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Se a scuola non c’è valutazione

Tutti concordano sui mali che affliggono il nostro sistema scolastico. La Buona scuola ha cercato di introdurre uno scambio: più insegnanti, ma con valutazione del loro operato. E qui ha fallito. Anche perché per essere credibile la catena valutativa deve partire dall’operato dei dirigenti.

Buona scuola e mali del sistema

La denuncia dei 600 docenti universitari sulle lacune nelle competenze degli studenti italiani non ha destato grande sorpresa. È noto che “troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente”. Ed è questo che ha spinto il governo Renzi a focalizzare l’attenzione sulla scuola e a tentare di riformarla. Un compito difficile, che ha incontrato una forte resistenza da parte di molti docenti e dei sindacati. Perché tutti concordano sui mali che affliggono il nostro sistema scolastico, ma sulle cure le opinioni sono contrastanti.
La Buona scuola ha provato a intervenire su più fronti. Ha innanzitutto aumentato la spesa pubblica in istruzione dopo anni di tagli. Risorse considerevoli sono state investite per la stabilizzazione e l’aggiornamento del corpo docente, per l’ammodernamento delle strutture scolastiche e per gli investimenti in laboratori e digitale. La riforma ha anche provato a rendere l’offerta formativa più flessibile e a rafforzare i collegamenti con il mondo delle imprese.
Se si fosse limitata a questo, tuttavia, non ci sarebbe stato lo strappo tra mondo della scuola e governo Renzi. Perché le obiezioni nascono quando si cerca di legare la nuova occupazione al miglioramento della qualità dei servizi offerti. La riforma della Buona scuola ha implicitamente introdotto uno scambio: incremento degli insegnanti in cambio di una valutazione del loro merito, accompagnata dall’adozione di gradi di autonomia nella scelta dei docenti attribuiti ai dirigenti scolastici, a loro volta oggetto di valutazione nella loro capacità organizzativa e valutativa.

Nessuno è valutato

Se sul piano teorico l’impianto disegnato aveva una sua coerenza, è proprio nei dettagli che si sono generate le frizioni e i problemi, facendo sì che quella che poteva essere una grande riforma è oggi percepita come una (fallita) operazione di allargamento del consenso elettorale.
Tre sono gli aspetti che ci sembrano particolarmente problematici. Il primo è che non può esservi una scuola didatticamente efficace senza una responsabilizzazione di chi vi opera. La scuola è innanzitutto un luogo formativo e di trasmissione di competenze, la cui acquisizione può e deve essere valutata. La scuola italiana ha invece perso la propria capacità di verificare l’efficacia della didattica e di segnalarla in modo credibile al mondo esterno. Non disponiamo infatti di una valutazione comparabile a livello nazionale degli esiti degli studenti, al punto che, per esempio, le università preferiscono condurre propri test di ammissione invece di basarsi sui voti di maturità. Sul punto l’opposizione di molti docenti è forte perché ritengono i test Invalsi un tentativo di controllo centralizzato del loro operato. I test standardizzati hanno dei limiti, ma è indubbia la necessità di un metro comune e gli stessi insegnanti che vi si oppongono avrebbero dovuto proporre misure alternative di verifica, per esempio la correzione esterna degli elaborati dei propri studenti. Senza verifica esterna, è opportunisticamente più comodo utilizzare voti gonfiati (grade inflation) che regalano sufficienze e trasformano i mediocri in eccellenti (si veda Scuola di classe).
Non solo. Manca altresì una seria valutazione degli insegnanti. Allo scopo di valorizzazione il merito, la Buona scuola ha provato a dare un riconoscimento economico agli insegnanti selezionati dai comitati per la valutazione (presieduti dai dirigenti). Secondo i dati resi pubblici, i comitati hanno mediamente premiato circa un insegnante su tre. Sembra quindi che nelle scuole vi sia una diffusa percezione che non tutti gli insegnanti hanno la stessa capacità didattica. Piuttosto che distribuire premi monetari (nell’ordine di 600 euro medi lordi annui) in base a criteri molto variabili, sarebbe stato forse preferibile cercare di arrivare ad una visione condivisa di cosa sia la capacità didattica e su come misurarla. Tra le informazioni disponibili si sarebbero potuti utilizzare i risultati della didattica, il gradimento dei genitori e certamente anche la valutazione dei dirigenti. In questo modo si è invece saltati oltre l’ostacolo, ma questo non ha fatto fare passi in avanti al problema centrale della valutazione.
Il terzo e ultimo aspetto è quello della valutazione dei dirigenti scolastici. I comitati di regionali per la loro valutazione sono in corso di costituzione. Ma contraddicendo uno dei principi basilari della valutazione, sono composti da dirigenti in servizio, che si troveranno a giudicare i propri pari, essendo nel contempo a loro volta oggetto di valutazione.
Uno scelta simile sembra ignorare il rischio di comportamenti consociativi, ivi incluso l’implicito rafforzamento dei sindacati di categoria. Se si vuole rendere credibile una catena valutativa, occorre partire dall’alto, dalla valutazione dei vertici. Altrimenti perché un insegnante dovrebbe accettare il giudizio del suo dirigente, quando sa benissimo che quest’ultimo è esentato da ogni forma di verifica seria del proprio operato? E perché uno studente dovrebbe ritenere credibile la votazione di insegnanti che non vengono mai valutati?
I decreti attuativi della legge 107 in discussione in parlamento dovrebbero affrontare queste questioni. Più importanti per la qualità della scuola che l’assunzione di nuovi precari.

