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Per chi suona la clausola di salvaguardia

La via per eliminare la clausola di salvaguardia sulle aliquote Iva rimane stretta. Lo è dal punto di vista procedurale, ma ancora di più da quello politico. Perché si devono trovare altre entrate o effettuare tagli di spesa. A chi toccherà pagare?

Il pendolo della clausola

Per tutta la durata della campagna elettorale, le forze politiche hanno accuratamente evitato di raccontare come avrebbero evitato l’aumento dell’Iva dal 2019 (la cosiddetta “clausola di salvaguardia”), preferendo suggestionare gli elettori con promesse inverosimili di aumento della spesa pubblica e tagli clamorosi di imposte. Dopo le elezioni, per due mesi, le stesse forze politiche hanno poi spergiurato che avrebbero fatto di tutto per evitare l’aumento. Quando è sembrato avvicinarsi un ritorno alle urne, la clausola è di nuovo diventata un problema secondario e facilmente risolvibile. Ora, nell’attesa di scoprire se il tentativo di Lega e Movimento 5 stelle di formare un governo avrà successo o meno, e per orientarsi tra le varie oscillazioni dei partiti sulla clausola, è utile ripassare la procedura legislativa per l’approvazione del documento che sta alla base di tutte le decisioni di finanza pubblica, vale a dire l’iter per l’approvazione del bilancio dello stato

Processo annuale e sessione autunnale

Il processo di bilancio interessa tutto l’anno che precede la sua entrata in vigore. Dal punto di vista procedurale, il bilancio è l’unica legge per cui l’iniziativa legislativa appartiene in via esclusiva al governo (articolo 81 Costituzione). La prima fase è nota come “semestre europeo”: entro il 10 aprile, il governo presenta il Documento di economia e finanza alle Camere (ed entro il 30 aprile alle istituzioni europee); il Def è poi aggiornato sulla base delle eventuali osservazioni ricevute e delle stime più recenti entro il 20 settembre, così che poi può diventare base fondamentale per la redazione della legge di bilancio. Il Def dovrebbe comporsi, tra le altre cose, di un quadro a legislazione vigente e uno programmatico, che tenga conto degli obiettivi e delle riforme previste dal governo. Ma per quest’anno, vista la fase transitoria del dopo voto, è stato accettato che contenesse solo la parte tendenziale, e quindi, naturalmente, che non affrontasse il problema delle clausole di salvaguardia.
Il disegno di legge di bilancio è presentato alle Camere entro il 20 ottobre, quando si apre la seconda fase, cioè la “sessione parlamentare di bilancio”. Entro il 30 novembre, la Commissione europea comunica un parere sul documento programmatico di bilancio (consegnato entro il 15/10), che può tramutarsi in un via libera, in un’accettazione con riserva oppure in una richiesta di intervento per correggere i conti (una “manovra correttiva”).
Il termine ultimo per l’approvazione del bilancio è naturalmente il 31 dicembre. Se la legge di bilancio non venisse approvata in tempo, il Parlamento può comunque autorizzare l’esercizio provvisorio, della durata massima complessiva di quattro mesi (articolo 81 Costituzione).

