Negli ultimi anni il mondo della televisione è cambiato profondamente con l’arrivo dei contenuti on demand. Per competere con i grandi attori di questo cambiamento occorrono alleanze e accordi internazionali, perché servono produzioni di grande qualità.
Il contesto
Qualche giorno fa il vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, nella sua veste di ministro dello Sviluppo economico con delega alle Comunicazioni, ha lanciato l’idea di una Netflix italiana per favorire l’innovazione e lo sviluppo dell’industria televisiva nazionale.
Credo che chiunque opera nel settore o si occupa di questi temi abbia avuto la stessa reazione: finalmente qualcuno si è accorto che il mondo (anche della televisione) è cambiato. Accompagnata, però, subito dopo da un’altra considerazione, meno positiva: peccato se ne sia accorto un po’ troppo tardi.
In un contesto che vede gli 86 miliardi di dollari della fusione AT&T e Time Warner, la News Corp di Rupert Murdoch nel mirino di Disney e Comcast su valori che tendono ad avvicinarsi sempre più a quella cifra, livelli di investimenti in contenuti e produzioni originali del valore di diversi miliardi l’anno da parte di soggetti come Amazon, Apple, la stessa Netflix e le grandi società di telecomunicazioni, parlare di campioni nazionali o di alleanze tra broadcaster locali è come chiedere di andare a combattere all’arma bianca contro un avversario che dispone di cannoni, aerei e carri armati.
Alla vigilia dell’ingresso di Netflix in Italia sottolineai come dal quel momento il mondo dell’audiovisivo e della tv, in Italia e nel resto del mondo, non sarebbe stato più lo stesso. Indipendentemente dal successo della sua sfida globale, che in un mondo come quello di Internet e dell’economia digitale non può mai essere dato per scontato, Netflix ha cambiato il paradigma consolidato con il quale per decenni la televisione, il cinema e l’immaginario audiovisivo sono stati finanziati, realizzati, distribuiti e consumati.
Netflix è stata la prima società a rompere l’equilibrio su cui si era retta per decenni l’industria audiovisiva e a capire che Internet, anche in questo ambito, avrebbe avuto un impatto distruttivo, come già avvenuto per le altre industrie dell’intrattenimento (musica, stampa, giochi).
Oggi a distanza di appena otto anni dalla decisione di passare dalla vendita di video cassette a domicilio alla vendita online, l’industria americana è radicalmente e strutturalmente cambiata. Sparito l’home-video fisico, stravolta l’industria della pay-tv sostituita ormai da quella del video streaming (video on demand), costretti a fondersi e a integrarsi i giganti dei media e delle telecomunicazioni per rispondere alla sfida posta da questa società piccola (in termini di fatturato), ma innovativa e visionaria come nessun’altra.
La rivoluzione on demand
Nel frattempo, Netflix e un’altra piattaforma online come Amazon (Prime) hanno iniziato a investire massicciamente in contenuti di qualità e dispongono di una base di utenti enorme, superiore per entrambe ai 100 milioni di clienti in tutto il mondo. Ciò consente loro di raccogliere un’enorme quantità di dati. Con i quali, possono prendere decisioni migliori e rendere gli utenti più felici. Attraverso analisi mirate, sfruttando big data e intelligenza artificiale, possono sapere quali contenuti i clienti vogliono guardare.
Questo fa sì che una nuova generazione (i millennials) – oltre a coloro che abbandonano la pay-tv (“cord cutter”) – ora scelga di guardare i contenuti on-demand, cominciando a tralasciare anche i servizi di tv tradizionale. Amazon, per esempio, sembra cercare di differenziarsi sempre più dal rivale, diventando una piattaforma di contenuti più generalista, indirizzandosi oltre che su serie e film, punto di forza e unica proposta di Netflix, anche sull’intrattenimento dei canali televisivi lineari e sullo sport (vedi Premier League inglese).
Oggi il fenomeno appare in dimensioni rilevanti (seppur poco note al grande pubblico in Italia) anche in Europa. Il video on demand è ormai diventato un fenomeno di massa e società come Netflix e Amazon stanno conquistando fette crescenti di pubblico, non più soltanto tra le nuove generazioni, come emerge anche dall’ultimo rapporto ITMedia Consulting Video on Demand in Europe: 2018-2021, appena pubblicato.
In generale, il 2017 ha visto la definitiva esplosione del Vod in Europa. Secondo ITMedia Consulting, nei prossimi quattro anni avrà ancora una crescita su base annua in doppia cifra, seppur distante dai picchi degli ultimi tempi, a eccezione di alcuni paesi europei, in particolare quelli del Sud, tra cui l’Italia. In questa zona il mercato è destinato a crescere sensibilmente, partendo da livelli decisamente inferiori a quelli del Nord Europa, dove ormai lo scenario è analogo a quello statunitense, con la sostanziale sostituzione del Vod alla pay tv.
La penetrazione complessiva dello Svod – subscription video on demand (modello Netflix) ha infatti raggiunto ormai il 43 per cento delle famiglie del Regno Unito, rispetto a una media di meno del 20 per cento nell’Europa del Centro-Sud. In Germania, Amazon e Netflix, detengono quasi il 75 per cento del mercato totale: Amazon ha il 39 per cento e Netflix il 35 per cento.
Per cercare di rispondere a questa sfida, anche in Europa e in Italia, si stanno sviluppando alleanze tra broadcaster, in chiave prevalentemente difensiva. Tuttavia, per competere, e non solo per allungare i tempi della trasformazione, occorrono accordi internazionali, che non necessariamente devono essere in opposizione a Netflix e soci. Si verificano fenomeni impensabili fino a poco tempo fa, prima cioè dell’ingresso di Netflix, con fusioni, acquisizioni e alleanze che stanno trasformando completamente il campo di gioco. Se l’Europa vuole prendere parte a pieno titolo alla partita, la dimensione degli attori e la qualità dei contenuti prodotti non può che essere dello stesso livello.
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Antonio Caruso
Domanda: Quanto contano i mancati investimenti delle aziende Italiane ed Europee sullo scenario da lei descritto? Quando conta la mancanza di cultura aziendale nello sviluppo delle risorse umane nel settore IT? L’incapacità di sviluppare piattaforme che semplicemente..funzionino e siano facili e belle da usare dal punto di vista dell’utente? Qualcuno ha mai confrontato le piattaforme di distribuzione video proposte da aziende europee con qualcosa come NetFlix?
Roberto
Quando passi da Netflix a Sky è come rivedere i videogiochi Atari degli anni 80!