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Alternanza scuola-lavoro, cancellarla è un boomerang

L’alternanza scuola-lavoro può essere un grande vantaggio per imprese e studenti. Serve però un investimento di tutti gli attori in campo per renderla davvero efficace. A partire dalle risorse per incentivi alle imprese e la formazione dei docenti.

Le proteste degli studenti

L’alternanza scuola-lavoro rappresenta la più grande novità della riforma della Buona scuola, che nel bene e nel male è stato uno dei punti più significativi del governo di Matteo Renzi. La legge obbliga gli studenti delle scuole superiori a svolgere attività formativa in azienda come parte del percorso che porta al diploma. Riguarda sia gli studenti degli istituti tecnici (400 ore) che del liceo (200 ore). In totale, sono poco più di cinque settimane, ma molte scuole fanno svolgere alcune ore di formazione propedeutica all’alternanza in aula, per cui, alla fine, i ragazzi passano in azienda solo qualche settimana. Eppure, a molti sembra troppo.

Sul tema è già intervenuto Giorgio Brunello in un articolo recente de lavoce.info, ma in questi giorni, in diverse regioni, molti studenti sono scesi in piazza contro l’alternanza. Le accuse sono gravi: li si obbligherebbe a svolgere lavoro gratis in sostituzione dei dipendenti, impedendo loro di studiare, l’unica cosa davvero importante.

Vale la pena ricordare che fin dall’inizio l’alternanza è stata accolta molto male dai docenti: l’hanno vista come un impoverimento del loro ruolo.

Differenze tra alternanza e apprendistato

L’alternanza rappresenta un’innovazione del nostro sistema d’istruzione, che resta sequenziale: istruzione prima, competenze lavorative dopo. L’istruzione è solo una delle tre componenti del capitale umano. Le altre due sono le competenze lavorative generali e quelle specifiche a un certo posto di lavoro. Mentre l’istruzione si può e si deve formare nelle aule scolastiche, le competenze lavorative si formano in azienda, attraverso l’esperienza.
La differenza fra competenze generiche e specifiche è decisiva per capire l’alternanza, tipica della tradizione scandinava, e distinguerla dall’apprendistato scolastico, tipico della tradizione tedesca.
Le competenze generali si apprendono, almeno in parte, anche attraverso brevi periodi in azienda e si possono usare in qualunque lavoro: per esempio, capacità di interagire con la clientela, di lavorare in team, di comprendere la divisione sociale e gerarchica del lavoro di qualunque organizzazione complessa. Naturalmente, queste competenze continuano a svilupparsi nel corso del tempo, ma l’alternanza si propone di iniziarle.
Le competenze specifiche richiedono invece esperienze di lavoro pluriennali nello stesso posto di lavoro e non si esportano: scrivere una citazione, un bilancio, organizzare il magazzino di una farmacia, ma anche svolgere alcuni lavori manuali complessi, come meccanico ed elettricista.
Come ho già scritto su lavoce.info, l’alternanza introduce germi di principio duale, ma non è ancora l’apprendistato scolastico alla tedesca. Quest’ultimo prevede che l’intero percorso scolastico si svolga per metà in azienda (retribuito con 60 per cento dello stipendio di un adulto), per metà a scuola. Le materie scolastiche sono collegate al lavoro in azienda. Nell’alternanza scandinava, invece, gli studenti non sono pagati e il contenuto formativo è minore.
L’alternanza in teoria può formare competenze generali legate al lavoro che, per loro natura, non si possono ottenere in aula. Da questo punto di vista, conta poco in quale impresa viene fatta l’esperienza, conta di più come viene strutturata.
Uno dei motivi per cui le imprese non si impegnano abbastanza nella formazione dei giovani è proprio la brevità del periodo trascorso in azienda con l’alternanza. Mentre l’apprendistato alla tedesca è un investimento per le imprese, che nello stesso tempo traggono vantaggio dalla formazione in aula, nel caso dell’alternanza il vantaggio, almeno nell’immediato, è dello studente, benché si realizzi solo se in azienda ha effettivamente luogo un processo di formazione. Per far sì che sia davvero così, si potrebbero introdurre incentivi rivolti a imprese e studenti per spingere entrambi gli attori a impegnare risorse, anche in termini di tempo, nel processo formativo.
Nel breve periodo, la singola impresa potrebbe non vedere un beneficio, poiché il giovane potrebbe andare a lavorare in un’altra impresa, ma a lungo andare l’alternanza genererà vantaggi sicuri per il sistema nel suo complesso, mettendo a disposizione una mano d’opera più competente.

