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Il ritorno della crescita europea

Accelera al 2,5 per cento la crescita dell’Eurozona mentre quella italiana si avvicina al 2 per cento su base annua. L’economia tira dritto. A meno che da Berlino arrivino diktat sulla fine della politica di Quantitave easing della Banca centrale europea.

Un bel terzo trimestre nonostante tutto

Nel terzo trimestre 2017, la crescita dell’euro zona accelera al 2,5 per cento su base annua, più o meno confermando il suo ritmo di crescita trimestrale (+0,6 per cento dopo il +0,7 per cento del secondo trimestre).

Anche in Italia la crescita si consolida ulteriormente con una crescita trimestrale del +0,5 per cento che porta la crescita all’1,8 per cento su base annua. Sono numeri che convalidano l’attesa di crescita all’1,5 per cento del governo e dei principali istituti di previsione per l’anno in corso e che promettono di far partire il 2018 con il piede giusto.

Di fronte a dati tanto soddisfacenti vale la pena di fare un passo indietro. Con la crisi dell’euro dell’estate 2011, l’Europa era diventata per qualche anno un problema tra le grandi aree del mondo per l’assenza di crescita e per i rischi di instabilità. A distanza di sei anni da quell’estate terribile la politica continua a proporre nuove nubi sull’economia. In ordine di tempo, dal giugno 2016: la Brexit, il pericolo scampato della vittoria della signora Le Pen in Francia, l’affermazione dei partiti euroscettici in Germania e in Austria, la crisi catalana. E chissà cosa succederà alle elezioni italiane di primavera. Una lista di eventi che minacciano di far deragliare il treno dell’Europa.

Nel frattempo però l’economia europea tira dritto e va avanti, con una crescita che è arrivata al diciottesimo trimestre consecutivo e una disoccupazione che scende finalmente al di sotto del 9 per cento della forza lavoro. Non sarebbe crescita se non ci fosse anche una ripresa dei consumi, condensata nell’aumento rispettivo del 6 e dell’8 per cento delle vendite al dettaglio in valore e in volume rispetto al primo semestre 2013.  In parallelo, il recupero dei consumi si è in parte tradotto in un ritorno della produzione industriale che mostra un guadagno superiore al 5 per cento rispetto ai minimi di inizio 2013. Il recupero della produzione industriale risente in positivo dei significativi processi di re-shoring della produzione oggi in corso, ma tale processo ha riguardato solo alcuni macro settori (soprattutto quelli che producono beni non durevoli e l’automobilistico) mentre la produzione dei prodotti energetici e dei beni di consumo durevoli diversi dall’automotive langue lontana da livelli pre-crisi che probabilmente non torneranno mai. Nessuna ripresa per quanto persistente può infatti cancellare i duraturi effetti delle delocalizzazioni produttive verso i paesi emergenti asiatici (caratterizzati da bassi costi di produzione e favorevoli trend demografici) degli ultimi 20 anni. In ogni caso, la fiducia degli operatori economici va su di pari passo con l’economia, anche nei paesi più duramente colpiti dalla crisi degli ultimi anni come Italia, Portogallo e Grecia.

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Da Berlino non arrivino diktat sulla fine del Qe

Al di là degli eventi politici, c’è una sola vera cosa che potrebbe andare storto nell’Europa di oggi: una fine mal congegnata del Qe, il programma di acquisti della Bce. Dietro l’angolo sono seri i rischi di un apprezzamento dell’euro e di un aumento del costo del denaro e dell’indebitamento pubblico successivi a una prematura conclusione delle politiche della Bce che più di ogni altro fattore hanno aiutato il ritorno alla crescita dell’Europa. Speriamo che la politica (soprattutto quella tedesca) ne ponderi le possibili conseguenze con attenzione.

È però altrettanto chiaro che molto rimane da fare per rafforzare ulteriormente i progressi conseguiti finora. Grazie alla ripresa, il Pil dell’euro zona ha recuperato già a metà 2015 i livelli raggiunti a fine 2008. Ma la disoccupazione al 9 per cento rimane superiore di un punto e mezzo rispetto ai livelli pre-crisi, specialmente per i più giovani.

Ma è dalla politica che arrivano le minacce principali alla prosecuzione della ripresa europea. A pesare – più ancora delle scadenze elettorali (ora in Germania, nei primi mesi del 2018 in Italia) – è il rischio di una prematura o disordinata conclusione delle politiche di acquisto di titoli da parte della Bce. Se ciò avvenisse, l’Europa si priverebbe delle uniche politiche che in questi anni hanno ridato fiducia e mostrato come l’unione  monetaria non sia solo una gabbia di tetti fiscali da non superare. A spingere per una rapida conclusione sono le pulsioni poco motivate – se non del tutto miopi – provenienti dall’elettorato e dalla giustizia costituzionale tedesca. Per la continuazione della ripresa c’è solo da augurarsi che le tensioni geopolitiche di questi mesi e il repentino rafforzamento dell’euro riportino la Germania a più miti consigli, preservando il consenso che serve per calibrare con misura e determinazione la prosecuzione delle politiche attuate finora dall’istituto di Francoforte.

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  1. Michele

    Condivido poco l’entusiasmo per la performance europea, proprio per nulla l’ottimismo per i dati italiani. Se davvero il QE è la politica che “più di ogni altro fattore ha aiutato il ritorno alla crescita dell’Europa” allora siamo proprio messi male. Draghi ha sempre ricordato che il QE non è per sempre e che non può sopperire alla mancanza di riforme strutturali. Il Germania cresce grazie al proprio apparato industriale e al milione di profughi accolto da Merkel. In Italia di riforme strutturali fatte bene non ne abbiamo proprio viste. La disuguaglianza è aumentata, ampie fasce della Non si è approfittato della bonanza finanziaria neache per ridurre il debito pubblico. Non per nulla, malgrado la crescita, il gap con l’Europa continua a crescere anche nel 2017. Infine da tenere presente che per il 2018 e 2019 tutte le previsioni mostrano crescite in declino.

  2. bruno puricelli

    __ e pertanto dovremmo sentirci forzati ad individuare le migliori soluzioni per affrancarci dallo spread per prima cosa e per un arco di tempo che consenta un metodo ancora più severo di governare le risorse. In tale arco di tempo sarebbe imperativo adoprarsi per migliorare la preparazione scolastica dei nostri figli soprattutto in alcune regioni non trascurando di riammettere quelle fasce di disadattati sociali ad una occupazione legale in un territorio assolutamente più controllato di quello attuale. Mi riferisco anche alla maggior sicurezza delle strutture statali! Forte riduzione delle tasse alle imprese e finanziamenti alla ricerca, unitamente ad un incremento di investimenti in infrastrutture parallelamente ad un accordo su forti aumenti salariali concordati coi sindacati farebbero tornare il sorriso agli italiani che vogliono lavorare e/o studiare per almreno i prossimi 20 anni. Ci vogliono solo un pò di soldi. Noi italiani proprietari di immobili possediamo ca 4000 mlds di euro. Non li stiamo utilizzando affatto oltre allo scopo di abitarci. Io lavoro coi sottostanti, perchè non utilizzare come sottostante il 10% del valore delle nostre case visto che potremmo farlo finanziando 50 mlds di riduzione tasse alle imprese e tutto il resto incluso l’aumento salariale per almeno i primi 10 anni dall’operazione? Grossolanamente, ma non troppo, potremmo sostenere il tutto a condizione di nessuna carità al di fuori del budget previsto e rgore nella verifica dei conti annuali

  3. Luca Ba

    Articolo troppo generico, si la ripresa c’è sia in Europa che in Italia. Probabilmente non solo per il QE ma anche perché alcune riforme sono state fatte. Però non è una ripresa distribuita ed organica, è assolutamente a macchia di leopardo. Considerando solo la mia regione c’è una palese differenza tra le zone interne che hanno ripreso vigore con le loro industrie esportatrici e quelle sulla costa dove invece la ripresa tarda a venire e solo un buon andamento del turismo ha evitato problemi più gravi. Una crescita che non sia diffusa non può portare a considerazioni ottimistiche anche perché mi sembra che in Italia siamo in alto mare e del tanto che c’è da fare si è fatto solo cose utili nel breve periodo.

  4. Savino

    L’Italia sarà, nei prossimi mesi, il problema per l’intera Eurozona, per l’intera UE, per l’intera finanza globale. I nodi mai risolti del debito pubblico, della spesa pubblica improduttiva, delle banche, della corruzione, della scarsa produttività, verranno ben presto al pettine, assieme al deficit stellare che incrementerà di volume con la campagna elettorale di tutti i competitors che verrà finanziata con promesse fatte, appunto in deficit. L’eliminazione dai mondiali è solo l’inizio dell’apocalisse per l’Italia e con i nostri eterni problemi e le nostre eterne indecisioni rischiamo di infettare l’economia globale, che sembra, tutto sommato, uscita bene da circa 10 anni di crisi.

    • bruno

      _ e pertanto dovremmo sentirci forzati ad individuare le migliori soluzioni per affrancarci dallo spread per prima cosa e per un arco di tempo che consenta un metodo ancora più severo di governare le risorse. In tale arco di tempo sarebbe imperativo adoprarsi per migliorare la preparazione scolastica dei nostri figli soprattutto in alcune regioni non trascurando di riammettere quelle fasce di disadattati sociali ad una occupazione legale in un territorio assolutamente più controllato di quello attuale. Mi riferisco anche alla maggior sicurezza delle strutture statali! Forte riduzione delle tasse alle imprese e finanziamenti alla ricerca, unitamente ad un incremento di investimenti in infrastrutture parallelamente ad un accordo su forti aumenti salariali concordati coi sindacati farebbero tornare il sorriso agli italiani che vogliono lavorare e/o studiare per almreno i prossimi 20 anni. Ci vogliono solo un pò di soldi. Noi italiani proprietari di immobili possediamo ca 4000 mlds di euro. Non li stiamo utilizzando affatto oltre allo scopo di abitarci. Io lavoro coi sottostanti, perchè non utilizzare come sottostante il 10% del valore delle nostre case visto che potremmo farlo finanziando 50 mlds di riduzione tasse alle imprese e tutto il resto incluso l’aumento salariale per almeno i primi 10 anni dall’operazione? Grossolanamente, ma non troppo, potremmo sostenere il tutto a condizione di nessuna carità al di fuori del budget previsto e rgore nella verifica dei conti annuali

      • Savino

        Il popolo italiano non vuole proprio pagare le tasse (altro che riduzioni!) e ha la propensione patologica all’evasione. Abbiamo, poi, ottantenni proprietari di una moltitudine di appartamenti, che non vogliono pagare IMU o imposte simili, e, d’altro verso, trentenni neo papà che non sanno più dove sbattere la testa per la casa. Il livello di tesoreggiamento sotto il materasso è qualcosa di pazzesco. Sembra che la gente se li voglia portare all’aldilà tutti questi soldi; ciò ha limitato tutto il sistema creditizio, sia per chi chiede che per chi concede prestiti.
        La cosa più brutta, che mi rende pessimista, è il fatto di dover fare i conti con questa mentalità testarda, in cui la politica politicante sguazza, in un momento storico così critico.

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