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Mi istruisco. E poi emigro*

Investire per migliorare l’istruzione in Italia è senz’altro una priorità. Ma gli individui più istruiti sono anche quelli che con più facilità migrano dalle aree meno sviluppate, riducendo i benefici dell’investimento in capitale umano in quei territori.

Capitale umano nelle aree meno sviluppate

Nel dibattito di politica economica, il tema dell’istruzione e del capitale umano ricopre da tempo un ruolo centrale. Non è un caso, dato il forte ritardo italiano nel confronto internazionale. L’implicazione immediata è che occorra investire in istruzione più e meglio di quanto non si faccia attualmente.

Si fa fatica a non essere d’accordo. Tuttavia, è utile aggiungere al dibattito un tassello nuovo, al quale non sempre si presta sufficiente attenzione: se individui più istruiti tendono a migrare di più dai territori meno sviluppati, allora l’aumento dell’istruzione a livello nazionale può avere effetti asimmetrici sulla demografia e sullo stock di capitale umano in diverse aree del paese. È un meccanismo di aggiustamento spontaneo, certo, che va però tenuto in considerazione nella valutazione complessiva delle politiche, specie in un paese come il nostro notoriamente caratterizzato da ampi e persistenti differenze regionali di sviluppo economico. Ma quanto vale questo effetto?

In un nostro recente lavoro abbiamo provato a rispondere studiando le differenze territoriali degli effetti dell’aumento dell’obbligo scolastico introdotto nel 1963: la riforma ha portato il numero minimo di anni di scuola da 5 a 8, accompagnandolo con l’introduzione della cosiddetta scuola media unica.

Ci siamo concentrati sull’effetto dell’aumento dell’istruzione sulle scelte individuali di migrazione interna. Se l’aumento dell’istruzione ha determinato un incremento delle migrazioni dal Sud verso il Nord, senza che nel contempo il flusso opposto sia aumentato, allora la politica ha sì accresciuto lo stock di capitale umano del paese, ma lo ha fatto in misura maggiore nelle aree già più sviluppate.

L’effetto della scuola media unica

I dati tratti da diverse rilevazioni dell’Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia permettono di osservare diverse coorti di individui, migranti e non, interessati o meno dalla riforma. Per tenere conto del fatto che eventuali correlazioni tra istruzione e migrazione interna potrebbero dipendere anche da variabili non osservate (per esempio, il decollo economico del Nord in quegli anni) o dall’effetto opposto (la prospettiva migratoria induce ad accrescere l’istruzione: si veda per esempio qui) abbiamo utilizzato una tecnica econometrica di stima che sfrutta l’obbligatorietà dell’aumento degli anni di istruzione legata alla riforma (stima in “variabili strumentali”).

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I dati mostrano che, in effetti, la riforma ha indotto gli individui ad accrescere la propria istruzione. D’altro canto, la probabilità di emigrare cresce con l’istruzione (nella figura 1 rappresentiamo il tasso di migrazione Sud-Nord medio, corretto per diverse altre determinati quali l’età e il genere, al variare dei quartili di istruzione). Più precisamente, le nostre stime indicano che al crescere di un anno di istruzione la probabilità di migrare dal Mezzogiorno al Centro-Nord aumenta di 1,7 punti percentuali, il 9 per cento del tasso di migrazione medio, senza che ci siano flussi migratori in direzione opposta. In altri termini, se la riforma del 1963 non avesse generato migrazioni addizionali, lo stock di capitale umano al Sud oggi sarebbe più alto dell’1,2 per cento: per dare l’idea, come aver perso circa 4.500 laureati dagli anni Sessanta a oggi.

Figura 1– Tasso di migrazione per quartile di istruzione

Fonte: Nostre elaborazioni su dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie, vari anni.

Che lezioni trarre? Primo: in generale gli effetti di qualsiasi politica che ha come obiettivo un fattore della produzione mobile, come il lavoro, vanno valutati anche tenendo conto degli aggiustamenti geografici collegati alle migrazioni. Secondo: investire in capitale umano in Italia è senz’altro doveroso e prioritario (a maggior ragione nel Mezzogiorno) ma per coloro che lo accumulano i rendimenti dell’istruzione sono più elevati nelle aree più ricche; per cui vado sì a scuola, ma poi emigro. Un corollario immediato è che per limitare tale effetto collaterale è necessario accrescere il rendimento dell’istruzione nel Mezzogiorno, dove è storicamente più difficile creare poli di attrazione di capitale umano (si veda qui), attraverso il rafforzamento della parte del suo sistema produttivo che valorizza adeguatamente i più istruiti.