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Cosa cambiare?

Ci si chiede poi se i liceali non vadano esclusi dall’alternanza. Tuttavia, i diplomati più deboli nel mercato del lavoro non sono tanto quelli con diploma “finito” (tecnici e professionali), ma quelli con diploma liceale che non riescono a laurearsi, proprio per le scarse competenze lavorative possedute. Benché in misura minore rispetto agli altri, gli abbandoni universitari (circa 55 per cento degli iscritti) e i fuoricorso (40 per cento) coinvolgono anche gli ex-liceali. Per costoro, l’alternanza potrebbe dunque rivelarsi utile. Tuttavia, prima di una decisione definitiva, occorrerebbe valutare quanti sono i liceali che non arrivano alla laurea. In alternativa, si potrebbe rendere volontaria – e non obbligatoria – l’alternanza scuola-lavoro per i liceali.

L’ultima questione riguarda le difficoltà che le scuole incontrano nel trovare imprese interessate a progetti di alternanza. Per superare il problema servirebbero fondi per formare all’alternanza le imprese e lo stesso personale scolastico. Oggi, infatti, mancano nelle scuole docenti con formazione specifica, che monitorino e controllino l’attuazione delle convenzioni con le imprese e magari svolgano anche attività di collocamento e orientamento post-scolastico.

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  1. Savino

    In Italia ci sarebbe più bisogno dell’alternanza lavoro-scuola.
    Mentre tutti sono pronti a dare consigli ai giovani su come scalare la montagna del duro “mondo del lavoro”, facciamo una riflessione su cosa è diventato questo “mondo del lavoro” e su chi calca quelle scene.
    Vogliamo mandare i giovani sul binario di Pioltello, all’Ilva di Taranto, a timbrare il badge al Comune, nel caos ospedaliero, nell’insicurezza dei cantieri, a verificare le truffe finanziarie, a lucrare sugli aspetti più dolorosi della vita? Questo è oggi il famigerato “mondo del lavoro” e quasi sempre le persone davvero preparate ne stanno fuori, mentre fanno carriere fulminanti quelli poco meritevoli, ma molto servizievoli.
    Quindi, come diceva De Andrè, stiamo dando solo cattivi consigli perchè non possiamo più dare il buon esempio.

  2. Michele

    Hanno ragione studenti e insegnanti a criticare ferocemente l’alternanza scuola-lavoro. È esperienza diffusissima la constatazione che si tratta – nel migliore dei casi – di una perdita di tempo. Specialmente per i licei. Tutto nasce dalla malaugurata idea che la scuola debba avere un funzione professionalizzante e non formativa. Salvo poi scoprire che le politiche attive del lavoro debbano intervenire su professionalità divenute presto obsolete. Non sarebbe meglio con la scuola dotare i giovani di quegli strumenti intellettuali che consentano nella vita lavorativa di evolvere e aggiornarsi da soli, piuttosto che provare (malamente) a insegnare oggi i mestieri di ieri che producono solo i disoccupati di domani?

  3. Stefano De Stefano

    Insegno in un liceo di Roma e sto verificando, da quando è in vigore l’alternanza, una progressiva frammentazione delle attività didattiche curricolari proprio a causa della rigidità delle disposizioni che regolano l’alternanza stessa.La verità è che, di fatto, per gli studenti è aumentato il carico di lavoro (l’alternanza, si dice, ha la stessa dignità delle altre materie curricolari, anzi….di più) senza che ci siano stati cambiamenti nell’organizzazione delle attività didattiche e nella stessa definizione dei programmi curricolari. Le difficoltà maggiori derivano dalla prescrittività delle 200 ore nel triennio e dal fatto che la scelta dello studente è libera e ciò può comportare che, in una stessa classe di 20 studenti, si attuino anche 5 o 6 opzioni diverse con modalità orarie che, per periodi medio lunghi, frammentano la presenza a scuola. Molti docenti stanno cercando di indirizzare le scelte degli studenti verso enti di carattere culturale o di ricerca storica con l’effetto positivo di incrementare lo studio di alcune materie ormai neglette (penso proprio allo studio della storia) ma con la conseguenza indiretta di vanificare le intenzioni della legge in relazione al rapporto tra i giovani e il mondo del lavoro. Concludendo, non mi sembra che una legge siffatta inneschi effetti positivi, né per la scuola né per il mondo del lavoro.

