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Come incassare le inadempienze probabili

Se le inadempienze probabili sono la nuova sfida per le banche, la soluzione è trasformarle in crediti che il debitore possa pagare. Per ottenere il risultato gli istituti devono però dotarsi di personale specializzato. O affidarsi a consulenti esterni.

I dati sui crediti deteriorati

In un recente articolo abbiamo visto che quello delle inadempienze probabili è il nuovo fronte del rischio per le banche italiane. Dopo il significativo impegno degli ultimi due-tre anni per ridurre le sofferenze, sarà necessario ora profondere un nuovo sforzo per valorizzare lo stock di inadempienze probabili – prima categoria di non performing loans in termini netti – per migliorare redditività e qualità del credito. Il lavoro sarà più complesso di quanto sin qui fatto perché cedere le posizioni a investitori terzi potrebbe non esser la strategia migliore, visti anche i tassi di copertura ben più bassi rispetto alle sofferenze (37,7 per cento contro 67,7 per cento nel giugno 2018 secondo Banca d’Italia) e i conseguenti risvolti patrimoniali.

Le più recenti analisi diffuse dall’Abi confermano un cauto ottimismo sulle sofferenze, alla luce del posizionamento del tasso di deterioramento – ovvero la quota di crediti che da bonis diventa deteriorata – in linea con i livelli pre-crisi.

Figura 1 – Tasso di deterioramento dal 2006 a oggi

Fonte: Outlook ABI-Cerved sulle sofferenze delle imprese (dicembre 2018 – N. 6)

I dati sui nuovi flussi sono da leggersi congiuntamente al lavoro di smaltimento effettuato sugli stock di Npl illustrato nel precedente contributo. I risultati (positivi) sono la sintesi di più aspetti: innanzitutto le cessioni di portafogli Npl, ma anche la reingegnerizzazione della catena del valore del credito. Sul primo aspetto, le cessioni sono aumentate costantemente e il trend prosegue: secondo stime Banca d’Italia, nei primi sei mesi del 2018 hanno toccato i 20 miliardi (42 miliardi nel 2017) e, nella seconda parte dell’anno, dovrebbero sfiorare i 20 miliardi. Sul secondo aspetto, vi è stato un generale rafforzamento di regole e vincoli sottostanti il processo del credito affinché le banche facciano una maggiore (e migliore) selezione dei clienti in sede di affidamento e monitoraggio creditizio (i dati Abi mostrano la bontà del lavoro svolto negli anni scorsi). In aggiunta, si è andati avanti a standardizzare il processo di recupero, interno o con servicer esterni, focalizzandosi sulle sofferenze in modo da ottenere, nella pulizia dei bilanci, risultati tangibili in tempi relativamente brevi, vista anche la forte pressione in tal senso della vigilanza (Banca centrale europea in primo luogo).

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Come gestire le inadempienze probabili

Le inadempienze probabili sono crediti verso realtà vive – benché in difficoltà, leggera o grave – e, pertanto, possono migliorare e tornare in bonis oppure peggiorare e andare fra le sofferenze. Di conseguenza, la gestione deve essere orientata a creare i presupposti per il ritorno di quei crediti in bilico nella categoria degli adempienti (performing): è l’obiettivo tanto della banca (per non avere una nuova sofferenza a bilancio) quanto del debitore (per ripristinare una normale operatività/redditività e restituire il finanziamento).

Per raggiungere la valorizzazione, nella gran parte dei casi si passa da una ristrutturazione del credito – intesa nell’accezione più ampia, che va da un semplice riscadenziamento sino agli istituti della legge fallimentare – in modo da accompagnare il debitore nel momento di difficoltà, concedendo misure finanziarie specifiche (forbearance measure nelle definizioni Eba). Tuttavia, troppo spesso i processi di ristrutturazione perseguiti hanno avuto limitata efficacia: secondo Banca d’Italia, dopo quattro anni dalla ristrutturazione solo il 10,4 per cento dei crediti rientra in equilibrio, mentre oltre il 63 per cento permane in una ristrutturazione (quella originaria o un’altra) e il 22,5 per cento si risolve in liquidazione o fallimento. Occorrerà affiancare agli approcci e alle logiche sin qui adottate – cessione di portafogli Npl o mera escussione delle garanzie – meccanismi virtuosi e proattivi di gestione delle inadempienze probabili per provare a riportarle in bonis.

