La proposta franco-tedesca di bilancio per l’Eurozona ha molti limiti. È tuttavia un piccolo passo avanti, che per l’Italia sarebbe suicida lasciarsi sfuggire. Ma prima è necessario evitare la procedura di infrazione e rientrare nelle regole fiscali.
La proposta franco-tedesca e i suoi limiti
Dopo molti mesi di negoziati, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron hanno finalmente svelato il loro progetto sul bilancio dell’Eurozona.
Si tratta, in realtà, dello sviluppo di una parte della proposta avanzata già nel dicembre 2017 dalla Commissione, ripresa nella “dichiarazione di Meseberg” resa dai due leader nel giugno scorso. Il testo, assai scarno, rappresenta un evidente compromesso al ribasso tra le ambizioni “federaliste” di Macron e gli storici timori tedeschi nei confronti di qualsiasi bilancio comune a fini di stabilizzazione macroeconomica. Un problema che, dalle parti di Berlino, si è sempre pensato dovesse essere affrontato esclusivamente a livello nazionale, facendo i “compiti a casa”.
La proposta franco-tedesca viene esplicitamente presentata come uno dei vari strumenti volti a promuovere “la competitività, la convergenza e la stabilizzazione nell’area euro”.
Mettiamo subito in chiaro che la stabilizzazione macroeconomica non è il principale obiettivo del bilancio proposto. Continua, ingiustificabile, la sottovalutazione del problema che tanti danni ha prodotto negli anni della crisi. Lo stesso ministro delle Finanze tedesco Scholz si era espresso a favore di un fondo dell’Eurozona per finanziare uno schema di sussidi di disoccupazione comuni capace di soccorrere le risorse nazionali qualora la disoccupazione in un paese superasse la media degli anni precedenti di un valore predefinito. Nell’attuale proposta non c’è alcun riferimento a schemi del genere e, a dire la verità, sembra che il bilancio dell’Eurozona sia concepito come strumento multiscopo. Né alcun riferimento esplicito si fa a una parte discrezionale del bilancio che finanzi beni pubblici europei, come le infrastrutture, la difesa comune e le politiche per l’immigrazione. Una parte che aveva un ruolo preminente nel famoso discorso di Macron alla Sorbona (26 settembre 2017). Tra gli scopi, invece, figurano gli incentivi per la realizzazione di riforme dal lato dell’offerta, che con la stabilizzazione macroeconomica hanno una parentela piuttosto lontana. In ogni caso, un solo strumento con molteplici obiettivi implica la formazione di compromessi difficilmente risolvibili.
Unione europea o Eurozona?
Ma ci sono altre criticità. Il nuovo dispositivo dovrebbe far parte del bilancio europeo (cioè della Ue), sebbene basato sui “bisogni specifici dell’area euro” e composto da programmi di spesa esclusivamente diretti ai paesi dell’Eurozona, con esclusione di quelli appartenenti alla Ue, ma che non hanno adottato la moneta comune. Tutti i 27 paesi membri della Ue avrebbero diritto di voto sull’istituzione di un bilancio che riguarda solo l’Eurozona, mentre alla Commissione verrebbe riservato il compito di approvare i programmi di spesa e al Consiglio quello di decidere la dimensione del fondo. A beneficiare del bilancio dell’Eurozona sarebbero solo i paesi che rispettano “i loro impegni nel quadro del coordinamento europeo delle politiche economiche, incluse le regole fiscali”. Si tratta di una condizionalità che porterebbe a escludere automaticamente i paesi sotto procedura di infrazione per deficit o per debito eccessivo, come tra breve potrebbe essere l’Italia.
La dimensione del bilancio cui pensano Macron e Merkel non è nota, ma dall’insieme della proposta non sembra di intravedere una massa di risorse sufficiente a stabilizzare l’Eurozona in caso di nuove crisi che la Banca centrale europea non fosse in grado di neutralizzare. L’intero bilancio della Ue non supera oggi l’1 per cento del Pil dei 27 stati membri e una quota analoga di quello dell’Eurozona (2017) ammonterebbe a circa 111 miliardi di euro.
Il contesto istituzionale e la governance del bilancio Eurozona, secondo la proposta di Merkel e Macron, non sembra ottimale. Non è previsto un ministro delle Finanze dell’Eurozona e neanche un vicepresidente della Commissione dedicato a gestire il bilancio. E c’è da chiedersi perché – al di là di motivazioni giuridiche che sfuggono a chi scrive – l’istituzione di un bilancio esclusivamente dedicato all’Eurozona debba essere votato da tutti i 27 paesi della Ue; perché la sua consistenza debba essere decisa dal Consiglio Ue e non dall’Eurogruppo e perché le spese debbano essere approvate dalla Commissione. Era così anche nella proposta della Commissione del 2017. Ma mentre da quella fonte erano scelte comprensibili e, forse, obbligate, c’è da chiedersi perché i paesi dell’Eurozona non debbano prendere la strada della cooperazione rafforzata.
Una doppia opportunità
Nonostante le manchevolezze, pensiamo che per l’Italia sia importante sedersi al tavolo della trattativa sulla proposta franco-tedesca, per contribuire a migliorarla, certo, ma anche per rendere possibile un’approvazione il più possibile rapida. Quando arriverà la prossima recessione per tutti sarà sempre meglio avere uno strumento di stabilizzazione, seppure insufficiente, che nessun strumento. La sua dimensione e anche la sua governance potranno essere cambiate in corsa, se le condizioni lo richiederanno. Allo strumento bilancio se ne dovranno affiancare altri, lo sappiamo bene. Avere qualcosa di avviato e operativo sarà però un vantaggio notevole.
