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Il trasformismo? Si ferma con i regolamenti parlamentari

Il contratto di governo di Lega e Movimento 5 stelle si propone di introdurre il vincolo di mandato per contrastare il trasformismo. Ma per combatterlo, basterebbe modificare i regolamenti parlamentari. Lo dimostra anche l’esperienza degli altri paesi.

Serve il vincolo di mandato?

I gruppi parlamentari sono la proiezione dei partiti in Parlamento. Il loro ruolo è fondamentale per l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni dell’assemblea. In particolare, i gruppi gestiscono il tempo dell’aula, ma essi sono anche assegnati fondi e staff. Inoltre, la composizione di tutte le commissioni parlamentari viene fatta in base ai gruppi. Per questo i gruppi sono il primo organo del Parlamento che si costituisce dopo l’elezione del Presidente dell’assemblea. In Italia i parlamentari sono obbligati ad iscriversi ad un gruppo, non sono, cioè, ammessi indipendenti e per questo motivo esiste il gruppo misto. Ma i parlamentari italiani, come la maggior parte dei loro colleghi europei, sono anche liberi di cambiare gruppo nel corso della legislatura. Eppure, in nessun parlamento europeo i rappresentanti cambiano partito con la stessa frequenza dei deputati e senatori italiani. Il grafico 1 mostra la percentuale media annuale di parlamentari che hanno cambiato partito in 14 paesi dell’Europa occidentale negli ultimi 25 anni. Come si può vedere, dalla metà degli anni Novanta, in Italia il numero dei transfughi è cresciuto in modo notevole. In media circa il 6 per cento dei nostri parlamentari ha cambiato gruppo, contro lo 0,1 per cento di Germania o 0,3 per cento in Spagna. L’unico paese che si avvicina a percentuali simili a quelle italiane è la Francia (2,4 per cento).

Grafico 1

Per porre un limite al fenomeno Lega e Movimento 5 stelle hanno proposto nel loro contratto di governo di introdurre una forma di mandato imperativo (e per farlo dovrebbero modificare l’articolo 67 della Costituzione che prevede che i parlamentari esercitino le proprie funzioni senza vincolo di mandato). Ma è veramente colpa di questo principio costituzionale se i nostri parlamentari migrano da un partito all’altro con tanta frequenza?

A parte il Portogallo, in cui eventuali transfughi sono costretti a rinunciare al proprio seggio, il divieto di mandato imperativo è presente nella maggior parte degli ordinamenti europei. Questo quindi non ci aiuta a spiegare perché in Italia i parlamentari cambino gruppo molto più frequentemente che in altri paesi.

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La vera differenza tra l’Italia e le altre democrazie risiede nei regolamenti parlamentari e in particolar modo nella disciplina dei gruppi. Per formare un gruppo alla Camera o al Senato, i regolamenti richiedono esclusivamente che sia rispettato un criterio numerico (20 deputati o 10 senatori). I gruppi non devono corrispondere alle liste elettorali che si sono sfidate alle elezioni e, soprattutto, gli eletti non sono obbligati a iscriversi al partito per cui si sono candidati. In altri termini, le forze politiche in parlamento non devono rispecchiare la competizione elettorale che le ha generate. È quindi assolutamente legittimo che parlamentari eletti in partiti avversari formino un gruppo comune: basta averne la volontà ed essere in numero sufficiente. Inoltre, in Italia la presenza del gruppo misto (in teoria residuale, ma nelle ultime legislature sempre più consistente) permette ai transfughi di “smacchiarsi” dalla propria precedente appartenenza e di ricostruire una rete di contatti che spesso sfocia nella nascita di un nuovo gruppo o componente politica.

Regole più severe sui gruppi

La tabella 1 sintetizza i requisiti necessari per formare un gruppo parlamentare negli altri paesi presi in considerazione. Come si può vedere, in altri stati ci vuole molto di più per formare un gruppo parlamentare. I casi più emblematici sono quelli di Austria, Germania e Spagna, dove è richiesto che gruppi e liste elettorali coincidano. Proprio in virtù di questo semplice principio, nei tre paesi è di fatto impossibile creare gruppi che non abbiano prima concorso alle elezioni: ad esempio, con una regola come questa, Angelino Alfano non avrebbe potuto fondare il Nuovo Centrodestra e il governo Letta o quello Renzi non sarebbero nati.

