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La cedolare secca entra nei negozi

La legge di bilancio estende ai negozi la cedolare secca. Si applica a quelli sfitti o con contratti che scadono nel 2019. Ma non è la soluzione giusta per aumentare il numero degli immobili locati. Più vantaggi si otterrebbero con lo sconto sull’Imu.

Una cedolare per botteghe e negozi

L’articolo 9 del disegno di legge sul bilancio statale 2019 e triennale 2019-2021 estende a negozi e botteghe (categoria catastale C/1) il regime della cedolare secca disciplinato dall’articolo 3 del decreto legislativo 23/2011 per le abitazioni affittate a canone di mercato. Gli obiettivi del nuovo spezzone di flat tax non risultano ben definiti dal governo e per analizzarli occorre riferirsi a quelli proposti dalle associazioni che ne rivendicano l’introduzione. Si può dubitare dell’efficacia della misura e vi è il rischio che la sua applicazione si traduca, alla fine, solo in una ulteriore erosione della base imponibile dell’Irpef.

Dopo l’approvazione della legge di bilancio, le persone fisiche proprietarie di quegli immobili, di superficie non superiore a 600 metri quadrati, potranno assoggettare i canoni di locazione percepiti a un’imposta con aliquota fissa ordinaria del 21 per cento.

La scelta tra cedolare secca e regime Irpef dovrà riguardare solo i nuovi contratti stipulati nel 2019 per immobili: a) i cui contratti di locazioni in essere che scadranno naturalmente il prossimo anno, oppure che siano scaduti dopo il 15 ottobre 2018, oppure siano stati interrotti anticipatamente dopo il 15 ottobre e siano affittati a locatari diversi dai precedenti; b) che risultano sfitti, anche a causa dell’interruzione anticipata di precedenti contratti avvenuta entro il 15 ottobre 2018. Il ventaglio ristretto delle destinazioni d’uso degli immobili ai quali la nuova norma si potrà applicare e la sua limitazione temporale hanno deluso le associazioni di categoria che la rivendicavano.

Il numero degli immobili interessati e gli effetti finanziari

La platea dei potenziali beneficiari è relativamente ristretta. Gli immobili locati classificati nella categoria catastale C/1 di proprietà delle persone fisiche erano poco più di 800 mila al 31 dicembre 2014, ultimo anno per il quale si dispone del dato. Nelle precedenti rilevazioni relative al 2010 e 2012, il loro numero era dello stesso ordine di grandezza e si può ritenere che sia rimasto tale anche dopo il 2014. I contratti di locazione commerciale hanno una durata minima di 6 anni, con rinnovo tacito e automatico di altri 6 se non c’è la disdetta. Il numero di contratti di locazione (ipotizzato uguale al numero degli immobili) che nel 2019 arriveranno a scadenza naturale potrà oscillare tra un sesto e un dodicesimo del loro intero stock, cioè tra 130 mila e 70 mila, la cui media è circa 100 mila. Quest’ultimo può rappresentare anche il numero di contratti che potrà essere rinnovato applicando la cedolare secca. Vi si può aggiungere quella quota, non quantificabile a priori, dei circa 90 mila immobili classificati a disposizione, che i loro proprietari potrebbero offrire in locazione stimolati dalla possibilità di applicare la cedolare secca.

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La relazione tecnica al disegno di legge stima che il rinnovo con la flat tax di tutti i contratti che scadranno nel 2019 comporterà una perdita di gettito di 163,4 milioni di euro per ognuno degli anni fiscali dal 2021 al 2024, in media 1.634 euro all’anno per immobile, e di 980 milioni di euro per l’intero periodo in cui produrrà i suoi effetti finanziari.

I costi per l’erario potrebbero ridursi se la cedolare invogliasse i proprietari a dichiarare al fisco i loro redditi da locazione finora evasi o contribuisse “ad attenuare la piaga dei locali vuoti, favorendo l’avvio di nuove attività economiche e scongiurando il dilagare di situazioni di degrado”, che sono gli obiettivi che la norma dovrebbe perseguire.

Quale sconto fiscale

La riduzione della tassazione può contribuire a far diminuire il numero di immobili già sfitti ed evitare che ne resti vuota una parte di quelli i cui contratti scadranno il prossimo anno a patto che: 1) la cessazione di un certo numero di attività sia imputabile esclusivamente all’elevato livello raggiunto dai canoni negli anni passati; 2) per ridurre il peso dei canoni i proprietari degli immobili siano disposti a trasferire sui locatari l’intero beneficio fiscale.