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11 commenti

  1. Claudia Villante

    Ringrazio per aver effettuato una riflessione sulla valutazione nella scuola, ma sono parzialmente d’accordo con la visione degli autori che sembra non considerare affatto l’enorme mole di lavoro svolto sul mondo dell’istruzione e della formazione italiano avviato con il sistema nazionale di valutazione. Un colossale lavoro che ha combinato auto-valutazione delle scuole (effettuato con i Rapporti di Autovalutazione – RAV) e valutazione esterna ad opera di INVALSI. I Nuclei di Valutazione Esterna (NEV) attraverso una strumentazione di valutazione robusta e comune a tutti i valutatori sono stati impegnati (sebbene ancora a campione) a verificare e fornire indicazioni per il miglioramento alle scuole, partendo dal loro rapporto di autovalutazione. I NEV sono stati impegnati ad effettuare visite approfondite, corredate di interviste strutturate, focus group, e strumenti di rilevazione rivolti a tutti gli attori della comunità scolastica (docenti, studenti, genitori, dirigenti, personale ATA). Certo, aree di miglioramento ve ne sono (nella strumentazione così come nella copertura) ma affermare che non si faccia valutazione non è, a mio avviso, rendere omaggio ad un percorso che la scuola ha già avviato, magari nel silenzio delle buone pratiche, come spesso accade negli ambienti scolastici.

  2. andrea

    Nell’articolo sembra si dia per scontato che il problema sono gli insegnanti. Nessun accenno invece è fatto alla possibilità che le nuove generazioni passino molto più tempo su internet (che contiene migliaia di fonti di informazione non strutturate però come un libro) e trascurino la lettura dei libri (romanzi o saggistica).

    • sottoscritto

      Ciao Andrea. A mio avviso l’articolo vede il problema nell’organizzazione del sistema scolastico e nelle dinamiche, non negli insegnanti. Di sicuro ci sono insegnanti molto bravi e altri insufficienti, almeno per mia esperienza diretta. Il fatto che una parte degli insegnanti siano contrari alla valutazione dei risultati e della loro attività, cosa che accade per qualsiasi tipo di impiego da dipendente, sicuramente non è un punto a loro favore o in ogni caso non genera fiducia nel loro operato e nelle loro capacità. Credo che dare la colpa a internet, strumento con potenzialità elevatissime anche per l’istruzione e la formazione, non sia corretto. Significa non voler evolversi e modernizzarsi, non saper cogliere le nuove sfide e opportunità. La scuola dovrebbe sfruttare internet per i propri scopi ed essere in grado di introdurlo agli studenti come uno strumento di apprendimento; ad esempio insegnare come svolgere una ricerca tramite internet e come selezionare le fonti attendibili. Demonizzarlo non avrà alcun risultato positivo sul futuro della scuola e del paese.

    • gmn

      Se si riferisce alle nuove generazioni di insegnanti, non posso che concordare…

    • V.P.

      “Nell’articolo sembra si dia per scontato che il problema sono gli insegnanti.”

      Sembra anche a me e non solo in questo articolo. Hanno sbagliato tutti (politici, governi, ministri, sindacati, esperti vari, e anche i presidi) sia operando che omettendo. Ora dare la colpa agli insegnanti (incapaci, fannulloni, che non vogliono essere valutati, ecc.) fornirebbe comodi alibi a tutti senza però risolvere il problema.

  3. Renato SEEBER

    Sono docente universitario (ramo scientifico) da ormai più di 40 anni ed ho un’esperienza lunga e continua di interlocuzione con i giovani. Negli ultimi 10 o 15 anni la deriva verso il basso è spaventosa, e l’analisi sarebbe lunghissima.
    Per restare in tema, credo che i problemi non siano soltanto di lingua italiana, ma di capacità logica di recepire e formulare un pensiero men che semplicissimo. Ovvio sia poi difficile tradurlo in linguaggio, come recepirlo dal parlato o dallo scritto. Mancano poi anche i ‘mattoni’ corretti per costruire una frase e per articolarla correttamente (grammatica e sintassi)

  4. Riccardo

    Concordo pienamente con Andrea, il problema non solo gli insegnanti ma anche il “materiale umano” con il quale lavorare. Senza contare che alle elementari vengono formate classe da 30 alunni e che i genitori di adesso non sono più quelli di una volta. Oggigiorno interferiscono quotidianamente con il lavoro degli insegnanti e ciò non genera certo serenità nell’ambiente scolastico. All’università il problema genitori non è sentito, ovviamente, ma provate a frequentare le scuole primarie e vedrete che aria tira.

