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Una via più rapida per il reddito di cittadinanza

C’è una scorciatoia per far partire l’attivazione lavorativa e arrivare al reddito di cittadinanza promesso dal Movimento Cinque stelle. Basta usare due strumenti già disponibili, combinando il reddito di inclusione con l’assegno di ricollocazione.

Verso il reddito di cittadinanza

Rendere possibile l’attivazione lavorativa è, secondo il governo, precondizione per realizzare il reddito di cittadinanza. Servono strutture efficienti per attuare la “condizionalità” della misura, visto che si tratta in realtà non di un reddito di base, bensì di un reddito minimo legato alla ricerca attiva di un lavoro, come ha sottolineato Pasquale Tridico, consulente del ministro del Lavoro Luigi di Maio. La riforma dei centri per l’impiego richiederà però almeno uno o due anni: bisogna trovare i fondi, fare assunzioni e riorganizzare le strutture, il tutto in accordo con le regioni, che hanno la competenza sulle politiche attive. Ma c’è una strada alternativa per avere risultati immediati.

Se si unisce il reddito di inclusione con l’assegno di ricollocazione, due misure introdotte dai governi precedenti, si potrebbe attuare in breve tempo la parte di inserimento al lavoro prevista dal reddito di cittadinanza.

Il reddito di inclusione (Rei) è la prima misura universale di contrasto alla povertà in Italia: introdotta dal governo Gentiloni sulla base di una legge delega presentata nel 2016 dall’esecutivo di Matteo Renzi, è stata sostenuta da un ampio fronte di associazioni e corpi intermedi riuniti nell’Alleanza contro la povertà. Il Rei è operativo dal gennaio 2018 e ha raggiunto oltre 250mila nuclei familiari; prevede un beneficio economico (da 187 a 539 euro al mese) e un progetto personalizzato di inclusione sociale e attivazione lavorativa, per superare la condizione di povertà. Dal primo luglio 2018, per accedere al Rei bisogna soddisfare requisiti esclusivamente economici. La misura potrà raggiungere circa 700 mila famiglie.

Il governo Conte ha già manifestato l’intenzione di estendere il Rei, aumentando i fondi, in modo da accrescere sia gli importi pro-capite che la platea di percettori. Dall’altro lato, i Cinque stelle vogliono dare maggior enfasi al reinserimento lavorativo e, per farlo, serve potenziare (o meglio, reinventare) le politiche attive.

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Fondi per le politiche attive? In parte ci sono già

Da fine maggio, anche i titolari del Rei possono richiedere l’assegno di ricollocazione (Adr). Introdotto dal Jobs act, l’Adr è un voucher per finanziare programmi di formazione e reinserimento lavorativo. Il beneficiario può scegliere se farsi assistere da un centro per l’impiego o da un’agenzia per il lavoro privata accreditata. L’ente scelto assegna all’utente un tutor e un programma personalizzato di formazione e ricerca di opportunità di impiego adatte al suo profilo.

L’assegno va da 250 a 5 mila euro, a seconda del grado di difficoltà che ci si aspetta di incontrare nel ricollocare la persona, date le sue caratteristiche (come istruzione o occupazione precedente). Alle situazioni più critiche saranno destinate risorse maggiori, permettendo di finanziare una formazione più approfondita e prolungata. L’assegno viene incassato dall’ente “a risultato raggiunto”, cioè alla firma del contratto subordinato: c’è quindi un forte incentivo a portare a termine con successo il percorso di assistenza. Il suo importo cresce se l’ente trova un contratto a tempo indeterminato.

Lo stanziamento iniziale è di 200 milioni: con un assegno medio da 3 mila euro, dovrebbero bastare per 60-70 mila percettori del Rei, un numero limitato ma significativo, soprattutto perché non tutti i beneficiari sono abili al lavoro. La povertà non è sempre e soltanto dovuta a mancanza di lavoro. Per questo è importante che la valutazione del bisogno sia multidimensionale e resti in capo ai servizi sociali, che possono attivare un’equipe multidisciplinare nei casi più complessi, oppure indirizzare la persona ai centri per l’impiego qualora “la situazione di povertà emerga come esclusivamente connessa alla sola dimensione della situazione lavorativa” (decreto legislativo 147 del 2017). l’assegno di ricollocazione potrebbe essere rivolto, almeno in una prima fase, proprio a questi soggetti, come era già stato suggerito dall’Alleanza contro la povertà.

L’Adr rappresenta una grande opportunità per il governo per far ripartire subito la rete dell’attivazione lavorativa. Attraverso il coinvolgimento delle agenzie private accreditate, la misura permette una risposta rapida e flessibile. I privati, a differenza del centro pubblico (che deve offrire servizi a tutte le categorie di disoccupati), potrebbero sviluppare competenze specifiche orientate all’assistenza dei beneficiari Rei, soggetti con esigenze più complesse.

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La povertà non dipende soltanto dall’assenza di lavoro, ma il reinserimento lavorativo dei beneficiari del reddito di cittadinanza sarà tra gli aspetti sui quali si concentreranno le attenzioni dell’opinione pubblica. Il consenso potrebbe infatti vacillare se i servizi promessi non verranno resi disponibili, o se la condizione della ricerca di un lavoro non venisse attuata perché i centri per l’impiego non sono in grado di prendere in carico i beneficiari, con l’effetto di liberarli di fatto dagli obblighi di attivazione.

