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Quando lo stato fa cassa con gli immigrati

Un emendamento al decreto fiscale vorrebbe introdurre un prelievo dell’1,5 per cento sui trasferimenti verso i paesi extra-Ue. Per gli immigrati si tratterebbe di una nuova tassa, da sommare a quelle in vigore su permessi di soggiorno e naturalizzazioni.

La tassa sulle rimesse

Un emendamento al decreto fiscale (Dl 23.10.2018, n. 119, già approvato in Senato e in attesa del via libera alla Camera) prevede l’introduzione di una tassa dell’1,5 per cento sulle rimesse inviate verso i paesi extra-Ue. Naturalmente non si può parlare di tassa sugli immigrati, dato che non dipende dalla nazionalità di chi effettua l’operazione, ma sappiamo benissimo che il money transfer è lo strumento principale da loro utilizzato per sostenere le famiglie d’origine.

Se si considera che le rimesse verso l’estero negli ultimi anni si sono stabilizzate intorno ai 5 miliardi di euro e che circa l’80 per cento va verso paesi extra-Ue, si può stimare un gettito potenziale di poco più di 60 milioni. Spesa che si aggiungerebbe alle commissioni già pagate agli operatori, variabili a seconda dell’importo inviato e del paese di destinazione. Secondo la Banca Mondiale, il costo medio per l’invio delle rimesse dall’Italia è del 6,2 per cento, leggermente inferiore rispetto alla media mondiale (7,09 per cento).

Il costo medio dall’Italia è calato significativamente dal 2013, quando raggiungeva quota 7,28 per cento. Lo sforzo maggiore, però, è stato fatto dalla Francia, dove le commissioni superavano il 10 per cento fino al 2014 e oggi sono scese al di sotto del 7 per cento. In calo anche la Germania, che però rimane al di sopra della media. Sotto la media, invece, sono gli Stati Uniti.

Tabella 1 – Costo medio delle rimesse per paese di invio (valori %)

Fonte: elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Banca Mondiale

Siamo comunque ancora distanti dagli obiettivi stabiliti a livello internazionale: già durante il G8 del 2009 a L’Aquila si indicò il 5 per cento come traguardo relativo al costo medio delle transazioni. Intento poi ribadito durante i G20 di Cannes (2011) e Brisbane (2014). Mentre all’interno degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite è fissato l’obiettivo di ridurre i costi al 3 per cento entro il 2030.

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Se l’imposta entrasse in vigore, il contributo più consistente sarebbe dato dai cittadini del Bangladesh, con 8 milioni di euro. In totale, in Italia sono circa 130 mila, dunque sarebbe come chiedere a ciascun cittadino del Bangladesh (inclusi bambini e anziani) un contributo di circa 60 euro. Seguirebbero i cittadini di Filippine (4,9 milioni complessivi), Senegal (4,6 milioni), India (4,4 milioni), Sri Lanka (4,2) e Marocco (4,2).

La tassa italiana andrebbe dunque in direzione opposta rispetto agli impegni internazionali, basati sul principio che abbassare i costi aiuta a combattere l’utilizzo di canali di trasferimento informali o addirittura illegali.

Inoltre, appare contraddittorio che chi prima indicava “aiutiamoli a casa loro” come ricetta per risolvere la questione migratoria oggi proponga una tassa sugli aiuti che gli immigrati inviano alle famiglie, di fatto rendendo più difficili tali flussi e rischiando di alimentare canali informali o illegali.

Più in generale, l’approccio generale del governo si presta ad essere interpretato come ostile verso gli immigrati regolari: ne sono prova il decreto sicurezza (legge 1 dicembre 2018, n. 132), che si occupa quasi esclusivamente di immigrazione, o l’approvazione in Commissione bilancio alla Camera di un emendamento alla manovra che esclude gli extra-comunitari dall’accesso alla Carta della famiglia, lo strumento a sostegno dei nuclei con molti figli.

Il gettito fiscale complessivo

Quello sulle rimesse non sarebbe l’unico aumento a carico degli immigrati regolari. Il decreto Salvini, recentemente convertito in legge, ha aumentato il costo per la pratica di acquisizione di cittadinanza italiana da 200 a 250 euro (+25 per cento). A cui si aggiungono 16 euro di marca da bollo. La motivazione data per l’aumento è la volontà di incrementare gli investimenti in progetti di cooperazione con i paesi d’origine, ma non è chiaro perché siano solo gli immigrati a doverli finanziare.

Negli ultimi tempi le naturalizzazioni hanno raggiunto quota 200 mila all’anno: la modifica porterebbe così nelle casse dello Stato 50 milioni annui, 10 in più rispetto al passato.

