prima di por mano a una drastica restrizione della possibilità del suo utilizzo si studiasse il fenomeno, per stabilire dove i buoni-lavoro abbiano prodotto effetti desiderabili, dove no e in quale misura: solo in questo modo si possono correggere le regole che lo disciplinano, in modo da tagliare solo la parte cattiva salvando quella buona. Se la Cgil rifiuta questo modo di procedere è perché considera lo strumento dei buoni-lavoro come cattivo in sé, indipendentemente dal fatto che consenta l’emersione di lavoro nero o l’attivazione di lavoro che altrimenti non ci sarebbe del tutto: i voucher vanno aboliti perché sono “la forma estrema della mercificazione del lavoro”, perché permettono “la degradazione del lavoro, [sono] l’ultimo gradino della precarietà” (Susanna Camusso su la Repubblica del 14 marzo).

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Semplificazione e dignità del lavoro

Impostata così, la questione posta dalla Cgil non può evidentemente essere oggetto di una discussione pragmatica, suscettibile di risolversi individuando e misurando gli effetti pratici negativi dei voucher e quelli positivi. Per altro verso, quella che così viene posta è una questione cruciale per la politica del lavoro nel nostro paese. Il sindacato guidato da Susanna Camusso considera sbagliata quella gran parte della legislazione dell’ultimo ventennio che, dalla legge Treu del 1997 in poi, è stata orientata alla semplificazione della disciplina applicabile e degli adempimenti burocratici necessari per la costituzione del rapporto di lavoro dipendente.
Se si entra nell’ordine di idee che “semplificazione equivale a riduzione del valore del lavoro”, è facile capire perché l’abbattimento dei costi di transazione sia ritenuto incompatibile con la dignità del lavoro, anche quando si tratti di un lavoro accessorio, occasionale, di breve durata.
È meno facile capire perché il governo si stia orientando a seguire la Cgil su questa strada, progettando un divieto drastico di utilizzare i voucher per le imprese e, quanto alle famiglie, vietandone l’uso per l’ingaggio di persone che abbiano più di 24 anni e non siano pensionati o disabili. La sola spiegazione possibile sta nell’intendimento di evitare a tutti i costi un referendum nel quale il merito della questione conterebbe pochissimo, perché sarebbe probabilmente travolto dal vento anti-establishment, che oggi soffia forte in Italia e non solo. Il governo, però, può correggere gli effetti dell’intervento, senza comprometterne l’obiettivo politico: se si vieta alle imprese l’uso dei voucher, si può e si deve consentire loro almeno di soddisfare le esigenze di lavoro occasionalmente ricorrente (assistenza a congressi, assistenza al pubblico in occasione di eventi sportivi, rafforzamento del personale di vendita in periodo natalizio, per esempio) utilizzando il contratto di lavoro intermittente, il cosiddetto job on call. Il decreto n. 81/2015 ne aveva drasticamente ridotto lo spazio proprio in considerazione dell’ampliamento di quello dei voucher: logica vorrebbe, se non si vuole vietare di fatto il lavoro accessorio, che ora si proceda in senso inverso.

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* L’autore è senatore del Partito democratico

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25 commenti

  1. stefano

    Non voglio discutere sulla cattiva abitudine (senza bandiera nè colore) di alcuni Enti politicizzati di strumentalizzare ogni cosa per trarne consenso ma qualcuno ha mai provato a ritirare i Voucher??
    Sostenere che fossero uno strumento funzionante mi pare un’offesa ai lavoratori che dopo aver lavorato dovevano affrontare non poche difficoltà per riuscire a incassare il denaro. Se una cosa non funziona o si aggiusta o si elimina.

    • Massimo ricci

      Con rispetto per il prof. Ichino, ma non ha toccato il problema. Lavoro in banca e mi occupo di finanziamenti. Recentemente si è presentato un giovane under 35 con questa situazione lavorativa sotto la stessa azienda: 2013 contratto tempo determinato inferiore a 100 giorni + voucher; 2014 idem; 2015 idem; 2016 da 1/1 a 30/4 voucher, da 1/5 a 30/9 contratto tempo determinato con proroga al 17/10: dal 8/11 contratto di apprendistato x 42 mesi. Il tutto nella stessa azienda dal 2013 al 2017. Con questo stato di fatto non meravigliamoci se i giovani votano in massa Grillo.