Sul primo punto non si può ignorare che la principale causa che spinge fuori mercato i piccoli e medi esercizi è la diffusione della grande distribuzione e del commercio elettronico. Con quest’avvertenza, possiamo ritenere plausibile il secondo punto e ipotizzare che una riduzione del canone possa spingere un negoziante ad affittare un immobile che altrimenti non avrebbe preso.
Ma se l’obiettivo è questo, si può dubitare che la flat tax sia lo strumento migliore per arrivarci.
Il risparmio d’imposta che si ottiene optando per la cedolare secca cresce con l’aliquota marginale Irpef del locatore. Di conseguenza, a parità di ricavi netti, i proprietari più ricchi possono praticare sconti sugli affitti più alti di quelli consentiti ai proprietari più poveri. A farne le spese sarebbero i locatari che prendono in affitto i locali da questi ultimi.

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La disparità di trattamento potrebbe essere eliminata se lo sconto fiscale, anziché sulla tassazione del reddito, fosse applicato sulle imposte patrimoniali degli immobili, cioè su Imu-Tasi. Naturalmente lo stato dovrebbe compensare i comuni del mancato gettito, come ha già fatto per l’abolizione di queste imposte su alcune categorie di immobili. In questo caso, immobili con le stesse caratteristiche potrebbero essere affittati allo stesso canone scontato e lo stato darebbe a tutti i locatari un aiuto dello stesso importo. Potrebbe diventare una forma di sostegno ai piccoli commercianti, soprattutto se protratta nel tempo. Ma è più probabile che l’applicazione della cedolare secca servirà ad alleggerire la pressione fiscale dei fortunati proprietari di negozi e botteghe i cui contratti di locazione scadranno nel 2019. Su questo gli interessi dei proprietari degli immobili e del governo possono convergere: il 2019 è anche un anno elettorale.

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Come incassare le inadempienze probabili

  1. Non è altro che l’ultima disposizione asistematica del fisco domestico. Dopo avere introdotto “tasse piatte” per molte categorie di reddito (capitale, fondiari, ecc..), ora si punta su fattispecie specifiche.
    Così operando – come segnalato chiaramente nell’articolo – si contribuisce ulteriormente a creare disparità inaccettabili. E’ evidente che legiferare senza una prospettiva chiara del sistema-Paese e con una reale attenzione ai fattori determinanti la produzione/crescita (lavoro), non si può che essere pessimisti per le sorti dell’Italia. E pensare che ad ogni cambio di governo, si annunciano nuovi “TESTI UNICI”, che puntualmente non vedono mai la luce.

    • Carlo

      Analisi impeccabile, purtroppo il diavolo sta nei dettagli: la frase che proprietari più ricchi possono praticare sconti più alti di quelli consentiti ai proprietari più poveri è leggermente imprecisa perché non considera il possesso di altri redditi.
      Infatti il meccanismo della cedolare è diabolico nei confronti dei dipendenti e pensionati: anche se la detrazione per lavoro dipendente assolve alla funzione di garantire in via forfetaria il principio della deducibilità dei costi sostenuti per produrre il reddito, tuttavia la presenza di redditi da assoggettare a cedolare secca comporta la riduzione della detrazione per lavoro dipendente che scompare quando la somma dei redditi di lavoro dipendente e cedolare secca supera euro 55.000.
      Pertanto il vantaggio per i dipendenti ed i pensionati del primo e secondo scaglione IRPEF è praticamente insignificante.

  2. Andrea Locci

    La montagna ha partorito un topolino. La misura è a dir poco iniqua e, a mio modesto avviso incostituzionale, considerato che impone un metodo di tassazione differente per fattispecie identiche. Chi ha osservato le disposizioni di legge e “regolarmente registrato” il contratto di locazione, DEVE continuare a pagare le tasse sul canone percepito in base all’aliquota irpef, mentre, chi ad oggi ha preferito tenere il locale sfitto o, peggio ancora, non ha mai registrato il contratto e incassato il canone in “nero”, ha la possibilità di “regolarizzare” la propria posizione, con buona pace degli onesti che rispettano le norme. In ogni caso gli effetti della misura saranno residuali e, con buona probabilità provocheranno: ” risoluzioni contrattuali anticipate e modifica formale delle parti contraenti al fine di concludere contratti -nuovi- solo nella forma per beneficiare dell’opzione”. Uno singolare interpretazione del concetto di “equità”, che punisce gli onesti e premia i furbi. Oggi, in concreto, chi percepisce un canone di locazione da contratto “registrato”, versa 2/3 dell’importo percepito al fisco a titolo di Irpef, Imu e Tasi. Tale affermazione si basa su fattiscpecie REALE e se richiesto, sono pronto a fornire ai redattori della presente rivista, i riferimenti numerici del caso specifico. Sarebbe interessante pubblicare quanto dovuto da “Tizio”, con o senza l’opzione cedolare secca.

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