Per sedersi al tavolo, l’Italia deve dimostrare di essere un partner credibile e non un moltiplicatore di rischio, economico e politico, per l’Eurozona. Innanzitutto, deve soddisfare i requisiti per l’accesso al fondo e quindi mettersi nelle condizioni di non entrare nella procedura di infrazione per debito eccessivo che la proposta di legge di bilancio del governo ha costretto la Commissione ad avviare. Fallito il blitz sovranista, la “giustificazione” è che ”l’Europa sta cambiando”: grazie ai nuovi strumenti previsti, una revisione del bilancio per il prossimo triennio che contemperi rispetto delle regole europee ed esigenze di sostegno alla crescita e di tutela delle famiglie a reddito più basso è possibile. Quanto basta per non intestardirsi su misure di bandiera inefficaci e costose. In definitiva, la proposta franco-tedesca può essere una opportunità doppia per il nostro paese.
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Guido Gennaccari
Le banche italiane, per recuperare i costi patrimoniali dei btp, potrebbero aumentare le condizioni per i nuovi mutui; dall’altra parte c’è la concorrenza delle banche straniere che non hanno il medesimo problema (= migrazione clienti da banche italiane a straniere con muti più vantaggiosi) e la crisi immobiliare che non consente di deprimere ulteriormente la domanda con un’offerta di muti troppo onerosa. I mutui potranno salire ma limitatamente (tranne in caso di contagio verso banche estere), il problema centrale connesso allo spread è relativo alla solidità delle banche (stretta creditizia a imprese e privati, ricapitalizzazioni per evitare risoluzione/bail-in) e alle peggiorative condizioni di finanziamento del debito pubblico, il resto è propaganda politica. p.s.: Rispetto 2011 c’è già Bce (intervenuta a luglio 2012) e regolamento europeo contro speculazione su Cds, siamo più protetti rispetto 2011
Asterix
Riprendendo le tesi già indicate nella rivista German Foreign Policy, l’accordo è un compromesso al ribasso che non serve a nessuno. Dalle richieste iniziali di Macron di investire centinaia di mld di euro per sostenere l’eurozona ed evitare le fughe dall’euro si è passati a 20 mld di euro. Non sono stati affrontati i nodi della crisi dell’eurozona. Non si dice nulla sul tema del surplus della bilancia commerciale tedesca. I tedeschi non vogliono rinunciare al loro vantaggio competitivo, né ad aumentare la loro domanda interna per favorire le esportazioni degli altri Paesi. Gli aiuti ai paesi in crisi sono concessi solo a chi accetta l’accordo OMT, vale a dire rinuncia alla sua sovranità. Peraltro gli aiuti verranno concessi ai paesi che vedono aumentare nel futuro la loro disoccupazione rispetto alla media degli anni passati. Ciò favorirà la a Francia dove ora si sta sentendo solo recentemente lo squilibrio derivante dall’euro, mentre i Paesi del sud europea dove l’incremento della disoccupazione si è già registrato non avranno alcun beneficio (salvo ulteriore peggioramento che a quel punto, qualora avvenisse, porterebbe al probabile default). Peraltro sul progetto di bilancio decideranno anche i paesi dell’UE che non hanno aderito all’Euro. Non si comprende perché questi soggetti possono essere interessati a risolvere gli squilibri economici nati all’interno dell’eurozona, di cui non fanno parte. Siamo ai titoli finali, altro che rilancio..
Henri Schmit
Ma come? Volete insieme la sovranità (dei conti zoppi e truccati) e la solidarietà europea per i debiti nazionali? Al diavolo!
paolo bosi
Non trovo convincente la tesi di questo articolo: aderire comunque ad un processo di cui non è definita la dimensione, il cui disegno istituzionale è giudicato non ottimale e che esclude i paesi che faticano a rispettare i vincoli del fiscal compact. Mi stupisce che ciò sia sostenuto da autori che apprezzo molto e che hanno contribuito assai a chiarire che si è entrati nell’euro sostanzialmente al buio, nella speranza di aggiustamenti positivi, che invece sono mancati; che hanno argomentato in modo convincente come il disegno del PSC sia sbagliato e debba essere superato. Passi di questo genere – aderire a proposte con gravi limiti sulla base di spiragli futuri – è un film già visto, che non ha portato a istituzioni europee migliori. Non sottoscriverei mai una proposta che escluda dagli aiuti chi non soddisfi il fiscal compact. Nel mio futuro d’Europa, il fiscal compact dovrebbe essere radicalmente alleggerito, se non eliminato, sino a che il sistema dell’euro non sia in grado di dare una garanzia totale dei debiti sovrani. Accettare questa fumosa proposta, mi pare, andrebbe nella direzione sbagliata per chi, come me e gli autori, desideri restare nell’Unione europea e farla progredire.
Henri Schmit
Sono d’accordo con gli autori. Ma sono scettico. La proposta F-D è la riedizione annacquata dell’idea – troppo fumosa – lanciata da Macron nel suo discorso alla Sorbona e in sintonia con idee sostenute anche dal govern italiano nella precedente legislatura. Fu stoppata prima in attesa delle elezioni tedesche, poi dal partner liberale delle prime trattative per una coalizione di governo, radicalmente contrario. La cancelliera ora è poco credibile, ma il suo principale successore in pettore al guida del partito, Merz, sembra molto allineato alle posizioni francesi. Lo è anche la pupilla della cancelliera, quasi francese venendo dal Saarland. Ma penso che non abbiamo ancora visto un progetto definitivo che deve anche proteggere il nocciolo duro ed adempiente contro le mosse centrifughe dei populismi sempre più prepotenti.