      • caro Ricci, il caso che pone centra poco con i voucher. Questi sono veramente “accessori” rispetto alla realtà di diversi contratti a termine inferiori ai 36 massimi previsti dalla legge (per cui legittimi). Il contratto di apprendistato DOPO 4 contratti a TD, invece, è strano e, a spanne, è legittimo solo se riguarda una figura professionale diversa da quella per cui erano stati fatti i 4 contratti precedenti. Ma questa è una materia tipica dei sindacati di categoria a uno dei quali, spero, Lei abbia indirizzato il giovane. O magari, all’Ispettorato del lavoro. Invece di evocare Grillo ( il quale non credo abbia l’idea di eliminare tutti i contratti flessibili) si tratta di vedere se ci sono diritti negati oppure no, e questo è ancora un mestiere che i sindacati seri sono in grado di svolgere. Se invece la banca ha usato le tipologie contrattuali correttamente, abbiamo un lavoratore che ha lavorato 3 anni per un tempo parziale e poi ha imboccato la strada, con l’apprendistato, della qualificazione e della stabilizzazione. Esistono, purtroppo, percorsi e transizioni ben peggiori, mi creda.

    • Amegighi

      Direi, si aggiusta, se il PRINCIPIO ne vale la pena. Infatti Lei non risponde alla questione centrale se i voucher come “strumento” siano giusti o meno.
      E ritorniamo quindi indietro alla domanda centrale posta dal Sen Ichino.
      Qui, il problema è che abbiamo un sistema sindacale che, oltre a scagliarsi contro i voucher oramai difende i dipendenti a tempo indeterminato (sempre meno..), i pensionati (che non lavorano e sono sempre più), e, soprattutto, delle figure professionali che oramai appartengono alla storia del mondo industriale. Ed è un problema veramente serio, dal momento che di questa “assenza” ne stanno approfittando a piene mani le imprese (meglio, gli imprenditori..) che sottoutilizzano e sottopagano figure professionali di alto (o altissimo) profilo che spesso lasciano all’azienda il risultato del loro lavoro sotto forma di opere intellettuali ad alto contenuto tecnologico. D’altronde questo è il tipo di attività economica verso cui noi nazioni evolute stiamo dirigendoci.
      Il non comprendere che, accanto alla vecchia figura del dipendente a tempo indeterminato, possa esistere una figura di dipendente a tempo determinato capace anche di sostenere più contratti contemporaneamente, o di dipendenti “consulenti” di tipo professionale, è indice di arretratezza mentale. Uno scontro contro i mulini a vento in cui portare a discutere l’ovvio come fa il Sen Ichino, pare un’impresa impossibile, se non inutile.

  2. Sono d’accordo con il sen. Ichno sulle riforme promosse e realizzate e sulle conclusioni di questo articolo. L’autore sbaglia tuttavia nell’individuazione del colpevole. Stiamo assistendo all’inizio della messa in discussione delle riforme più tangibili del triennio Renzi, non per colpa dei sindacati che nel bene e nel male fanno il loro mestiere, ma per colpa del governo erede e luogotenente pro tempore di Renzi, troppo debole per difendere le posizioni assunte in precedenza. Se proprio occorre correggere errori del passato recente, sarebbe stato preferibile reintrodurre la tassa sulla prima casa. La debolezza di questo governo rispecchia e amplifica quella di quello precedente quando è entrato nella logica plebiscitaria, mettendo l’obiettivo di mantenersi al potere e il consenso immediato davanti agli obiettivi strutturali di medio termine, di cui ampi strati della popolazione accetterebbero anche gli effetti negativi se spiegati da proponenti autorevoli. Si sta smontando le migliori riforme del governo Renzi …. per far tornare al governo la stessa squadra un’altra volta. Se non è follia questa….