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Il Punto

  1. Savino

    E’ chiaro che gli strumenti già ci sono. Bisogna capire quali sono le aspettative degli italiani, cosa credono gli italiani che sia il reddito di cittadinanza. Perchè potrebbe essersi trattato anche di voto di scambio.

    • Stefano73

      Quindi quando Berlusconi promise di creare 1 milione di posti di lavoro oppure quando Renzi prima delle elezioni europee creò il bonus 80 euro erano tutti casi di voto di scambio ??

      • Savino

        Si

      • Condello Giuseppe

        Caro Stefano73, il punto è che il reddito di cittadinanza, specie al Sud, può essere soggetto a casi di voto di scambio, specie in territori ove c’è carenza di lavoro nel settore privato, e dove la politica intercetta i bisogni individuali e non collettivi delle persone. Allora, se non si prevedono meccanismi seri, con filtri seri, sì che ci potrebbe essere il clientelismo. E poi nel Sud, ove in molti territori la rappresentanza politica è più frammentata è facile che il rapporto di scambio avvenga. E poi, parlo da meridionale, molti nel Mezzogiorno hanno votato i Cinquestelle per la promessa del Reddito di Cittadinanza. Ciò non è voto di scambio, sicuramente non lo è, ma è chiaro che vi è una domanda politica che al Mezzogiorno, senza un progetto di politica industriale, rischia di essere una classica foglia di fico, o peggio una domanda politica di assistenzialismo, Tanto la politica nazionale per tacitare il Sud ha lasciato che i meridionali emigrassero o avessero degli aiuti al reddito, al Nord andava bene, perché questi soldi erano per consumi di aziende settentrionali. In parole povere lo schema di politica pubblica proposto è vecchio, vecchissimo.

  2. Claudio Martinelli

    Gli enti privati non avrebbero convenienza a prendere in carico i beneficiari del rei, in quanto si tratta generalmente di persone che non hanno alcuna speranza di ricollocazione. Inoltre mi risulta che le procedure attuali siano problematiche, gli utenti non ricevono i soldi. Gli operatori assunti per questi compiti dai Comuni con il finanziamento statale, appena ne hanno l’opportunita’ cambiano lavoro. Infine, gli operatori dei centri per l’impiego, anche i piu’ efficienti, occupano il 90% del tempo lavorativo a combattere contro un sistema informativo elefantiaco e inefficiente. La relazione di aiuto alla persona, e con i datori di lavoro, dovrebbe essere lo strumento piu’ importante per ricollocare le persone. Manca il tempo. Le nuove assunzioni saranno solo un tampone. Sulla condizionalita’ bisognerebbe fare un discorso a parte e mi dilungherei troppo. Fate ricerche empiriche qualitative, se potete. Intervistate gli operatori. I numeri non servono a nulla per capire i problemi e migliorare le politiche attive. Cordiali saluti

  3. mimmo

    Ma in questo modo restano esclusi coloro che non hanno avuto un lavoro, cioè i giovani

  4. Claudio Martinelli

    Racconto di un normale giorno di “politiche attive” presso un centro per l’impiego pubblico. Un signore di 56 anni, alcolizzato cronico, si presenta per acquisire lo stato di disoccupazione. E’ accompagnato da un operatrice del servizio sociale comunale “Unita’ di strada”, rivolto alle persone senza fissa dimora.Lo status di disoccupato gli occorre per richiedere l’esenzione ticket al servizio sanitario. Una volta acquisita la sua immediata dislonibilita’ al lavoro (did), l’operatore gli deve proporre un “patto di servizio” che preveda l’obbligo di adesione ad una “misura” di politica attiva. Il patto sancisce anche la clausola della “condizionalita”. Se il sistema informativo funziona, il colloquio si conclude con la stampa di un certificato di disoccupazione, da consegnare alla Ausl (il che, sarebbe vietato dalla legge, vedasi norme sull’autocertificazione). Si potrebbe continuare…ma sarebbe utile che i decisori politici e gli studiosi di politiche sociali e del lavoro svolgessero ricerche qualitative prima di fare le norme. Interviste, osservazione sul campo ecc.

  5. Condello Giuseppe

    L’articolo, molto utile e azzeccato per alcuni aspetti, però non affronta un reale problema. Scusate però, ma pensate che un sussidio alla povertà e al reinserimento lavorativo possa funzionare al Sud? Pensate che col reddito di cittadinanza formato cinquestelle, o col rei accoppiato all’adr si risolverà il problema al Mezzogiorno? A cosa servono Reddito Cittadinanza e potenziamento dei Centri per l’impiego se al Sud mancano la domanda di lavoro e delle imprese e gli investimenti per creare lavoro? Il vero problema è la politica industriale. Poi vengono gli altri due punti. Non mi sembra che questo governo si stia occupando di questa problematica.

    • Luigino

      Credo che il reddito di cittadinanza sia un piccolo aiuto per tirare a campare,certo é che Lí si vedrà se la persona vorrà mettersi in gioco ( parla un disoccupato senza dimora Torino)

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