  5. pasquale andreozzi

    Purtroppo, anche questa volta tutto finirà (o forse si è già concluso) in una grande “epocale” sanatoria ope legis, cme le precedenti, che per decenni hanno martoriato la scuola, anche se il loro obiettivo iniziale era, ovviamente, di rivitalizzare la scuola. La buona scuola si avvia a dare l’ennesima dimostrazione della validità della teoria dell’eterogenesi dei fini, anzi ne è il laboratorio ideale.
    A questo punto, credetemi, sarebbe una notizia il reale svuotamento di qualcuna delle graduatorie ancora in essere. Invece anche la BS, come dimostra il vostro link, non svuoterà nessuna delle graduatorie che, come crogioli di tanti miti di immortalità e risurrezioni, continuano a prosperare. E che dire del bonus merito? risolto, per lo più, con auto dichiarazioni su criteri svogliatamente elaborati, nel silenzio di genitori e studenti? criteri sui quali gli stessi dirigenti non hanno avuto il coraggio di operare una seria valutazione, consapevoli (colpa?) di non possedere “Autorità”. Guardate che per i DS le cose vanno peggio. Non vengono valutati ma ricevono comunque la retribuzione di posizione e di risultato. Perché affannarsi? Ora pare ch l’ex PDC ancora si chieda perché con tutte le risorse spese la BS non piaccia a nessuno. Rifletta sul fatto che essa non piace ai riformisti liberali (come me), che l’avrebbero voluta dialogante e incisiva (so che è difficile ma si poteva fare). E non piacerà mai agli statalisti della difesa ad oltranza di tutti e tutto.

  6. Piero

    Il livello degli studenti delle superiori è crollato in parallelo a quello degli insegnanti superiori nn valutati, ed al livello dei genitori che proteggono a prescindere dei loro figli, dei lavotatori autonomi che evandonono in massa, degli imprenditori che taroccano tutti i bilanci, dei politici pieni di privilegi e che gestiscono il mercato del consenso, dei banchieri che ne fanno di cotte e di crude e la scampano sempre. E pure dei proff Universutari che giudicano quelli delle superiori e si dimenticano che il 99% di loro è stato assunto con concorsi baronali fatti su misura. È l’intero sistema sociale che stà crollando: è ipocrita pensare che scuola (ed università) siano isole staccate dal degrado.

  7. LA FALLITA BUONA SCUOLA E L’INGANNEVOLE “CATENA VALUTATIVA”

    Mentre ha senso e utilità valutare gli studenti in ordine al profitto negli insegnamenti impartiti, non ha senso logico valutare simmetricamente gli insegnanti, come se l’insegnamento-apprendimento fosse un torneo o un match a due e il mancato apprendimento potesse essere sempre imputato all’insegnante .
    Si finge di dimenticare che l’iter per diventare docenti richiede: laurea (almeno una), abilitazione/i, concorso/i, a volte qualche master, anni di esperienza sul campo come supplente o di ruolo. In questo iter i docenti sono continuamente esaminati e valutati, per cui voler valutarli di nuovo e a tappeto – con fini fiscali, inquisitori, punitivi appena appena velati – è ridondante, privo di senso e molto costoso se fatto seriamente, se fatto in modo sbrigativo diventa quasi lotteria o roulette russa. a seguito di una valutazione estemporanea, aleatoria e non affidabile non fa che peggiorare la situazione. Il riconoscimento di qualche centinaio di euro a pochi è insieme ridicolo e offensivo, chiaramente illusorio ai fini del miglioramento della qualità della scuola. Funge inoltre da alibi e silenziatore rispetto al rinnovo del contratto nazionale di lavoro.
    No comment all’ipotesi …. creativa di misurare la “capacità didattica”
    Leggi tutto:
    http://www.aetnascuola.it/la-fallita-buona-scuola-lingannevole-catena-valutativa/

  8. Markus Cirone

    Quello che la legge 107 chiama “merito” non è altro che il “diritto” di essere pagati per un lavoro aggiuntivo non previsto dal contratto di lavoro.
    Aspetto sempre che qualcuno mi spieghi come si valuta il lavoro di un insegnante senza osservarlo mentre lavora.

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