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Quel trattato col Canada non è solo commerciale

L’accordo commerciale con il Canada è vantaggioso per le imprese italiane, specialmente quelle medio-piccole. L’ipotesi che il Parlamento possa non ratificarlo chiama in causa gli assetti istituzionali della UE e la necessità di maggiore integrazione.

La natura del Ceta

Il Ceta (Comprehensive economic and trade agreement) è l’ultimo, e probabilmente il più importante dal punto di vista economico, dei cosiddetti “accordi di nuova generazione” stipulati dall’Unione europea. Si tratta di accordi caratterizzati da un’agenda assai più ampia rispetto a quella tradizionale. Oltre a ridurre o eliminare le barriere tariffarie, si concentrano sempre più su questioni di tipo non tariffario, come i regolamenti, gli standard, le procedure, la concorrenza, la proprietà intellettuale al fine di conseguire quella che è stata definita l’integrazione (commerciale) ‘profonda’.

Come già sottolineato da Carlo Altomonte, il Ceta prevede, non solo l’eliminazione della maggioranza dei dazi canadesi, ma include rilevanti disposizioni di liberalizzazione e facilitazione di accesso al mercato di quel paese, con una significativa riduzione dei costi di commercio. Limitare il dibattito sull’accordo alla sola questione dei dazi (e della tutela dei prodotti agricoli e alimentari tipici), come si è fatto in questi ultimi giorni, appare quindi parziale.

Effetti sulle imprese italiane

Per capire meglio quali potrebbero essere i vantaggi derivanti dall’accordo per le imprese italiane, abbiamo esaminato i settori dell’export italiano che – in termini di valore, peso sul mercato di destinazione e grado di specializzazione commerciale – potrebbero trarne i maggiori benefici. Tra questi emergono: meccanica e elettronica; chimica; alimentare (l’aggregazione settoriale utilizzata è quella fornita dalla banca dati WITS-Comtrade). I primi due settori rappresentano oltre il 50 per cento del nostro export in Canada.

Per la sola meccanica ed elettronica, particolarmente rilevante per l’economia italiana, l’export italiano in Canada è pari al 28 per cento di quello totale. E tuttavia l’Italia non rientra tra i principali fornitori esteri dell’economia canadese: i primi dieci prodotti esportati detengono una quota di mercato media del 3,4 per cento, che scende sotto il 2 per cento se si considerano tutti i prodotti del settore. Esistono, quindi, ampi margini di miglioramento e opportunità di crescita per le nostre imprese.

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È inoltre importante sottolineare che l’accordo Ceta prevede altri aspetti rilevanti per le nostre imprese, in particolare la questione delle barriere non tariffarie. La principale difficoltà delle piccole e medie aziende italiane alla prova con mercati esteri lontani, non solo geograficamente ma anche dal punto di vista delle procedure e degli standard di certificazione, è rappresentata dalla presenza delle barriere non tariffarie, in cui si sostanzia la larga parte dei costi fissi all’internazionalizzazione. Il Ceta prevede di abolirne una buona parte, favorendo così una maggiore partecipazione in termini di numero delle piccole e medie imprese (il cosiddetto ampliamento del “margine estensivo” delle esportazioni).

Grafico 1

Segnali positivi emergono dall’incremento del numero di imprese esportatrici e dalla crescita media del fatturato, in particolare delle imprese two-way trader, quelle che importano ed esportano da e verso il Canada, nel periodo 2013-15.
Un recente studio mostra che proprio all’interno di questa tipologia, la crescita media del fatturato esportato in Canada (+13 per cento dal 2013 al 2015) sia stata trainata dalle aziende medio-piccole.
Appare quindi auspicabile che il Parlamento italiano approvi l’accordo Ceta.

Più integrazione nella UE

La possibilità che la ratifica non avvenga, però, solleva preoccupazioni più generali sull’assetto istituzionale dell’UE. La creazione di un’unione doganale richiede una gestione unitaria della politica commerciale e questo ha portato nei trattati costitutivi alla delega di competenze esclusive a livello comunitario. Tali competenze, però, non sono più sufficienti a coprire tutti gli ambiti degli accordi di nuova generazione e ciò è stato sancito dal riconoscimento del Ceta come “accordo misto”. La necessità di ottenere la ratifica da parte dei paesi membri rende questi accordi estremamente vulnerabili: ciascun governo nazionale, infatti, può avere la tentazione di utilizzarli per ottenere concessioni anche in ambiti diversi e crisi politiche congiunturali potrebbero vanificare anni di complessi negoziati.

