Finita la scuola, la maggior parte dei giovani italiani impiega un periodo di tempo molto lungo per trovare un lavoro regolare e ciò li penalizza rispetto ai coetanei europei. La conferma arriva da nuove stime. Cosa fare per migliorare la situazione.

Le cause del fenomeno

Il tempo impiegato dai giovani italiani dal completamento degli studi all’ottenimento del primo lavoro regolare, definito periodo di transizione-scuola-lavoro (Tsl da ora), è estremamente lungo.

Le cause sono note: il basso tasso di crescita economica, la rigidità delle istituzioni che costituiscono il sistema d’istruzione e un mercato del lavoro dualistico – da una parte, i lavoratori a tempo indeterminato e dall’altra, i precari. Le numerose politiche del lavoro attuate negli ultimi decenni non hanno migliorato la situazione.

In un precedente articolo su lavoce.info, si evidenziava la discrepanza tra le stime Eurostat e quelle fornite dall’Ocse sulla durata della transizione scuola-lavoro per i giovani italiani. Oggi ritorniamo sull’argomento presentando i risultati di un’analisi della durata della Tsl italiana mettendola a confronto con quella di altri paesi europei (Austria, Polonia e Regno Unito), ciascuno caratterizzato da un diverso regime di transizione e di welfare (Stuck at a crossroads? The duration of the Italian school-to-work transition | Emerald Insight).

La durata che proponiamo si basa su dati EU-Silc e va dalla data in cui i giovani hanno concluso gli studi a quella in cui hanno raggiunto il primo lavoro “regolare” (espressione Eurostat), anche temporaneo, purché di durata superiore a sei mesi, ma non occasionale o stagionale.

La misura della durata

La tabella 1 fornisce i valori delle durate complete e incomplete. Le prime sono quelle che si rilevano al momento della intervista; le seconde, invece, durano oltre e perciò non si osserva la fine. Chiaramente le prime sono più brevi delle seconde. Dalla tabella si evince facilmente che la durata media della Tsl per un giovane italiano è di 2,35 anni (corrispondente a 28 mesi), contro 5 mesi in Austria, 11 in Polonia e 4 nel Regno Unito. La durata raggiunge in media addirittura i 58 mesi, pari a quasi 5 anni, per i giovani con un basso livello di istruzione e 0,91 anni (circa 11 mesi) per i laureati. Includendo nell’analisi anche chi non ha concluso la transizione al termine del periodo di osservazione, le corrispondenti durate medie risultano ancora più elevate. I valori degli altri paesi sono tutti molto più bassi.

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La figura 1 mostra le funzioni di sopravvivenza non parametriche Kaplan-Meier per le transizioni complete e incomplete in Italia. Esse calcolano la percentuale di giovani che non hanno ancora completato la transizione in ciascun istante temporale considerato, misurato sull’asse delle ascisse, per livello di istruzione. Nel 2017, la maggior parte dei laureati ha trovato un lavoro regolare in circa 5 anni, un tempo leggermente inferiore rispetto al 2011, quando la crisi economico-finanziaria ha raggiunto il mercato del lavoro, ma simile a quello impiegato nel 2006. I diplomati delle scuole superiori, nel 2017, hanno ottenuto quasi tutti un lavoro regolare in 10 anni. La situazione era leggermente migliore nel 2011 e nel 2006. Infine, occorrono 15 anni perché coloro che hanno terminato il loro percorso di studi con la scuola dell’obbligo trovino un lavoro regolare, un tempo leggermente più breve nel 2011 e nel 2006. Ciò conferma che la maggior parte dei giovani impiega un periodo di tempo estremamente lungo per trovare un lavoro regolare.

Figura 1 – Funzioni di sopravvivenza Kaplan-Meier per l’Italia rispetto al grado di istruzione

Fonte: elaborazioni degli autori su dati EU-Silc (anni vari).

Le conseguenze e le possibili soluzioni

Le evidenze rispecchiano le differenze nel regime di transizione di questi paesi e suggeriscono che, nel complesso, in Italia se un giovane si laurea in un corso 3+2 a 27-28 anni (in ritardo, mediamente, di circa 21 mesi), troverà un lavoro più o meno regolare all’età di 29-30 anni in media. Per buona parte di questi giovani l’età media al raggiungimento di un lavoro regolare si attesta sui 32-33 anni. Alla stessa età, un giovane inglese ha già acquisito mediamente dieci anni di esperienza lavorativa e il suo capitale umano risulta nettamente superiore a quello di un suo coetaneo italiano.

Inoltre, le durate lunghissime sono anche all’origine del basso tasso di iscrizione universitaria e della bassa percentuale italiana di laureati, generando così un evidente circolo vizioso. Infatti, la scelta se iscriversi e continuare l’università dipende non tanto, come quasi sempre si crede, dai rendimenti successivi dei laureati, ma da quelli antecedenti, calcolati moltiplicando i rendimenti a posteriori per la probabilità di laurearsi e trovare un lavoro. Quando le probabilità si abbassano, a causa della durata della Tsl, si riducono enormemente gli incentivi a iscriversi all’università e a completare il percorso di studio.

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Certamente, un tasso di crescita più sostenuto di quello sperimentato negli ultimi decenni aiuterebbe i giovani ad accelerare le Tsl. La crescita economica da sola, però, non basterebbe a ridurre il gap di esperienza lavorativa dei giovani, che dipende dal carattere sequenziale del nostro sistema d’istruzione e da un mercato del lavoro che ancora non aiuta i giovani a sviluppare le competenze lavorative che li rendono più facilmente occupabili da parte delle imprese. Aggiungere una buona dose di esperienza lavorativa durante il percorso di istruzione favorirebbe senz’altro transizioni più veloci. L’alternanza scuola lavoro, gli Its, l’apprendistato scolastico, stage e tirocini per gli studenti universitari e corsi volti a sviluppare le competenze lavorative possono accelerare le Tsl. Si spera che il Recovery Fund possa favorire una assunzione massiccia di giovani laureati nella pubblica amministrazione, poiché negli ultimi venti anni, il canale delle assunzioni nel settore pubblico è mancato quasi completamente, come evidenziato in precedenti contributi de lavoce.info.

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