Una migrazione biblica (ma virtuale) sta avvenendo sul web: Facebook sposta un miliardo e mezzo di utenti dalla legislazione Ue a quella Usa. Perché la prima è diventata più rigorosa e restrittiva. In barba alle promesse fatte da Zuckerberg.

Una promessa mancata

Una migrazione (virtuale) di quasi un miliardo e mezzo di persone dovrebbe fare notizia, a maggior ragione se coinvolge Facebook, il social network più diffuso al mondo. E questa notizia potenzialmente fragorosa è uscita il 19 aprile scorso sull’Irish Times, ed è stata confermata da Facebook stesso due giorni prima: tutti gli utenti del network che non vivono nell’Unione Europea (cioè coloro che vivono in Africa, Asia, Australia e paesi americani diversi da Usa e Canada) non saranno più sottoposti alla legislazione irlandese ma a quella statunitense, che precedentemente valeva per l’appunto solo per gli utenti residenti negli Usa e in Canada. Nonostante la promessa da parte del fondatore ed amministratore delegato Mark Zuckerberg di applicare lo “spirito” della nuova normativa Ue sulla privacy dei dati a tutti gli utenti mondiali di Facebook, l’effetto di questa mossa consiste nel fatto che gli utenti non europei non saranno sottoposti al nuovo regolamento più restrittivo che si chiama Gdpr (General Data Protection Regulation) e che entrerà in vigore tra un mese circa, cioè il prossimo 25 maggio.

Che cosa impone la Gdpr europea

E sono dunque due le notizie importanti a cui non stiamo dedicando sufficiente attenzione: da una parte la migrazione virtuale di un miliardo di mezzo di utenti verso una regolamentazione più blanda riguardo ai diritti sui dati personali, e dall’altra questa nuova regolamentazione, che entra immediatamente in vigore e che definisce ed estende i diritti degli utenti sui loro dati appartenenti alla sfera digitale. Più precisamente la Gdpr estende l’ampiezza dei “dati identificabili con la persona” (personally identifiable data) fino a includere informazioni sulla geolocalizzazione e sulla storia della navigazione su internet (la cosiddetta browsing history). Non solo: gli utenti devono dare il loro consenso esplicito all’utilizzo dei propri dati da parte dei soggetti che li utilizzino ad esempio a scopi pubblicitari (motori di ricerca, social network, siti di e-commerce). Dal punto di vista operativo, la Gdpr prevede un insieme più largo di diritti sui dati personali, che possono essere “azionati”: gli utenti possono chiederne la cancellazione, la correzione e la possibilità di scaricarli in formato accessibile.

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Shopping regolamentare e shopping fiscale

Zuckerberg sceglie dunque di evitare l’applicazione di questa normativa più restrittiva a un miliardo e mezzo di utenti extra-europei, anche perché le sanzioni previste dalla Gdpr sono potenzialmente molto pesanti: nel caso di utilizzo senza autorizzazione dei dati personali si arriva a una sanzione fino al 4 per cento del fatturato totale, che per un colosso come Facebook (e non solo) vale miliardi di euro. Intendiamoci: non c’è nulla di strano nello shopping tra regolamentazioni diverse, che presenta elementi comuni con il cosiddetto shopping fiscale, cioè la ricerca della normativa più vantaggiosa per una multinazionale. Anzi: c’è un’interessante scollamento tra l’aspetto fiscale e l’aspetto relativo alla privacy dei dati, in quanto l’Irlanda è stata scelta come sede internazionale da Facebook per i vantaggi dovuti a un abbattimento delle imposte, ma ora è l’Unione Europea – Irlanda compresa – che risulta meno vantaggiosa dal punto di vista di un’estensione dei diritti ai dati personali.

Le discutibili scelte dei media

Un’ultima riflessione riguarda il confronto tra l’eco mediatica che ha ricevuto lo scandalo che ha coinvolto Facebook e Cambridge analytica e l’interesse relativamente scarso per questa migrazione virtuale di miliardi di utenti Facebook per evitare la Gdpr. Siamo davvero sicuri che la prima faccenda sia più rilevante della seconda? Piuttosto che impelagarci in discussioni oziose sulle cosiddette fake news, forse dovremmo riflettere di più sul modo in cui i mass media decidono l’agenda dell’opinione pubblica, cioè la classifica di ciò che è più o meno importante. E dentro i mass media che influenzano l’agenda un posto d’onore ce l’ha sicuramente Facebook stessa.

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