Poiché sarebbe assai difficile negoziare con i partner commerciali tenendo separati i temi di esclusiva competenza dell’Ue da quelli di competenza condivisa con i paesi membri, anche in questo ambito, al pari di altri dossier aperti, sembra evidente che l’Europa abbia bisogno di una maggior integrazione. Se l’UE vuole svolgere un ruolo attivo nel garantire l’apertura dei mercati internazionali, è necessario che le competenze esclusive vengano ridefinite e ampliate in modo da renderle coerenti con i contenuti degli accordi di nuova generazione. Si tratta della ben nota “teoria della bicicletta”, per cui si cade se non si avanza, ma forse questo è proprio quanto si augurano i “sovranisti”.

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Il Punto

  1. Henri Schmit

    Sono d’accordo con l’analisi ma non mi convince la conclusione che segue troppo acriticamente gli schemi facili di decisione comunitaria (da definire). Non qualsiasi sovranismo è da biasimare. Da un paio di anni uno spirito diverso si sta affermando in Europa, più confederale che federale. Sono gli stati nazionali la struttura portante dell’UE, sono al loro interno che si sono sviluppate le democrazie, mentre l’UE è democratica più per merito della legittimazione democratica dei governi che non per merito del PE (evito di sviluppare). Da questo punto di vista il diritto di veto dei parlamenti nazionali sulle decisioni europee più importanti è una garanzia di democraticità, almeno per i paesi che sono in grado di garantirla al loro interno. Bisogna convincere l’opinione pubblica della bontà e dell’utilità del CETA, contraddire con argomenti coloro che lo negano invece di evitare il dibattito e l’eventuale censura della base democratica, anche se irrazionale, influenzata e ingannata. La colpa della decisione sbagliata del Brexit non è il referendum ma la campagna moscia e acritica per il si e quella bugiarda non adeguatamente combattuta per il no.

    • Henri Schmit

      Ribadendo il mio precedente commento (che difende il diritto di veto nazionale sugli “accordi di nuova generazione” che implicano un'”integrazione” normativa “profonda”), vorrei insistere di più sul primo punto, cioè l’analisi importante, convincente e meritevole dei primi due paragrafi dell’articolo, inclusi i due allegati (1=4: Focus – politiche commerciali e accordi di libero scambio) e (3: Gli accordi di libero scambio – un’opportunità per le imprese italiane), degli studi recentissimi sui vantaggi di questi accordi per l’economia italiana, e non solo. “Appare quindi auspicabile che il Parlamento italiano approvi l’accordo Ceta.” D’accordo, ma secondo la parte conclusiva dell’articolo i parlamenti nazionali non dovrebbero nemmeno discutere tali accordi. Li discutono a Bruxelles e a Strasburgo, e basta? Con chi dà ora il tono a Roma può sembrare auspicabile, ma i rapporti possono cambiare molto rapidamente. Teniamoci stretta quell’unica (potenzialmente) vera democrazia che abbiamo! Anzi, miglioriamola prima di creare l’illusione di un’altra, altrove!

  2. Pier Luigi

    Questi gli ostacoli che venivano abbattuti:
    1- l’accesso al mercato per i prodotti agricoli e industriali – Nessuna azienda sarà più obbligata a specificare la provenienza un determinato prodotto. Non saranno più riconosciuti “DOC”, “DOCG”, “IGP” e il “Made in Italy”.
    2- Appalti pubblici – Le lobby USA avranno libero accesso a tutti gli appalti pubblici indetti negli Stati membri dell’Unione Europea, distruggendo le PMI e danneggiando la qualita’ dei servizi.
    3- L’energia e le materie prime – L’ambiente sarà definitivamente sacrificato in nome del profitto. Non saranno più gli Stati ed i cittadini a decidere che tipo di energia adottare, ma le grandi corporation.
    4- Le materie regolamentari – Non vi saranno più divieti all’importazione di tutti quegli alimenti e additivi chimici tossici per la nostra salute: gli Usa, tramite il Canada, potranno importare in Europa OGM, carne agli ormoni ecc.
    5- Le misure sanitarie e fitosantarie – Saranno le multinazionali a decidere quanto vale la salute, quanto e come sperimentare un farmaco e quali malattie stanno per infettarci.
    6- I servizi – Tutti i servizi pubblici potranno essere messi in vendita e, quindi, privatizzati e snaturati.
    7- I diritti di proprietà intellettuale – Sarà consentito ad un colosso privato di denunciare un Governo per i mancati profitti derivanti da politiche sociali.
    8- Agricoltura – Italia e Canada sono grandi produttori di grano ma con il CETA il prezzo di quello canadese sarà più basso e quindi più competitivo di quello italiano. È un duro attacco al MADE IN ITALY!
    9- Economia – Le grandi multinazionali potranno permettersi economie di scala e costi di produzione più bassi a scapito di 20,3 milioni di PMI che non saranno più competitive. Sono a rischio 90 milioni di posti di lavoro.

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