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La clausola di salvaguardia

Oltre alla necessità di ricorre all’esercizio provvisorio – che comunque limita l’azione del governo, vincolato a spendere esattamente un dodicesimo della spesa totale dell’anno precedente – senza legge di bilancio salterebbe la possibilità di evitare l’aumento dell’Iva, proprio perché è in questa sede che devono essere trovate le risorse.
In linea di principio, si potrebbe intervenire sulle finanze pubbliche, e quindi anche sulla clausola di salvaguardia, per decreto legge. Ma ovviamente l’intervento dovrebbe essere giustificato sulla base di “casi straordinari di necessità e di urgenza” (articolo 77 Costituzione). E, come ogni decreto legge, dovrebbe essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni. Senza una maggioranza parlamentare, quindi, la via del decreto sembra molto difficile da percorre. E qualora invece la maggioranza ci fosse, allora ci sarebbe anche un nuovo governo e dunque ci sarebbero gli spazi per l’approvazione della legge di bilancio.
Ma senza un governo, per il “problema clausola” il voto rimane l’unica possibilità. Dal punto di vista dei tempi, votare nel secondo semestre è molto rischioso: se si dovesse scegliere tra luglio e l’autunno appare dunque forse più indicata la prima alternativa. Al contrario, qualora un nuovo governo ricevesse la fiducia delle Camere, le cose sarebbero più semplici – anche se non scontate – indipendentemente dal fatto che l’esecutivo sia nato su iniziativa del Presidente della Repubblica o sulla base di accordi politici tra le forze in Parlamento (come in queste ore sembra possa accadere tra Lega e M5s).
La via per il congelamento o il disinnesco definitivo della clausola di salvaguardia rimane stretta: dal punto di vista procedurale, ma ancora di più dal punto di vista dell’accordo politico sulle coperture. Perché una cosa appare comunque certa: disattivare l’aumento dell’Iva richiede l’incremento di altre entrate oppure tagli di spesa. A chi toccherà, dunque, pagare?

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  1. Bellissima domanda! Non avendo la sfera di crstallo provo a spostare l’attenzione su un argomento contiguo: cosa far pagare? Allora: SE il legislatore vuole vincere facile applicherà il nuovo necessario prelievo sulla ricchezza/reddito non occultabili (immobili, titoli, depositi, fondi, assicurazioni etc.). SE il legislatore vuole giocare a Guardia e Ladri sceglierà altre vie… appunto strette.

  2. Lorenzo

    La domanda è mal posta. Chi rimarrà con il cerino in mano? (Qualcosa mi dice i 5*)

  3. Savino

    L’aumento dell’IVA è sempre a discapito del consumatore finale, compreso quello a reddito basso.
    Per questo, l’IVA è l’imposta più ingiusta che esista, prevedendo, d’altro canto, il meccanismo dello scarico per il titolare di partita.
    Poi, in Italia abbiamo un problema di paniere. Milena Gabanelli ha, di recente, evidenziato come, per le donne italiane, ai fini IVA, gli assorbenti siano considerati un bene di lusso.

  4. Henri Schmit

    Utile e preciso richiamo. Siamo nel cuore della spesso derisa, incompresa e abusata “sovranità”. A livello nazionale l’iniziativa spetta all’esecutivo, la decisione finale alla rappresentanza nazionale, di cui dipende pure l’esecutivo. Le procedure aiutano a trovare soluzioni equilibrate, sostenibili e condivise. Qualsiasi soluzione-decisione “sovrana” deve però fare i conti con il principio di realtà, fra cui le coperture, l’opinione pubblica, il mercato e gli impegni pregressi con terzi, fra cui l’inquadramento – regole, controlli e ulteriori procedure – UE. È facile promettere, decidere non curanti delle conseguenze, più difficile avere successo nel mondo reale.

  5. toninoc

    A chi tocca pagare? Mi verrebbe da rispondere “Al solito Pantalone”, perchè identifica da sempre le classi meno ricche o per essere più attuale, la classe più numerosa ovvero più povera e sempre più vasta. Se si concretizzerà il governo di Lega e 5 stelle, è sicuro che a pagare saranno le classi povere sia che le clausole di salvaguardia siano rispettate o non lo siano affatto. Con l’incremento dell’Iva o con la Flat-Tax, i colpiti maggiormente sono sempre i più deboli. Ricordo Ugo La (che non era Leghista) e giustificava i maggiori sacrifici ai meno ricchi dicendo che i poveri hanno poco ma sono molto numerosi e consentono una raccolta maggiore. Oggi si racconta che destra e sinistra non esistano più. I propositi del nascente governo affermano senza ombra di dubbio che la destra ( la peggiore) ancora esiste mentre la sinistra, pur esistendo è divisa, frantumata, polverizzata e nebulizzata e di conseguenza il suo popolo è alla mercé della destra più estrema e dell’incompetenza pentastellata.

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