  3. Massimo Matteoli

    l Pd renziano abolisce i voucher non perchè è giusto farlo ma solo per calcoli politici di bassa cucina elettorale.
    Questa disinvoltura, anche se stavolta a fin di bene, mi fa comunque paura, perchè potrebbe benissimo applicarsi (come è già accaduto con il voltafaccia sull’art. 18) a qualunque altra questione, solo perchè “fa comodo” agli interessi politici del leader.. E’ questo il vero problema che emerge dalla solita “furbata all’italiana” e dovrebbe preoccuparci senza distinzioni, perchè dimostra che lo “stai sereno” può colpire tutti e tutto.

  4. Roberto Bellei

    Vorrei sapere se vi sono dati a conforto della tesi che i voucher hanno fatto emergere (in parte) il lavoro nero. In altre parole: è possibile estrapolare gli incassi dai voucher da quelli relativi a tutte le altre forme di lavoro contrattualizzato e sapere di quanto sono aumentati gli incassi? Facendo lo stesso con i dati del 2018 sapremo quanti saranno i contributi persi per quelli che sono tornati nel “sommerso”.

  5. Roberto Bellei

    Grande vittoria del sindacato e grande sconfitta del Paese. Purtroppo, con il sistema proporzionale, si tornerà alla concertazione nella quale si terrà conto soprattutto degli “addetti ai lavori” piuttosto che dei cittadini e dei contribuenti.

  6. Savino

    Se si rientra nel contesto dell’abuso di un istituto, ben oltre la sua praticità (ed è un classico italiano) va a finire che una paccata di simil-buoni da 7, 50 euro netti sostituisce un normale contratto privato di lavoro.

  7. amorazi

    veramente è il non lavoro che toglie dignità alla persona

  8. paolo pollicelli

    Ma il problema del lavoro nero come lo risolve?

  9. Paolo Mariti

    Premetto, non andava buttato il bambino con l’acqua sporca, per più ragioni.E la posizione della CGIL è parsa anche a me pregiudiziale. L’articolo, tuttavia, mi fa riflettere e dire che non mi pare che la questione possa essere messa nei termini spogli di un “abbattimento dei costi di transazione” e “dignità del lavoro”. Ogni intervento normativo sui mercati, e in particolare di quelli del lavoro, fornisce (e vuole fornire) incentivi a certe scelte imprenditoriali e, per altri versi, stimola quelle politiche. In una prospettiva diacronica e guardando all’utilizzo nel tempo dei buoni, da una parte, e all’evoluzione normativa,dall’altra, se è indubbio che via stato un periodo iniziale di poca diffusione (stadi pre-crisi 2007-8), man mano la norma è stata progressivamente estesa a coprire settori diversi e la prassi operativa sul campo ha ricompreso casistiche nuove. Tra il 2003, il secondo governo Berlusconi, il governo Monti e Letta per terminare con il Jobs Act di Renzi passano più di dieci anni e si tratta, val la pena di evidenziarlo, di governi di diverso colore politico. Si può allora capire che la “escalation” nell’utilizzo dei buoni pur non vistosa sul costo complessivo del lavoro possa essere letta con preoccupazione in questo quadro. Non sarebbe più una questione soltanto di “semplificazione”, di riduzione dei costi di uso del mercato, ma anche di organizzazione di questo.

