In un paese di limitata cultura e pratica della valutazione dei progetti di investimento pubblico come il nostro, ha acquistato incondizionata popolarità l’analisi dei “costi del non fare”. Un approccio che però può dare luogo a pericolose distorsioni. E che non aiuta a risolvere un problema grave
A CHI PIACE L’ANALISI DI VALORE AGGIUNTO
In Italia la cultura e la pratica della valutazione dei progetti di investimento pubblico sono piuttosto limitate. L’approccio più diffuso, a livello internazionale, è l’analisi costi-benefici (Acb). Si tratta di un approccio i cui problemi sono ampiamente studiati, ma che ha il pregio di fornire molte informazioni utili al dibattito democratico su scelte tanto più critiche quanto più scarse sono le risorse a disposizione dello Stato.
In Italia è stato qualche volta impiegato un approccio alternativo (vedi Olimpiadi o Expo): l’analisi di valore aggiunto (Va). Questa, tuttavia, non risponde allo scopo, avendo fini diversi dall’approccio maistream internazionale. Per inciso, va osservato che l’analisi che misura il valore aggiunto generato da una spesa pubblica, per definizione non può dare risultati negativi, se applicata a un singolo progetto infrastrutturale: ogni spesa genera del valore aggiunto. Inoltre questo approccio finisce per mettere in ombra i costi dei progetti, quasi fossero un dettaglio trascurabile. Questi aspetti rendono l’approccio Va non molto utile sotto il profilo della scelta pubblica. Ma proprio perché permette di non scartare alcun progetto, è più gradito dell’Acb ai promotori dei progetti e ai decisori politici. Va anche detto che le analisi finanziarie dei progetti (costi-ricavi per lo Stato) sono molto più semplici e univoche. Il fatto che neppure queste siano fatte, né usate per confrontare priorità, rende veramente molto difficile ritenere che ci si trovi in un contesto di buona fede da parte dell’attuale meccanismo politico chiamato a decidere.
I PRESUNTI COSTI DEL NON FARE
Di recente, ha acquisito popolarità sui media e presso i decisori politici l’analisi dei costi del non fare, il cui più tenace sostenitore è Andrea Gilardoni, oggi assessore “pro tempore” ai trasporti della giunta regionale lombarda (dimissionaria), guidata da Roberto Formigoni. (1) Il 26 novembre 2012 è apparso sul Sole-24Ore un articolo a firma di Francesco Nariello e Valeria Uva (“In un anno 67 opere sparite”, pag. 10) che dichiara, senza commenti, che i “costi del non fare”, in seguito ad analisi costi-benefici di Gilardoni, ammonterebbero per l’economia italiana alla davvero enorme cifra di 500 miliardi di euro. Il professor Gilardoni è uno dei pochi, in Italia, a sostenere la necessità di valutare le politiche economiche, in particolare le opere pubbliche, utilizzando l’analisi costi-benefici. E di ciò gli va reso merito. Tuttavia, l’analisi costi-benefici ha le sue regole del gioco, la sua metodologia consolidata. E non siamo sicuri che i risultati di Gilardoni siano ottenibili rispettando le regole. Anzi, traspare un approccio davvero singolare dal punto di vista scientifico: in estrema sintesi, sembra che vengano estesi all’intero paese e a tutti i progetti sul tavolo, i benefici unitari di alcuni progetti-campione, il cui calcolo non è peraltro dettagliato e quindi non è verificabile, ma usa valori unitari molto opinabili. (2) Per esempio, se un progetto di alta velocità ferroviaria è lungo 100 chilometri e genera benefici economici netti di 10 miliardi di euro, ne viene dedotto che i progetti di alta velocità generano in media 100 milioni di euro di benefici al chilometro. Il valore è esteso a tutti i progetti in esame in Italia relativi allo stesso settore, qualunque essi siano.
Per avere un’idea delle distorsioni cui questo approccio può dare luogo, si pensi alla linea alta velocità Milano-Torino. Ha una capacità di 300 treni/giorno e, dopo quattro anni di operatività, è percorsa da meno di 40 treni al giorno. Se a essa venissero applicati i benefici medi della linea Milano-Bologna, scelta come “campione”, che è percorsa da più di 100 treni al giorno, la Milano-Torino risulterebbe probabilmente un investimento eccellente, mentre la dura realtà dei numeri porta a ritenere che si tratti di denaro pubblico che poteva essere speso meglio per altri progetti.
