Il governo ha utilizzato il golden power per imporre a Vivendi di mantenere in mani italiane il controllo delle società del gruppo che gestiscono le infrastrutture. È un passo verso lo scorporo? Per ora, Telecom considera la rete un asset essenziale.

La carta del golden power

Vivendi continua a essere al centro dell’agenda politica in Italia anche in termini di prospettive industriali. E l’impressione è che lo sarà ancora per un bel po’ di tempo.

Da un lato (media e contenuti), c’è stato l’annuncio della costituzione della società Tim/Vivendi sulla tv on demand, peraltro già ampiamente approfondita su queste colonne, in attesa che la prossima gara sui diritti calcio faccia chiarezza anche sul possibile ruolo di Mediaset nella vicenda. Dall’altro, le questioni relative alla rete Telecom hanno calamitato l’attenzione degli osservatori, anche internazionali, perché hanno riportato in auge uno strumento come il “golden power” che attribuisce al governo poteri speciali (di veto e controllo) in materia di infrastrutture essenziali per la sicurezza nazionale.

Confortato dalla decisione Consob del settembre scorso che ha affermato il controllo su Tim da parte della società francese, pur con meno del 24 per cento delle azioni (controllo contestato dai francesi), utilizzando il golden power, il governo italiano ha imposto a Vivendi di mantenere sotto mani italiane le due società del gruppo che di fatto gestiscono le infrastrutture critiche, Sparkle e Telsy, oltre a una multa per mancato preavviso. Vivendi ha ora novanta giorni per mettersi in regola e le prossime settimane saranno cruciali per capire come intenda far fronte agli impegni.

Non vi è dubbio infatti che la vera partita riguardi la rete Telecom e che l’iniziativa del governo potrebbe favorire il suo scorporo e un’eventuale fusione con la rivale Open Fiber. Questo porterebbe alla creazione di un operatore unico infrastrutturale, in grado di concentrare il proprio business sulla sola vendita di banda agli operatori. Diversamente da Tim, non sarebbe integrato verticalmente e quindi non sarebbe interessato a offrire servizi in diretta concorrenza con quelli degli operatori che utilizzano la sua stessa rete.

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Scorporo o non scorporo?

La vicenda è molto complessa e appare opportuno in primo luogo sottolineare quale è la reale posta in gioco e le posizioni dei vari contendenti.

In un paese come l’Italia, da anni agli ultimi posti in Europa nella diffusione di internet, lo sviluppo dei servizi più avanzati in grado di far crescere l’economia e la competitività del sistema industriale nazionale passa necessariamente per una rivoluzione anche infrastrutturale, legata all’innovazione tecnologica e alla diffusione della banda ultra larga. Lo sviluppo delle reti in fibra, capaci di portare in un futuro non troppo lontano fino a 1 gigabit p/s a casa (Ftth), costituisce il volano per la crescita dei servizi che caratterizzano la nuova economia digitale.

Da un lato, dunque, il governo spinge per questa trasformazione, cercando di creare le condizioni per la sua diffusione generalizzata nel paese, anche in quelle aree a cosiddetto fallimento di mercato, nella quali la neonata società creata da Enel, Open Fiber e con la partecipazione di Cassa depositi e prestiti ha vinto i bandi lanciati dalla società pubblica Infratel (Open Fiber ha tra l’altro concluso accordi con Vodafone e Wind/3 che impegnano i due operatori a lanciare offerte commerciali in quelle aree).

La separazione della rete Telecom renderebbe certamente più agevole il perseguimento di questa strategia, che trarrebbe vantaggio dall’integrazione delle reti e dalla presenza di operatori come Tim e Fastweb.

Dall’altro lato, Tim, che nel frattempo ha creato una società della fibra con Fastweb, denominata Flashfiber che utilizza prevalentemente la tecnologia Ftth, ha sempre considerato la rete un asset essenziale (e fin qui molto remunerativo) del proprio business e ha rivendicato il diritto a mantenerne la proprietà, rifiutando sinora le attenzioni e le lusinghe del governo.

Tuttavia, dopo la nomina del nuovo amministratore delegato, Amos Genish, i difficili rapporti tra governo e Tim sembrano destinati a vivere una fase di minore tensione. Tim, tramite il suo presidente, non ha escluso nei giorni scorsi la possibilità di uno scorporo, ma l’impressione è che dietro gli atti di cortesia, la rete sia destinata a svolgere ancora un ruolo fondamentale nella strategia dell’ex monopolista.

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Se è vero che la componente fisica infrastrutturale (cavi, colonnine, borchie, bretelle) tenderà a diventare sempre meno rilevante e che l’attuale rete in rame richiederà investimenti elevatissimi per il passaggio alla fibra, vi sono diversi livelli della rete di cui occorre tenere conto e alcuni di essi saranno strategici nell’evoluzione del business dei prossimi anni. Se dunque l’ingresso dei nuovi attori (i cosiddetti over the top) spinge a una riduzione dei ricavi nelle attività tradizionali, potrebbe essere proprio la connettività supportata dal 5G dei servizi dell’internet delle cose in ambito smart home/smart city, insieme allo sviluppo dei servizi video d’intrattenimento, l’elemento centrale su cui ricostruire il ruolo centrale di Telecom nei prossimi anni.

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