  10. Marco Spampinato

    Oltre tutto, aboliti i voucher, resta come al solito una banca dati sottoutilizzata per una o più valutazioni, non fatte. L’oggetto della valutazione può essere il fenomeno del lavoro occasionale, e lo scopo conoscerne meglio le componenti “normali”, o attese, e quelle più o meno patologiche, che la norma ha fatto emergere o creato. Per esempio, la base dati “committenti e prestatori” (raccolta dall’INPS) consente molto più del calcolo dei voucher venduti. E’ importante, perché se le informazioni su ore, prestatori e committenti sono “legate”, si può comprendere meglio – prima di tutto – se la crescita dei voucher è dovuta più all’ampliamento della platea di committenti – a parità di ore lavorate per prestatore -, o viceversa, all’aumento delle ore lavorate per prestatore – a parità di committenti (variazioni settori/territori e stime di effetti di novazioni nella norma incluse nell’analisi). Tra i due scenari estremi – sul passato -, solo il primo non smentisce la tesi che i buoni siano strumento di regolarizzazione del lavoro sommerso (ad es. domestico o stagionale, dove concettualmente fondato). Nell’altro scenario, viceversa, i buoni sostituirebbero contratti di lavoro strutturati. Una scelta pubblica preceduta da analisi rigorose sulla norma è culturalmente rivoluzionaria e “senza padroni”, anche quando la norma si cancella. Rischiano di più il posto i Ministri, e non solo loro, perché migliore conoscenza riduce il bisogno di intermediazione in molte decisioni.

  11. La CGIL si illude se pensa che togliendo flessibilità alle Aziende, le stesse corrano in massa agli uffici di Collocamento per assumere personale a tutto spiano, e a tempo indeterminato, per giunta. Come dice Ichino, penso che o si ritornerà al nero oppure non si farà nulla. Le Aziende non sono delle pecore che il Governo pensa di chiudere in un recinto e obbligarle a mangiare l’erba che dice lui e a tosarle a suo piacimento. Esiste ancora la libertà di decidere se lavorare o no (magari andando all’estero…).

  12. Salvatore

    La cosa più bella in merito a questo squallore è che poche settimane prima di modificare per l’ennesima volta la legge sui voucher, una trasmissione (ni sembra della Gabanelli) mostrava come si usano i voucher in Francia. BASTAVA COPIARE!
    Ma li si usa il computer per registrare l’ingresso del lavoratore dalla mattina .

  13. Mauro Palumbo

    Sono d’accordo con il Senatore Ichino. La difesa del lavoro non si fa così, è pura battaglia ideologica e il Paese ha bisogno di discutere su come sviluppare l’economia, non sui voucher. Se hanno dei difetti (come quelli che cita Stefano), li si migliori. Eliminarli rischia di far risommergere del lavoro occasionale nel lavoro nero e basta. Malissimo ha fatto il Governo a cedere al ricatto. Se temiamo il vento anti establishment allora evitiamo non solo i referendum, ma anche le elezioni!
    Prima o poi ci sarà modo di ragionare sui risultati delle politiche invece che sui presupposti ideologici che (si ritiene) le ispirano! O sono inguaribilmente ottimista?

  14. Renato Fioretti

    Ichino al solito, racconta una parte di verità; la più rispondente alle esigenze dei “padroni”. Tenta di far passare l’idea secondo la quale l’aumento dei voucer sarebbe conseguenza della loro maggiore conoscenza. Tace, invece, sui veri motivi. 1) la loro sostanziale “liberalizzazione”, nel senso di averli resi possibili ovunque e comunque; per qualsiasi datore di lavoro (privato e, persino, pubblico); 2) l’aumento del “tetto” di utilizzo; da 5 mila a 7 mila Euro.
    Un altro punto, presentato come un elemento sostanzialmente marginale, è rappresentato da quello 0,3 per cento di cui parla l’esponente Pd. Escludere che una percentuale così bassa non consenta di denunciare un uso abnorme dei voucer, c’entra, infatti:”Come i cavoli a merenda!”
    Tra l’altro, l’uso abnorme e ingiustificato è stato denunciato dallo stesso Inps.
    Secondo i dati dell’Osservatorio Inps, nel 25 per cento dei casi, il ricorso ai voucher si realizza in contemporanea – nel corso dello stesso anno, tra lo stesso committente e prestatore – a un rapporto di lavoro più stabile (a termine, ad esempio).
    Così come spesso si verifica che una minima parte della giornata lavorativa è pagata a mezzo voucher e la restante parte “in nero” (come emerge da un recente Rapporto Uil, pubblicato appena qualche mese fa).
    I voucer, secondo l’Inps sono:” La punta di un iceberg sotto cui c’è un enorme “nero”.
    Li usano, in gran parte, grandi imprese del commercio, terziario, industria e EE. PP.
    Ichino lo sa!
    Renato Fioretti