In Svizzera, Norvegia e – in misura diversa – Francia (che è un caso particolare, perché i deputati possono anche “apparentarsi” a un gruppo, senza appartenervi formalmente) oltre a un criterio numerico è richiesto un criterio politico. Ciò significa che i parlamentari devono avere almeno un orientamento politico comune per poter formare un gruppo.

Tabella 1

Nota: I dati dei vari paesi sono disponibili ai seguenti link. Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna e Svizzera.

Se i partiti non riescono a tenere unite le proprie fila, un aiuto può venire da criteri più severi per formare un gruppo parlamentare, prima che dall’istituzione del vincolo di mandato. Tanto più che la procedura per modificare i regolamenti parlamentari è più semplice di quella di riforma della Costituzione.L’esperienza di tutti questi paesi ci dimostra che si può limitare la mobilità parlamentare semplicemente con regole più stringenti, senza però ripudiare il libero mandato. Certo, esistono anche democrazie, come Paesi Bassi o Danimarca, in cui regolamenti permissivi si accompagnano a pochi cambi di casacca (anche se in Olanda il fenomeno è in crescita). Ma lì i partiti sono più stabili rispetto a quelli italiani.

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Smantellare un principio come il libero mandato richiederebbe poi una seria e approfondita discussione sul modello di democrazia che si vuole stabilire per rimpiazzare quella rappresentativa.

Con il vincolo di mandato, infatti, i parlamentari cesserebbero di essere rappresentanti della nazione e si trasformerebbero in agenti dei partiti. La funzione del libero mandato è infatti anche quella di proteggere il parlamentare in caso di conflitto con il partito di appartenenza, come spiegato tra l’altro dalla sentenza n. 14 del 1964 della Corte costituzionale. In altri termini, una modifica dell’articolo 67 darebbe ai partiti un ulteriore strumento di controllo nei confronti dei parlamentari eletti nelle proprie fila quando non si conformano alla linea di partito.

Aggiornamento
Il 20 dicembre 2017 il Senato ha approvato una riforma del suo regolamento che prevede una corrispondenza tra gruppi parlamentari e liste elettorali, come in Spagna e Germania: partiti che si siano presentati sotto un unico simbolo non possono perciò costituire gruppi separati. Sarà interessante vedere se nel corso della legislatura la nuova norma produrrà l’effetto sperato di disincentivo ai mutamenti e quali differenze ci saranno con la Camera dei Deputati dove invece il regolamento è rimasto invariato.

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  1. Henri Schmit

    Senza libertà di mandato non ci può essere democrazia rappresentativa. Il vincolo di partito-lista-gruppo che esiste in D, A e E è una grave restrizione all’ideale di democrazia liberale (fondata sulla libertà degli individui in opposizione a privilegi di corporazioni) nonché uno degli elementi-base della partitocrazia. Non vedo il problema di rappresentanti che cambiano idea, gruppo o partito, anzi. Basta appunto una ragionevole regolamentazione interna al parlamento che non ostacoli troppo l’iniziativa e il potere del singolo deputato. L’unica vera sanzione legittima del cambiamento di casacca è quella elettorale. Il problema è che i paesi dove si contesta il trasformismo sono gli stessi che hanno tolto il potere di sanzione individuale che in virtù dell’art. 48 dovrebbe sempre appartenete agli elettori. Si tratta di un circolo vizioso. L’errore è di aver dimenticato che un sistema elettorale proporzionale rimane compatibile con la preferenza individuale, come paesi quali CH, SF e IRL (e in un senso diverso addirittura F e UK) dimostrano.

    • Alessandro

      Concordo pienamente. Il vincolo di mandato, non solo non è un problema ma è una garanzia per il funzionamento della democrazia rappresentativa (ad oggi l’unica concretamente attuabile).
      Ciò che manca, è un legame diretto tra il deputato e le persone che localmente lo hanno eletto. Sia perché le leggi elettorali degli ultimi anni hanno escluso o ridotto al minimo questa prerogativa dell’elettore, sia perché l’elettore stesso ha mostrato scarso interesse e scarsa capacità valutativa dell’operato del suo rappresentante.
      Quanto all’articolo, anche in questo caso concordo col suo commento precedente. L’articolo offre spunti di riflessione ma è carente nell’analisi dei dati.