* Banca d’Italia. Le opinioni espresse sono quelle degli autori e non coinvolgono l’Istituto di appartenenza.

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Il Punto

  1. Henri Schmit

    Ottimo articolo! Penso solo che non è necessariamente una buona idea mescolare o collegare le questioni dello squilibrio geografico con quelle dello sviluppo del capitale umano. Meglio trattarle e risolverle separatamente. Quando vedo che Huawei ovunque si sta mangiando le reti fisse a meno che i governi la mettono più o meno arbitrariamente al bando, mi viene a pensare che bisognerebbe pianificare su più anni dei corsi PUBBLICI MASSICCI GRATUITI di informatica differenziati per tutti i livelli di istruzione e dei piani di ricerca per ingegneri e tecnici informatici in modo da colmare il gap nel campo delle tecnologie più avanzate. L’economia del paese ne trarrebbe grande beneficio in tutti i settori. La Francia e la Germania (meno arretrate, basta guardare i siti della PA) copierebbero l’idea. Prenderei i soldi abolendo il RdC per gli under 45, la quota 100 e reintroducendo l’imu 1a casa.

  2. Max

    Studio interessante, che sicuramente leggerò. Intervengo per contribuire al dibattito. Dal titolo “gli individui più istruiti sono anche quelli che con più facilità migrano dalle aree meno sviluppate, riducendo i benefici dell’investimento in capitale umano in quei territori.” Ma questa affermazione è basata sull’ipotesi di piena occupazione (o di disoccupazione al Sud comparabile a quella al Nord)? Ovvero valutate i benefici per il Sud nel caso in cui tutti gli individui istruiti al Sud trovino anche lavoro al Sud? Altrimenti mi viene da pensare che la possibilità di emigrare al Nord possa produrre dei benefici al Sud superiori rispetto al caso in cui questa possibilità venga negata: 1) meno disoccupazione al Sud; 2) potenziali rimesse dei lavoratori emigrati al Nord alle loro famiglie al Sud (e riduzione della povertà); 3) per l’istruzione superiore a quella obbligatoria (non considerata nel vostro studio), la possibilità di emigrare ed i più elevati redditi futuri attesi nel caso di investimento in istruzione, non potrebbero indurre più individui al Sud ad istruirsi? Tutti questi effetti sono effetti positivi, sicuramente per il Paese nel suo complesso e in larga parte anche per il Sud. Il bilancio per il Sud non potrebbe essere più positivo rispetto al caso in cui l’emigrazione non sia possibile? (faccio una provocazione: ovvero rispetto ad una situazione del “(non) aiutiamoli a casa loro”).

  3. Motta Enrico

    Investire in capitale umano è senz’altro di importanza cruciale, ma secondo me deve essere fatto in modo selettivo. Esempio: mancheranno nel futuro anche prossimo medici generali e specialisti; bisogna quindi aumentare il numero degli iscritti alla facoltà e alle scuole di specializzazione di Medicina e Chir., senza abolire il numero chiuso. Non credo sia utile invece aumentare i laureati e i diplomati in ogni settore; alcuni sono decisamente saturi, in altri siamo carenti. P.S.: grazie per avere usato il termine istruzione invece dell’ anglismo “educazione”, dato che educazione e istruzione hanno significato diverso in Italiano. Già che siamo sull’argomento: investirei anche nello studio di quelle due lingue bellissime e per noi molto utili che sono l’Italiano e l’Inglese.

  4. Pier Roberto Dal Monte

    E vero che l’emigrazione meridionale ha la sua base di rifornimento nei soggetti a maggiore scolarità ma per lo più, nella fattispecie riportata, si tratta di una scolarità a basso livello che permette all’emigrato anche un corrispettivo economico professionale di bassa valore, il che riduce comunque la scolarizzazione generale del paese; ma ancora più grave è l’emigrazione dell’alta scolarità sino alla laurea ed il non ritorno dei laureati meridionale nelle Università del Centro-nord. che ha la più seria emigrazione per lo stabilirsi nelle aree nazionali e internazionali lontane, appunto il non ritorno. Ma se questi sono gli effetti le cause sono la mancanza di una progettualità produttiva probabilmente differenziata sulle realtà locali e non solo su agricoltura e turismo ma anche tecnico-informatiche, di IA,. ambientali e climatiche: Utilizzando le non proprio scarse intelligenze autoctone e la posizione topografica: Comunque ottimo realistico studio..

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