  15. stefano calzolari

    Prof. Ichino,
    credo che dopo questa sua affermazione

    “L’applicazione della legge Severino contro la corruzione negli organi legislativi e amministrativi contribuisce a ridare al nostro Paese almeno in parte, agli occhi della comunità internazionale, una credibilità come Stato di diritto”

    e quello che è successo in settimana con la “pratica” Minzolini, a cui ha partecipato, Lei debba qualche spiegazione chiara ed efficace.
    Grazie

  16. Michele

    Tutta la legislazione italiana per rendere flessibile il lavoro ha prodotto in realtà solo precarizzazione. I voucher ne sono solo l’ultimo esempio. Il peggiore perché molto spesso aiutano (e non combattono) il lavoro nero. I più danneggiati da questa politica sono le imprese, che dalla crescente flessibilità del lavoro sono incentivate ad una programmazione di breve periodo, a un shortermismo contrario alla creazione di valore economico duraturo per i loro azionisti. Inoltre la precarizzazione e svalutazione del lavoro ha minato la domanda interna, di nuovo danneggiando soprattutto le imprese italiane. Tutto il resto sono chiacchiere

  17. tito speer

    il vero dramma è che si continua a dare credibilità alla CGIL che, come gli altri due, è il sindacato meno demoratico d’Europa, guidato da una oligarchia di funzionari che si cooptano al potere e non eletti dagli iscritti, che gestiscono un patrimonio immenso non reso noto amministrato probabilmente in modo non corretto e che hanno mentalità d’altri tempi. I sindacati non rispettano i dettami costituzionali.

    • Simone

      Io credo che si debba smettere di pensare ai sindacati, almeno in Italia, come a delle organizzazioni che difendono gli interessi di tutti i lavoratori. I sindacati difendono gli interessi DEI LORO ISCRITTI, che nel caso della CGIL sono per più del 50% pensionati. Una volta presa coscienza di questa realtà, non posso che concordare con quanto diceva il primo Renzi, e cioè che il tempo della concertazione, del coinvolgimento dei sindacati nelle trattative con il governo (nelle quali i sindacati avevano quasi un potere di veto) era finito in quanto anacronistico e non tutelante per gran parte delle categorie di lavoratori, per esempio tutti quelli che per questioni anagrafiche andranno in pensione con il contributivo,

  18. Marco

    La vera domanda è: perchè da noi i referendum su temi cruciali non si possono mai fare mentre per esempio in Svizzera se ne fanno di continuo?

  19. Chi come il sottoscritto difende il principio delle riforme del lavoro del governo Renzi non ritiene necessariamente che la legge attuale sia perfetta; c’è stato abuso di voucher e sembra che i licenziamenti disciplinari siano aumentati molto. Non va bene, ovviamente. Serviva una regola aggiuntiva per ostacolare gli abusi dei voucher, non la loro abolizione e, se l’altra critica è vera, bisogna tutelare i dipendenti, perché la zona grigia fra illecito o colpa grave e semplice ineficienza o inutilità è immensa e non deve pesare sulla dignità dei dipendenti; l’unica soluzione che vedo io e che sostengo è di liberalizzare il licenziamento per motivi economici o di riorgianizzazione aziendale, ma contro lauto compenso dei dipendenti che ne fanno le spese. Se lo stato assistesse per un periodo ed aiutasse i senza lavoro a rimettersi in pista, i sindacati potrebbero forse accettare una soluzione ‘liberale’ ma ‘sociale’ come questa.

    • Franco

      Invece – chissà perché – il Governo non ha previsto alcun “Lauto compenso”, mentre le famose 30.000 lettere inviate dall’Anpal ad altrettanto disoccupati stanno partendo solo ora, a ben 2 (due) anni dall’entrata in vigore del J.A. !!!
      Chissà perché ? A pensare male si fà peccate ma molto spesso ci si azzecca.

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