Agli immigrati è poi richiesto un contributo per il rinnovo dei permessi di soggiorno. La sentenza n. 04487 del Consiglio di stato del 26 ottobre 2016 aveva annullato la tassa – allora di importo tra 80 e 200 euro a seconda del titolo richiesto – seguendo un’interpretazione già adottata dalla Corte di giustizia europea, che però è stata ripristinata nel 2017 tramite un decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze, sebbene con importi più bassi (da 40 a 100 euro). A questa cifra vanno sommati i quasi 80 euro tra marca da bollo, stampa e spedizione del documento. Con circa 1,5 milioni di permessi in scadenza ogni anno, possiamo calcolare almeno 200 milioni di euro di spesa annua.

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Tutti questi contributi si aggiungono naturalmente alle altre imposte “universali” (Irpef, Iva, accise e così via), per le quali gli immigrati contribuiscono con circa 7 miliardi l’anno.

Le tasse su permessi di soggiorno e naturalizzazioni sono costi a carico dei soli cittadini stranieri. E anche la nuova tassa sulle rimesse andrebbe di fatto a gravare quasi esclusivamente sugli extracomunitari, visto che si tratta di un canale utilizzato principalmente per inviare denaro alle famiglie di origine.

Sommando le tre voci, lo stato riceverebbe oltre 300 milioni di euro: una sorta di “patrimoniale” a carico degli immigrati. In altri termini, sarebbe come chiedere a ciascuno dei 4 milioni di residenti stranieri adulti un versamento di 75 euro. Sebbene in termini assoluti non siano cifre altissime, va ricordato che mediamente i lavoratori immigrati hanno redditi più bassi del 25 per cento rispetto agli italiani (1.029 euro netti al mese secondo la rilevazione Istat relativa al 2017), per cui l’impatto diventa comunque significativo.

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  1. Henri Schmit

    Una tassa sui bonifici verso i paesi extra-UE, l’esclusione di numerose famiglie immigrate da alcuni servizi sociali (cf. F. Cancellato su Linkiesta di oggi), il rifiuto di insegnare la lingua a coloro che non hanno titolo di soggiorno regolare (Morelli, Lega, oggi su Omnibus La7), l’eclusione degli immigrati non paganti dai servizi di mensa scolastica in alcuni comuni (misura difesa da numerosi esponenti leghisti), procedura di naturalizzazione che dura tre volte quanto in altri paesi (quattro/cinque anni per communitari, uno a due anni in Francia per coloro che vengono da paesi africani senza registri anagrafici e giudiziari affidabili). Ma rendetevi conto in che paese viviamo! I colpevoli non sono (solo) i protagonisti politici, ma tutti coloro che si voltano dall’altra parte.

    • gianni

      Ma cosa stai dicendo signor Schmit? Chi manda fuori dall’Italia soldi italiano non deve pagare le tasse? Ma sei fuori? Così tutti i miliardari che esportano capitali illeciti o illegali avrebbero via libera secondo questo pensatore progressista, un progresso dei ricchi bianchi e dei pezzenti neri, che bel pasticcio indigeribile!!!

      • Henri Schmit

        Non sono d’accordo, signor Gianni. Il paese deve agevolare il flusso internazionale dei capitali, nell’UE si è impegnato 60 anni fa a rispettare questa libertà, ma deve al contrario a proprio vantaggio convincere i capitali esteri di entrare in Italia, e una volta arrivati convincerli di rimanere. Stiamo parlando di altre proporzioni rispetto ai pochi risparmi trasferiti dagli immigrati extracomunitari nei loro paesi d’origine poverissimi. By the way, è un bene quando (capitali) stranieri comprano le aziende italiane. Il problema di cui i commentatori ignoranti non parlano è come convincere il venditore italiano a reinvestire il prodotto della vendita in Italia. Accade sempre più raramente. All’orizzonte c’è il giorno che gli stranieri semplicemente non comprano più perché l’Italia è troppo rischiosa, imprevedibile, troppo onerosa, è un po’ come gestire un’attività in un territorio insicuro, inquinato.

        • Maurizio Angelini

          Gianni, ma ti rendi conto che sui soldi guadagnati in Italia lo straniero ha già pagato le tasse? ( pensa alle badanti, ai muratori, ai fonditori, ai conciari,ai braccianti agricoli, ai macellai, ai camerieri, ai lavapiatti….).Ti basta?

  2. Federico Leva

    Una tassa dell’1,5 % difficilmente è giustificata dal gettito. Quali altre conseguenze avrà per lo stato? Forse un piú puntuale tracciamento delle attività dei singoli o una scusa giuridica per fare accertamenti, appostare guardie di finanza ecc. nei locali poco graditi?

  3. Marco

    Non è che per caso la norma nasconde qualcosa persino peggiore? Ovvero il tentativo di fermare la fuga di capitali dall’Italia, ad esempio verso la Svizzera?

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