A giudicare dai programmi elettorali, con chiunque vinca le elezioni le politiche per la casa continueranno a trovare poco spazio. I partiti maggiori non guardano al crescente disagio abitativo delle famiglie più povere. Semmai pensano al ceto medio.
Politiche abitative fuori dai programmi
La casa è malandata nei programmi dei partiti e dei movimenti che partecipano alle elezioni parlamentari del 4 marzo, a dispetto di un ampliamento del disagio abitativo che in quote crescenti si trasforma in emergenza. La politica ha sostanzialmente rinunciato a intervenire per aiutare chi non riesce a risolvere il problema da solo. In termini drammatici, la situazione è riassunta dall’aumento del numero degli sfratti emessi per morosità: da 33 mila prima della crisi a 56 mila nel 2016. Intanto, soprattutto nelle grandi aree urbane, si allungano le liste delle famiglie in attesa dell’assegnazione di una casa popolate, mentre il patrimonio non cresce, anzi talvolta si riduce per la realizzazione di piani di vendita. Neanche la legge di stabilità per quest’anno ha finanziato il fondo sociale per l’affitto, che dava un contributo per il pagamento del canone alle famiglie più povere; sono state invece trovate le risorse per concedere una detrazione fiscale per la sistemazione dei giardini di ville e villette.
Dei 35 programmi elettorali pubblicati sul sito del ministero dell’Interno, solo in 9 si fa riferimento alle politiche abitative: in un caso per enunciare semplicemente con tre parole il diritto alla casa e in un altro si propone di affrontare il problema non subito, ma nel lungo periodo.
Le coalizioni e i partiti presenti in parlamento
Non vi è cenno alle politiche abitative né nei quattro programmi fotocopia dei partiti della coalizione di centrodestra né in quelli del raggruppamento di centrosinistra. Nei programmi di sei di queste forze politiche è invece richiamato il benessere animale. Silenzio anche da tutti gli altri partiti già presenti in parlamento, con la sola eccezione di Liberi e Uguali, che propone di “rendere effettivo il diritto alla casa” con la creazione di un fondo pubblico per acquisire dalle banche i crediti “in sofferenza garantiti da immobili, da destinare all’edilizia popolare con affitti calmierati”.
Fratelli d’Italia e Partito democratico accennano all’argomento nella documentazione di propaganda pubblicata sui loro siti. FdI propone la non pignorabilità della prima casa e il rifinanziamento del fondo di garanzia per l’acquisto della prima abitazione per le giovani coppie e i precari. È volta a favorire l’uscita dalla famiglia d’origine la detrazione di 150 euro mensili che il Pd vorrebbe concedere ai giovani sotto i 30 anni che affittano una casa.
L’assenza di ulteriori dettagli e indicazioni relative al loro costo o efficacia rende difficile formulare specifici rilievi sul piano tecnico, ma non impedisce di osservare che queste ipotesi di intervento sono rivolte tutte a fasce di popolazione riconducibili all’ampia categoria sociologica del ceto medio.
I movimenti estremisti
Le poche, ugualmente schematiche, proposte indirizzate ai segmenti più poveri della domanda di casa sono contenute nei programmi dei partiti e dei movimenti estremisti che aspirano a entrare in parlamento. C’è però un’importante differenza tra formazioni di sinistra e formazioni di destra.
Le prime si concentrano sull’affitto, anche con soluzioni estreme. Il Partito comunista punta all’assegnazione immediata di un alloggio popolare alle giovani coppie e sull’esproprio, senza indennizzo, dei grandi patrimoni immobiliari di società di costruzione, assicurazioni, banche e chiesa per scorrere le graduatorie delle case popolari. Potere al popolo promette di aumentarle di un milione in dieci anni. Alcune proposte di entrambe le forze politiche spingono a dubitare del loro grado di conoscenza delle problematiche inerenti al problema della casa. Il Pc, per esempio, si pone come obiettivo quella che è già l’attuale situazione: la gestione pubblica delle case popolari e la distinzione tra edilizia sovvenzionata ed edilizia agevolata. Mentre non è chiaro per niente se l’intenzione di Po di abolire la cedolare secca sugli affitti riguardi anche i canoni concordati o solo quelli di mercato, né perché dovrebbe essere necessariamente vantaggioso per l’inquilino pagare un canone rapportato alla rendita catastale dell’alloggio.
I movimenti di estrema destra, Casa Pound e Forza Nuova (lista Italia agli italiani) puntano sul “mutuo sociale” per rendere effettivo il diritto alla casa delle “nostre classi popolari” (Fn). Il mutuo sociale non sarebbe, però, uno strumento finanziario, bensì un ente pubblico che costruisce case a 800 euro a metro quadro. Gli alloggi, essendo pagati dagli acquirenti con una rata senza interessi pari a un quinto del loro reddito, sarebbero accessibili anche a famiglie forse prersino più povere di quelle assegnatarie di una casa popolare. Naturalmente, è tutto da dimostrare che si possano costruire case a quel costo e che questo sarebbe il modo migliore per spendere le ingenti somme di danaro pubblico necessarie.
Non è qui possibile una disamina critica delle singole proposte. Limitiamoci, perciò, a qualche considerazione di carattere generale. Nel complesso, la lettura dei programmi elettorali conferma che le politiche abitative, cioè gli interventi volti a risolvere il problema per le fasce più deboli della popolazione, continueranno a essere marginali nel nostro sistema di welfare, chiunque vinca le elezioni.
La linea di demarcazione tra le ipotesi di intervento è costituita dai diversi segmenti di elettorato ai quali sono rivolte, senza una chiara distinzione delle aree politiche di appartenenza dei soggetti che le propongono. Le forze politiche che probabilmente domineranno anche il prossimo parlamento o sono disinteressate al problema oppure avanzano proposte inadeguate a dare risposte per le fasce della popolazione con maggior disagio abitativo. Di quest’area non si occupano neanche i programmi dei partiti dai quali, per collocazione politica, ci si aspetterebbe maggiore attenzione. Probabilmente ciò è dovuto alla convinzione che quell’elettorato non li voti più. Ma si tratta di un arretramento che apre spazi ai movimenti dalle posizioni politiche più estreme.
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Henri Schmit
Condivido l’amara critica dell’autore circa l’assenza della questione abitativa dai programmi elettorali e dal dibattito pubblico. In UK e in F il tema è in alto alle agende politiche. Non mi convince tuttavia il punto programmatico di L&U citato nell’articolo perché assomiglia troppo al soli fumo poco concreto. La triste e largamente incomprensibile realtà dell’ ALER (vivo in Lombardia) non ispira grandi speranze. Penso che sarebbe primordiale rendere il settore immobiliare e residenziale più trasparente e più liquido. L’opacità è la matrice perfetta del clientelismo, degli abusi e dell’inerzia.