  2. Carlo

    Francamente dai dati pubblicati non si nota alcuna correlazione fra i vincoli posti alla costituzione di un nuovo gruppo parlamentare e la quota di parlamentari che hanno cambiato partito. Solo sulla base di questi dati non e’ sostenibile che una modifica dei regolamenti parlamentari potrebbe ridurre il fenomeno del trasformismo. Per capire l’effetto di restrizioni alla costituzione di nuovi gruppi parlamentari si dovrebbe approfondire quali sono i vantaggi economici o di influenza politica di far parte di un certo gruppo parlamentare, e quindi quanto sarebbe disincentivante impedire di costituirne uno.

  3. Henri Schmit

    La tabella 1 non significa molto se non si precisano i poteri (di iniziativa, di discussione, di formulazione e di condizionamento del voto finale) che in ogni paese sono riconosciuti ai gruppi parlamentari. La terza colonna ha il merito di rivelare la specificità macroscopica delle compiute partitocrazie D, A e E (insieme a N e CH, meno estremi). La regola francese (stessa colonna) sembra invece perfetta. Non basterebbe comunque scimmiottare la soluzione germanica per garantirsi il presunto buon risultato (democratico o economico?) complessivo di quel paese. Sarebbe giusto notare il rigore classico di 4 (UK, SF, NL, N) dei 14 paesi messi a confronto, dove basta un solo deputato (da relativizzare con il numero totale di ogni assemblea), e rifletterci su. L’ultima colonna infine dice poco, anzi rischia di essere fuorviante, perché non precisa la diversità dei casi presi in considerazione. Fare statistiche confrontando cose diverse per provare la convenienza di una determinata soluzione (Germania 0,11 vs. Italia 5,86) non è molto “scientifico”, benché di prassi sempre più diffusa.

  4. Matteo Biagi

    Io oltre alla modifica dei regolamenti parla mentari proposta, aggiungerei l’istituto del del recall eventuale. Nel caso di cambio di casacca, un congruo numero di elettori del Collegio elettorale o della zona elettorale con firma autenticata, potrebbe richiedere che quel seggio sia rimesso in palio. Legittimo cambiare ma gli elettori devono poter valutare senza arrivare al vincolo di mandato. Che ne pensi ?

    • Henri Schmit

      Si potrebbe pure discutere dell’idea, ma bisognerebbe prima riflettere sul contesto: Gli Italiani non possono eleggere i singoli deputati ma potrebbero destituirli!?! Abbiamo perso la bussola!

  5. acarraro

    Se dobbiamo proprio cambiare una caratteristica base come il vincolo di mandato, mi sembrerebbe molto piu’ utile modificare il voto segreto in parlamento. Che senso ha imporre in vincolo di mandato se poi non hai modo di controllare che il parlamentare vota effettivamente in linea con il mandato?

    Ho sempre trovato il voto segreto in parlamento un elemento molto ingiusto. Come puo’ l’elettore giudicare il comportamento del proprio rappresentante se una larga percentuale delle sue azioni piu’ importanti sono segrete? Se uno anche avesse l’abilita’ di dare uno preferenza, non avrebbe gli strumenti per decidere se il proprio rappresentante si e’ comportato giustamente.

    In ogni caso, anche con il sistema elettorale corrente l’elettore ha la liberta’ di non votare il partito se non gli piaccioni i due-tre candidati del partito (candidato uninominale piu’ capi lista proporzionali). Quindi una qualche scelta c’e’ anche se forse piu’ limitata di quello che dovrebbe essere…

  6. Henri Schmit

    Aggiornamento: il nuovo regolamento del Senato approvato il 20 dicembre scorso rinforza semplicemente (dopo le liste bloccate generalizzate nel 2005 e mantenute da tutte le leggi elettorali successive) la natura partitocratica del regime: i cittadini votano solo per partiti, gli eletti votano in blocco senza poter dissentire, i capipartito decidono chi sarà sulla lista, chi sarà eletto e come gli eletti devono votare. Bella democrazia! Si è riformato l’asse D – A – E – I; i geni delle scienze politiche ci rassicurano poi insistendo sulla necessità di democrazia interna. Partiti e movimenti si adattano alla nuova ideologia chi organizzando primarie pilotate, chi inventando la democrazia online, riservata agli “iscritti” e gestita da mezzi informatici privati; se poi gli algoritmi “sbagliano”, ci sono i capi a decidere per tutti. È un perfezionamento della democrazia classica o un’illusione , un inganno forse una truffa?

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