Figura 2 – Evoluzione dopo 4 anni delle ristrutturazioni avviate nel biennio 2009-2010

Fonte: Elaborazione propria su dati Banca d’Italia

Emerge dunque la necessità di dedicare alla gestione delle inadempienze probabili professionalità specialistiche e in parte nuove. Per gestire una classe di asset a così elevata complessità intrinseca occorre un mix di competenze molto peculiare: competenze generiche (soft skill) per gestire i debitori e i soggetti a vario titolo coinvolti nei processi di ristrutturazione (si pensi ai piani concordatari dell’art. 161 legge finanziaria) e competenze tecniche (technical skill) tanto nelle ristrutturazioni aziendali (corporate restructuring) quanto nel recupero crediti in senso stretto. La ristrutturazione aziendale si sostanzia, tra i vari ambiti, nell’analizzare le cause della crisi aziendale e nel supportare la predisposizione (e il conseguente monitoraggio) di un credibile percorso di risanamento che, associato alla concessione di misure finanziarie specifiche, possa condurre al ritorno in bonis. Pur con vincoli sempre più stringenti sulla gestione dei rischi e sul capitale, le banche italiane avranno la lungimiranza e la capacità di andare in questa direzione?

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A quali condizioni?

Avere professionalità adeguate è una condizione necessaria ma non sufficiente: occorre creare un modello operativo focalizzato sui debitori con gruppi di lavoro ultra-specializzati per settori merceologici (si pensi alle differenze fra crediti con sottostanti progetti immobiliari rispetto a esposizioni verso aziende manifatturiere o di servizi) o per tipologie di ristrutturazione. Rafforzare i processi organizzativi, le procedure di tecnologia dell’informazione e le competenze dedicate è l’unica strada per poter intervenire sulle controparti in modo efficace ed efficiente al fine di ripristinarne (o salvaguardarne) la continuità aziendale e di normalizzarne la posizione finanziaria. L’alternativa è continuare con gli approcci sin qui seguiti che hanno comportato la scarsa incisività fotografata nei dati, con probabile successivo passaggio a sofferenza e relativa distruzione di valore. Il problema è che neanche la condizione necessaria è sempre soddisfatta nelle banche italiane, che dovrebbero quindi rivedere rapidamente il mix professionale dei loro dipendenti o fare affidamento su consulenti esterni. La prima via appare difficilmente percorribile da parte di banche di piccole dimensioni, per le quali la costituzione di task force dedicate può avere costi unitari troppo elevati. La seconda via può essere difficilmente digeribile per banche fortemente auto-referenziali.

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Fattura elettronica: rivoluzione o flop annunciato?

  1. Henri Schmit

    Questo articolo va dritto al nodo del problema, ma omette un fattore, ritenuto forse “indipendente”, non influenzabile, secondo me invece decisivo e da riformare prima di tutto: la normativa e la prassi giudiziaria delle operazioni su crediti difficili, morosi, incagliati, che rischiano di finire in sofferenze e in fallimento del debitore. I confronti internazionali servono per capire come si può migliorare, ma gli strumenti degli altri paesi non sono transferibili in Italia dove vigono leggi e procedure diverse, più complesse, meno efficienti, che fanno vivere un fetta enorme di “professionisti” inutili o quantomeno inadatti in un sistema più efficiente. Chi non si occupa di questo aspetto fa solo durare i vecchi vizi utilizzando nuove formule importate che non funzionano nello stesso modo in contatto con la realtà regolamentare e giudiziaria italiana. Non bastano formule importate, serve un riordino razionale profondo delle formule domestiche; una rivoluzione, che presuppone analisi, teoria, volontà e coraggio politico. Chi si occupa di questo? Un ministero? Le università? Quali?

  2. Luciano Pontiroli

    Forse si dovrebbe anche fare una riflessione sulla qualità del personale e sulla possibilità di attrarre personale qualificato per tali compiti. Ho l’impressione che manchi una politica dedicata ad affrontarli, le banche negli anni passati hanno preferito “esternalizzare” la gestione delle sofferenze, privandosi di personale esperto, oggi potrebbero semplicemente non disporre più di soggetti capaci.

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