  4. Luigi

    Certo che se poi l’alternanza nei licei si realizza in corso ad esempio di archeologia sui soliti banchi con relazione finale in powerpoint (specialmente ora che il powerpoint è pure superato da video, infografiche etc) è difficile dire che sia più utile del normale programma didattico a cui si sono tolte ore…

    • Stefano De Stefano

      Appunto! Come vedi,caro Luigi, è questa legge che è fatta male. Non si può intendere l’alternanza nello stesso identico modo, prescindendo dai piani di studio e, soprattutto, non si può costruirla in maniera rigida, con un monte orario fisso, uguale per tutti e assolutamente inderogabile e che, tra l’altro, non tiene in alcun conto l’autonomia progettuale delle singole scuole , che è sancita per legge!

  5. Stefano

    Mi accontento che uno studente apprenda cosa significhi che un’azienda, purtroppo, inserita in un mercato competitivo, deve essere orientata al profitto per sopravvivere. “Purtroppo” perché in un mercato globale, sempre più competitivo, in cui miliardi di giovani dei Paesi emergenti sono disposti a qualsiasi cosa pur di emergere, sopravvivere o si rivedono le regole per tutti o non è possibile competere, spesso osservando regole diverse, per chi desidera fare impresa mantenendo un tenore di vita e una qualità del lavoro come si poteva fare un tempo, di riuscire in qualche modo che non è disposto a sacrifici che chiedono, purtroppo, il sangue. Il tempo dei diritti, purtroppo in Paesi come il nostro, è finito.

  6. pietro brogi

    Esperienza da stagista presso Sit-Siemens Milano (1974) con la facoltà di Ingegneria a Pisa, poi anni 80′ , da Dirigente Industria, prendevo in azienda, per un mese, alcuni studenti degli Istituti Tecnici di Genova. Avevo occasione di visitare spesso le Consociate in Germania, entrando in contatto con la loro realtà di istruzione tecnica dedicata.
    A metà anni 90, tornato a Firenze, ho iniziato ad insegnare in un Istituto Tecnico ed ho spesso seguito gli studenti in stage sia durante l’anno scolastico sia durante il periodo estivo. Il venire a contatto con una realtà in sintonia con gli studi svolti fornisce una esperienza assolutamente formativa, come del resto è importante svolgere una attività lavorativa retribuita che consente di svolgere un ruolo economico, quindi era positivo per me, in estate, al posto di un mese di stage non retribuito, andare a fare qualsiasi lavoro part time. Mi scandalizzo enormemente a vedere, dietro alla Attività di Scuola Lavoro, presentata come una ‘recente scoperta’, dimensioni vergognose: studenti liceali che distribuiscono hamburger senza retribuzione con l’etichetta di stage scolastico non si arricchiscono se non di rabbia per una situazione di sfruttamento.
    Prendiamo nota che mai gli studenti, prima degli ultimi anni, avevano preso una posizione ostile contro gli stage.
    Come mai tanti politici ed accademici scoprono ora l’acqua calda? Proporre poi sovvenzioni alle aziende invece che risorse all’istruzione un errore epocale.

  7. massimo gandini

    io lavoro da 30 anni in un’azienda elettromeccanica, da noi vengono in stage i ragazzi del locale istituto tecnico industriale sezione elettrotecnica. Io credo che per i ragazzi sia un’esperienza molto utile in quanto hanno modo di fare conoscenza di situazioni che a loro sono del tutto nuove. In genere alla fine sono tutti molto soddisfatti . Per un istituto tecnico industriale direi che questa iniziativa è essenziale, nutro qualche perplessità per gli studenti del liceo

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