Un altro effetto singolare dell’approccio di Andrea Gilardoni è che più progetti ci sono sul piatto, più alti sono i “costi del non fare”, anche se si trattasse di progetti ovviamente poco sensati. A riprova di ciò, si può notare come a ogni nuova edizione dello “studio”, i “costi del non fare” lievitino: semplicemente perché la lista di progetti proposti, ma non fatti, si allunga sempre. Inoltre, non ci risultano casi di redditività (sociale) negativa emergente in nessuna delle moltissime analisi costi-benefici condotte da Gilardoni. Anche questo è un fatto di straordinaria rarità nell’esperienza internazionale.
Ma le analisi dei “costi del non fare” hanno avuto anche altri tipi di problemi, sempre riscontrati da lavoce.info: un paio di anni fa fu presentata a Milano un’analisi costi-benefici molto dettagliata della linea alta velocità Milano-Venezia, alla presenza dei responsabili di Fs, del mondo politico e di quello industriale e con ampia eco sui media. L’analisi conteneva risultati straordinariamente positivi per la collettività, e i calcoli questa volta erano tutti “in chiaro”, cioè ricostruibili, secondo la lodevole prassi internazionale in materia. Purtroppo, la ricostruzione metteva in luce anche in quel caso un banalissimo errore: una moltiplicazione sul valore del tempo (chi non fa errori di questo tipo?). Eliminando il banale errore, i benefici socio-economici dell’opera passavano da molto positivi a molto negativi. Non vi fu nessuna risposta da parte degli autori dello studio, né ci fu alcuna eco sui media, così pronti a entusiasmarsi per l’analisi presentata non molti mesi prima.
Naturalmente, speriamo di essere smentiti da una convincente nota metodologica del collega Gilardoni.
La questione qui sollevata è solo apparentemente tecnica: l’assenza in Italia di supporti analitici trasparenti e comparativi per i decisori di grandi investimenti pubblici è un problema grave, che apre ampi spazi alla discrezionalità e al clientelismo (settoriale o geografico o partitico) e rende opaco e ideologico ogni dibattito pubblico, anche con le realtà locali, che spesso si oppongono in modo strumentale a qualsiasi opera.
Fare uso distorto e “agiografico” degli strumenti di analisi, cosa avvenuta e dimostrata ampiamente su lavoce.info anche per la linea Torino-Lione, squalifica l’unico strumento internazionalmente riconosciuto per confrontare e selezionare priorità nelle spese per investimenti.
(1) Gilardoni, A., Clerici, S., Garzarella, A. (2012). I costi del non fare il Piano nazionale della logistica. Sintesi dello studio. 20/7/2012. Presentazione presso la Consulta dell’Autotrasporto, Roma, 26/7/2012: http://www.consulta-autotrasporto-logistica.it/news/presentate_altre_tre_proposte_attuative_del_piano_della_logistica-62/.
(2) Scrivono gli autori: “Muovendo dall’analisi di specifici casi ed estendendo il risultato attraverso opportuni parametri correttivi all’intero fabbisogno infrastrutturale, abbiamo calcolato i Cnf relativi ad autostrade e ferrovie”. Sui valori unitari, ad esempio, come valore del tempo si usano 20 €/ora/ton per il ferro contro 77 €/ora/veicolo per la gomma. È peraltro evidente che i due valori non sono tra loro coerenti, ma fortemente sbilanciati a favore del ferro.
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Giuseppe Passoni
Le analisi condotte dagli autori si fondano su analisi costi-benefici di tipo deterministico a dispetto della aleatorieta’ dei dati e dei parametri dai quali le analisi dipendono.Sarebbe opportuno ripetere i calcoli con una appropriata modellazione stocastica per poter trarre delle conlusioni statisticamente attendibili.
Paolo Beria
Buongiorno. In generale sono d’accordo: è buona pratica corredare le ACB con analisi di rischio per le variabili più aleatorie (tipicamente costi di investimento e previsioni di domanda). In questo caso, però, noi non siamo gli autori delle analisi citate e, anzi, ne lamentiamo la mancanza di chiarezza e riproducibilità. Potrei dire che, prima del problema dell’incertezza, qui sembra esserci un problema addirittura sui singoli input utilizzati (oltre che sulla metodologia).
Giuseppe Passoni
Ringrazio per la risposta.
Mi riferivo all’incertezza nella sua accezione piu’ estesa ovvero incertezza epistemica (sul metodo) e l’incertezza associata alla aleatorieta’ di variabili/parametri di input. Pur tuttavia, esistono strumenti formali per trattare l’insieme dei due tipi di incertezza al fine di giungere alle variabili in output correttamente rappresentate in termini di distribuzioni di probabilita’. Diversamente le stime, e quindi le conclusioni che da queste se ne traggono, sono facilmente confutabili.
cordialita’, giuseppe passoni