La lenta convergenza nei tassi di crescita rischia di minare l’Unione economica e monetaria. Perciò le autorità europee raccomandano l’istituzione di National Productivity Board. Per l’Italia, fanalino di coda della produttività tra i G7, è un’opportunità.
Se la produttività è un problema
Il contributo di Paul Krugman all’economia politica è vastissimo, ma forse la sua “scoperta” più importante è che la produttività non è tutto, ma nel lungo periodo è praticamente tutto (The Age of Diminishing Expectations, 1994). Pertanto, non desta sorpresa che preoccupino i pessimi risultati al riguardo dell’Italia degli ultimi decenni. Dal 1995, corrisponde al nostro paese la peggior crescita del valore aggiunto per ora lavorata del G7, +5,5 per cento, quando il Canada, al penultimo posto in questa classifica, ha fatto +29,5 per cento. Dal 2010 al 2016, l’indicatore è cresciuto del 5,6 per cento nell’Eurozona, ma in Italia si è registrato uno striminzito +0,3 per cento. La produttività totale dei fattori, indicatore più difficile da calcolare, racconta la stessa storia.
La consapevolezza che così non si può continuare è condivisa dai principali protagonisti del dibattito pubblico: secondo Pier Carlo Padoan, “il problema [con Bruxelles] non è la flessibilità, ma la produttività”, Ignazio Visco sostiene che “occorre che torni a crescere la produttività”, per Vincenzo Boccia “l’innalzamento della produttività deve essere il nostro faro” e anche per Susanna Camusso il problema produttività è in cima alla lista.
Molto meno accordo c’è però sulle strategie da seguire per uscire dall’impasse (che certo interessa tutti, alle prese con il fantasma della stagnazione secolare, ma nessun paese del G20 come l’Italia). Le parole chiave puntualmente ricorrono – flessibilità, investimenti, concorrenza, formazione, cuneo fiscale – ma poi scappano via come palline di un flipper impazzito. Col risultato, sotto gli occhi di tutti, di una dinamica delle riforme e della crescita che resta insufficiente per arginare i mali endemici del debito pubblico e del lavoro che manca.
Questo ritardo nella terza economia dell’Eurozona suscita preoccupazione anche tra i nostri partner, perché rende più ardua la convergenza che è fondamentale per completare l’Unione economica e monetaria. Non a caso, dato che l’Europa non è fatta di sola austerità, il Rapporto dei cinque presidenti del giugno 2015 suggeriva di creare, oltre all’Advisory Fiscal Board, un sistema europeo di Autorità per la competitività. Idea fatta propria dalla Commissione con una raccomandazione dell’ottobre 2015 e poi il 20 settembre 2016 dal Consiglio, con riferimento a National Productivity Boards (Npb) con un mandato più specifico di quanto intendesse la Commissione.
Nuova autorità o revisione del Cnel?
A questo punto si tratta di creare anche in Italia – entro il 20 marzo 2018 – un organo autonomo per monitorare risultati e politiche per la produttività. Non semplice da realizzare, tanto complessi sono i meccanismi che incidono sulla produttività e tanto poco diffusa resta da noi la cultura della valutazione indipendente delle politiche pubbliche. Un buon National Productivity Board deve interagire costantemente con tutti i portatori d’interesse e pertanto dimostrare contemporaneamente capacità di ascolto e indipendenza di giudizio rispetto a gruppi particolari (se i fiscal board possono sempre riferirsi a indicatori numerici condivisi a livello UEM, nel caso della competitività non esistono criteri à la Maastricht). Il calendario politico italiano suggerisce poi che potrebbe non essere semplice rispettare il cronogramma fissato dal Consiglio. Nondimeno, l’esperienza dell’Ufficio parlamentare di bilancio mostra come sia possibile mettere in piedi un organismo obiettivo e neutrale, composto da personale esperto e competente e in grado di comunicare pubblicamente in modo celere.
La Commissione non ha redatto linee guide, ma scambi regolari avvengono nel quadro del Comitato di politica economica. Se ne è discusso anche al Global Forum on Productivity organizzato dall’Ocse a Budapest. Benché nessuno stato membro abbia ancora preso decisioni formali, nei sette paesi che dispongono di organismi simili sono stati necessari un mandato ampio (che copra in particolare il ruolo della regolamentazione, dell’innovazione e degli investimenti fisici e immateriali), risorse finanziarie e umane adeguate, accesso all’informazione, credibilità scientifica e accortezza nel raggiungere il grande pubblico (qui e qui). Si pensi in particolare al Cpb Netherlands Bureau for Economic Policy Analysis (fondato nel 1945 da Jan Tinbergen, primo Nobel per l’economia nel 1969), che ha consolidata legittimità nell’analisi delle politiche pubbliche, tanto da fare vere e proprie valutazioni a priori dei programmi dei partiti in occasione delle elezioni politiche nazionali.
Per l’Italia non sarà semplice trovare la formula giusta, perché mancano proprio quelle istituzioni che altrove si candidano a servire anche come Npb.
Una strada percorribile è ovviamente creare una nuova autorità, sapendo quanto tempo sia necessario per costruirne la reputazione. Un’altra è ristrutturare profondamente il Cnel, di cui sono fin troppo noti i limiti (e appunto la pessima reputazione di ente inutile), ma che in compenso, secondo la Costituzione (art. 99), deve esprimere valutazioni e pareri, formulare proposte e osservazioni, e realizzare studi e indagini in materia economico-sociale. Esattamente quello che, con autonomia contabile, funzionale e organizzativa, dovrebbe fare il National Productivity Board italiano.
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Marco Biagiotti
Gentile autore,
premesso che la “pessima reputazione di ente inutile” di cui godrebbe il CNEL non è (per fortuna) un dato universalmente condiviso e che i suoi limiti sono “fin troppo noti” soprattutto a chi fa largo uso di informazioni di facile consumo, ritengo che la Sua proposta sia molto interessante e che meriterebbe di essere presa in seria considerazione nell’ambito della prevista riforma dell’Istituzione. Peraltro, il tema della produttività è strettamente connesso a quello dello sviluppo e del monitoraggio delle relazioni industriali, su cui il CNEL riformato potrebbe (dovrebbe) essere messo in grado di dare un contributo non secondario in termini di conoscenza, analisi e proposta, anche in chiave di comparazione internazionale. La ringrazio per l’interessante spunto di riflessione.
andrea goldstein
Ringrazio per il commento, sulla caratterizzazione del Cnel rimando in particolare alla Commissione per la riforma costituzionale del 2013.
Giorgio Cannella
“monitorare risultati e politiche per la produttività” dovrebbe essere un compito del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero per lo sviluppo economico. Mi sbaglio ?
andrea goldstein
penso che Mef e Mise debbano fissare le politiche, poi a qualcun altro il compito di valutarne i risultati, in indipendenza