Lavoce.info

Dottorati industriali per lavorare nell’industria 4.0

Come reagire ai cambiamenti determinati nel lavoro dalle nuove tecnologie? La formazione teorica non basta più. Occorre invece “imparare facendo”, attraverso il coinvolgimento di università, imprese e governo. E lo strumento è il dottorato industriale.

La rivoluzione delle nuove tecnologie

Intelligenza artificiale, energia pulita, digitalizzazione spinta e personalizzazione delle produzioni sono alcune delle tessere più importanti del paradigma della quarta rivoluzione industriale. Ci siamo già dentro. Sarà una rottura tecnologica senza precedenti, le cui conseguenze saranno molteplici, sia a livello economico che sociale. L’origine è da ricercare nella disarmante velocità con cui le nuove tecnologie tendono a sostituire il fattore lavoro, anche in contesti in cui il contributo dell’uomo è apparso finora addirittura insostituibile. I cambiamenti in corso hanno fatto tornare in auge il concetto di “disoccupazione tecnologica” che già John Maynard Keynes rilanciò negli anni Trenta del secolo scorso per spiegare, in parte, la grande crisi di Wall Street. E sono tornate paure e conflitti antichi: uomo contro macchina, apollineo contro dionisiaco, materiale contro immateriale. Abbiamo constatato (e lo constateremo ancora, sulla nostra pelle) che l’innovazione è un’onda insidiosa e inarrestabile.

E non è nemmeno una novità: ogni secolo ha avuto le sue rivoluzioni industriali, intellettuali, scientifiche, tecnologiche e sociali. Dal baratto alla moneta, dal vapore all’elettricità, dall’iperuranio alla scoperta dell’inconscio, dal Pc e l’avvento di Internet allo smartphone, ogni cosa nuova ha distrutto il passato e ha aperto una finestra sul futuro.

Come difendersi?

Cosa può fare l’uomo di fronte a questi cambiamenti? Qual è l’arma migliore che possiede se non la costruzione della conoscenza e del capitale umano del futuro? In un mondo sempre più liquido sarà opportuno imparare a nuotare. La formazione teorica, però, da sola non basta più. È il momento di abbracciare finalmente un approccio alla formazione di tipo learning by doing (imparare facendo), che coinvolga più soggetti e istituzioni, dove le imprese e le università dovranno camminare assieme, mano nella mano, verso la loro terza missione, pronte per le necessità dell’industria 4.0, le necessità di un futuro sempre più pressante. Ci sono diversi strumenti per realizzare il principio duale e portare la formazione del capitale, almeno in parte, dalle aule scolastiche e universitarie, alle imprese: l’alternanza scuola lavoro è solo un primo passo. C’è poi l’apprendistato scolastico, ancora da realizzare e gli istituti tecnici superiori, di cui abbiamo parlato in alcuni interventi precedenti. Qui ci soffermeremo su una misura in particolare.

Leggi anche:  Il bivio dove si separano le strade lavorative di madri e padri*

Il dottorato industriale e la tripla elica

Per affrontare meglio il cambiamento, il governo ha predisposto alcune misure e fondi per una formazione con forte caratterizzazione industriale, fra cui i cosiddetti dottorati industriali e quelli intersettoriali, nell’ambito della Strategia nazionale di specializzazione intelligente 2014-2020 e del piano Industria 4.0 (“Piano Calenda”).

Già nel 2011 la Commissione europea definì i Principi per una formazione dottorale innovativa al fine di elaborare un approccio europeo, con percorsi innovativi, dal carattere interdisciplinare, che forniscano ai dottorandi competenze trasversali e che coinvolgano attivamente le imprese. È chiaro, infatti, che il mondo accademico, universitario e non, non potrà assorbire tutta l’offerta disponibile di dottori di ricerca. E infatti in un recente articolo de lavoce.info, si è documentata la presenza di sovra-educazione dei dottori di ricerca, con il suo carico di penalità salariale.

Le linee guida del ministero dell’Istruzione, università e ricerca richiamano quei principi comunitari e chiariscono che i corsi accreditati con la dicitura “dottorati industriali” potranno essere da un lato i corsi in convenzione con le imprese (articolo 11, comma 1, del Dm 45/2013) con la possibilità anche di riservare un numero di posti ai dipendenti di una o più aziende (articolo 11, comma 2, del Dm 45/2013) (tipo 1); dall’altro, i corsi di dottorato convenzionale che hanno, al proprio interno, dei curricula realizzati in collaborazione con le imprese (tipo 2).

Tra i temi di ricerca, una priorità sarà data proprio a Industria 4.0.

Il Miur ha predisposto il nuovo bando del Pon Ricerca e innovazione 2014-2020 per il finanziamento di dottorati innovativi a caratterizzazione industriale nelle regioni meno sviluppate (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) e in transizione (Abruzzo, Molise, Sardegna). Alcune università si son già mosse: Politecnico di Torino, Università Ca’ Foscari Venezia, Università di Padova, Università della Calabria. Ma altre mancano ancora all’appello.

Talvolta, nella economia della conoscenza, riemerge la tesi della tripla elica che pone al centro la relazione università-imprese-governo. Qualcuno aggiunge anche l’utente/consumatore e si parla allora di quadrupla elica.

Leggi anche:  Un ascensore sociale al contrario per le giovani madri

Per sprigionare il potenziale di conoscenza e innovazione occorre una logica di ecosistema e un rinnovamento creativo delle tre sfere istituzionali complementari coinvolte. I dottorati industriali possono rappresentare uno dei motori per far partire quella tripla elica.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Come aiutare i Neet a rientrare nel mercato del lavoro

Precedente

Reddito di cittadinanza, se al Pd non sanno fare i conti

Successivo

Quella passione tripartisan per i monopoli nei trasporti

  1. bob

    Il concetto di “imparare facendo” non è assolutamente un concetto nuovo, è solo un concetto dimenticato in questo Paese, soprattutto negli ultimi 40 anni. Ben venga il concetto di “disoccupazione tecnologica” la Storia lo insegna, la tecnolgia ha solo alleviato o eliminato le immani fatiche dell’essere umano e anche i rischi di morte o di incidente. Allora cosa dovrebbe cambiare? Deve cambiare il pensiero economico così come lo intendiamo adesso. Come? Se 2 robot fanno lo stesso lavoro di 100 operai producono un margine economico immensamente più grande, tale non solo da retribuire più che adeguadamente il capitale investito ma anche di soddisfare i bisogni primari dei 100 operai. Viene da domandarsi allora: quale sarebbe il “nuovo pensiero economico”? Semplice: quello per il quale l’economia avrà un senso solo se ridistribuisce ricchezza e benessere all’uomo. Questo si che è un concetto ancora sconosciuto! Il mondo potrà avere un futuro solo se l’economia è concepita come “benessere dell’uomo” e quindi del suo ambiente, della socialità, dei territori. Solo così potremo creare milioni di “occupati interessati” e dovrà essere obsoleto usare il termine di “lavoratori” come nella vecchia economia scomparsa.

  2. Savino

    Fino a quando nel mondo del lavoro ci saranno i lavativi (e in Italia non ci mancano) con un posto e dei premi immeritati sarà difficile far capire ad un giovane che deve “imparare facendo”.

  3. Condivido pienamente. Dal tempo del filosofo greco Aristotele, la classe media è considerata il fulcro di ogni democrazia. La redistribuzione dei guadagni di produttività recati a pochi dala rivoluzione industriale in corso rappresenta non osltanto un interesse legititmo della magioranza degl ielettori, afrenti al ceto medio, ma soprattutto un interesse pubblico generale che lo Stato, in quanto tale, dovrebbe perseguire.

    Un secondo elemento è quello di ebvitare che eseri umani e robot intelligenti siano posti in concorrenza fra loro. Diviene quindi necessaria una proprietà diffusa delle imprese, che singifica:
    1) public company sul modello statunitense (grandi imprese, di proprietà di molti); 2) una legislazione favorevole alle reti di Piccole e Medie Imprese, in particolare con una “valutazione di rete” del merito di credito delle delle Piccole e Medie Imprese (https://www.som.polimi.it/gabriele-bonomi-boseggia/), che consenta l’accesso a finanziamenti a tasso fisso del 2-3% con orizzonte decennale.

    Per ottimizzare il merito di credito, è opportuno che siano valutate in modo aggregato non solo le garanzie patrimoniali, ma anche le prospettive future di crescita evidenziate da misure oggettive dei processi in essere.

    I nodi di queste reti andrebbero monitorati con un cruscotto di Indicatori Chiave di Prestazione (tempo,costo e qualità), memorizzati (“storati”) in una base di conoscenza “specializzabile” per area geografica e per funzione aziendale di appartenenza.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén