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Se il reddito di cittadinanza assomiglia a un Rei velocizzato

Con il reddito di cittadinanza sicuramente diminuirà la povertà economica, perché le risorse impegnate sono ingenti. Dalla misura rischiano però di essere esclusi gruppi sociali in condizioni spesso difficili, come famiglie numerose o extracomunitari.

Cos’è oggi il reddito di cittadinanza

Assieme a quota 100, il reddito di cittadinanza è la misura più simbolica dell’azione di politica economica del governo. La crisi iniziata nel 2008 ha prodotto in pochi anni un forte allargamento dell’area della povertà, rendendo molto popolare la scelta di aumentare la spesa pubblica per scopi assistenziali.

I governi di centrosinistra, concentrati sull’obiettivo di far ripartire il mercato del lavoro, avevano fornito una risposta – importante ma parziale – con l’introduzione del reddito di inclusione, che è diventato universale, cioè disponibile a tutti i poveri indipendentemente dalle loro caratteristiche demografiche, solo nella seconda metà del 2018. Il Rei aveva un importo basso, che con molta probabilità sarebbe cresciuto nel tempo. C’era quindi bisogno di rafforzare le politiche di contrasto della povertà.

Il reddito di cittadinanza ha avuto una storia molto particolare e piuttosto contorta, soprattutto per quanto riguarda il suo rapporto con il lavoro. Proposto inizialmente da Beppe Grillo come alternativo all’impiego in un’epoca in cui lavorare diventerà sempre più difficile a causa della rivoluzione tecnologica, è stato poi trasformato in una misura che deve aiutare il disoccupato a sostenersi mentre non ha un lavoro e a trovarne velocemente un altro. Da qui l’insistenza sui condizionamenti anti “divano” e l’enfasi sui centri per l’impiego.

Poi, ulteriore svolta, il governo ha riconosciuto che la povertà non riguarda solo giovani temporaneamente disoccupati, ma che spesso i poveri hanno molti problemi di vario tipo e non sono facilmente occupabili. Con qualche decennio di ritardo rispetto al dibattito non solo nazionale, ha scoperto insomma che la povertà è un fenomeno multidimensionale. Nella semplificata visione iniziale, la povertà era invece considerata come un fenomeno transitorio dovuto alla incapacità di trovare un’occupazione per problemi di comunicazione tra imprese e disoccupati. I centri per l’impiego avrebbero aiutato il disoccupato a trovare un posto adeguato, e fine dei problemi. Ora sembra che solo una minoranza dei beneficiari della misura si dovrà rivolgere ai centri per l’impiego, mentre per gli altri il riferimento sarà ancora rappresentato, come per il Rei, dai servizi sociali comunali.

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Gli esclusi

Restano due grandi problemi nel rapporto tra reddito di cittadinanza e lavoro. Il primo è che i posti vacanti sono pochi, soprattutto nelle zone in cui i beneficiari del provvedimento sono più numerosi. E senza crescita economica continueranno a essere pochi. Il secondo è che il disegno del trasferimento monetario è alternativo al lavoro: se una persona inizia a svolgere un’occupazione poco pagata, le alte aliquote marginali effettive fanno sì che il reddito di cittadinanza diminuisca molto rapidamente. La misura quindi offre un incentivo a non accettare posti precari, occasionali, a tempo parziale. Proprio quelle occupazioni che si stanno diffondendo in questi anni e che potrebbero segnare comunque una svolta nella vita di molte persone fragili.

La povertà economica sicuramente diminuirà perché le risorse impiegate sono molto consistenti. Il disegno della misura però rischia di escludere alcuni gruppi sociali in condizioni spesso critiche, in particolare le famiglie molto numerose e gli extracomunitari di recente immigrazione.

Con l’esistenza di un doppio binario che i beneficiari possono seguire (centri per l’impiego o servizi sociali), il reddito di cittadinanza sta diventando quello che anche il Rei sarebbe forse diventato, solo che lo sta facendo in pochi mesi invece che in alcuni anni. Per alcuni, la rapidità è un punto di forza della misura, per altri presenta rischi, soprattutto quelli di favorire il sommerso e di spingere alcuni dei beneficiari in una trappola della povertà.

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11 commenti

  1. Asterix

    Dott. Baldini questo è l’ennesimo articolo che Lei scrive sul Rdc, sempre critico, senza mai riuscire a comprendere lo strumento. Peraltro, ormai, non nasconde neanche più le sue simpatie politiche. Solo così si spiega un economista che sostiene che il REI era una buona risposta alla povertà. L’efficacia di una misura si valuta sulla capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati. 187 euro al mese, 6 euro al giorno non cambia lo stato di povertà del beneficiario era solo un colossale spreco di risorse pubbliche. Sarebbe stato preferibile dare le risorse direttamente agli enti che erogano servizi ai poveri (comuni, chiesa,ecc.). Il Rei era solo un trucco elettorale, anche mal congegnato. Il RDC costituisce una INTEGRAZIONE delle prestazioni sociali per giungere alla soglia di autosufficienza (vero obiettivo di una misura di contrasto della povertà). Esiste in tutti gli altri Stati europei (tranne in Grecia), ma non ho mai visto fare un serio confronto tra il nostro modello e quelli esteri. Forse perché avrebbe dimostrato che abbiamo introdotto una versione ridotta meno generosa? Sulla possibilità che la misura possa comportare il rifiuto di redditi precari pagati al di sotto della soglia di povertà è davvero un elemento negativo? o aiuterà il dibattito sul salario minimo a livello europeo? Sulle famiglie numerose escluse (sopra i 4 componenti) non è una priorità visto la famiglia tipo italiana. Sugli immigrati occorre solo rispettare i vincoli europei come in altri Paesi.

    • Marco

      Non vedo cosa ci sia “comprendere” in uno “strumento” che ad oggi eroga denaro in cambio di niente, non è che ci vada una laurea per capire che si tratta di un purissimo voto di scambio coi soldi degli italiani (come gli 80 euro del Governo Renzi, non si inventano niente di nuovo).
      Il REI si occupava dei poveri, il RdC dà a tutti, con tanti ringraziamenti da parte di tutti gli occupati al nero della penisola.

    • Gaetano Proto

      Asterix, questo è l’ennesimo commento che lei scrive sul tema, confermando di essere negato in materia di analisi di politiche pubbliche. Che di due misure di contrasto alla povertà dirette alla stessa platea, una più generosa in termini di risorse (e quindi di beneficiari) e l’altra meno, la seconda possa costituire “un colossale spreco di risorse pubbliche” è un’affermazione priva di senso. Il rischio che il Rdc comporti il rifiuto di redditi precari pagati al di sotto della soglia di povertà è un elemento molto negativo, non solo in termini di spreco di risorse pubbliche (questo sì), ma anche perché essere inclusi nel mondo del lavoro — pure in modo insoddisfacente ma comunque regolare — è preferibile a esserne esclusi. Il rischio che le famiglie numerose siano addirittura escluse dal Rdc, come ho dimostrato nel mio articolo della settimana scorsa, secondo lei “non è una priorità visto la famiglia tipo italiana”: non so chi le ha detto che le politiche pubbliche si fanno a favore della “famiglia tipo” e a sfavore delle altre. Al contrario, questo difetto strutturale è particolarmente grave perché penalizza proprio le famiglie a maggior rischio di povertà e riguarda oltre un milione di poveri. Quindi il Rdc è preferibile al ReI in termini di risorse destinate alla lotta alla povertà, ma a causa dei suoi difetti sta mancando in parte non trascurabile l’obiettivo, mentre il ReI era un meccanismo rodato e sostanzialmente ben disegnato: si trattava solo di rifinanziarlo.

      • Asterix

        Veramente Dott. Proto mi sembra che sia lei caduto in una leggera contraddizione. Se critica il Rdc perché non attribuisce sufficienti risorse alle famiglie povere con numero di componenti superiori a 5 (realtà comune nell’Inghilterra del’800 o della Francia del quoziente familiare) non si può dire che era meglio il Rei che di risorse ne aveva poche per tutti, nuclei numerosi e non. Le critiche sull’inutilita del Rei è che non risolveva il problema della povertà perché tali persone cmq avevano bisogno delle ong, della chiesa per vivere quindi lo Stato spendeva risorse senza raggiungere l’obiettivo prefissato, combattere la povertà. Di fatto 6 euro al giorno i poveri potevano recuperarli chiedendo l’elemosina in strada, pulendo i vetri delle nostre macchine o portandoci la nostra spesa. E questo secondo lei è il contributo di uno Stato serio?? Le politiche economiche devono essere verificate ex post se sono utili, cioè se raggiungono i target prefissati. Non si possono buttare soldi pubblici per farne un’arma elettorale per dire che si è fatto qualcosa contro la povertà. Il Rdc costituisce una misura che ci allinea all’Europa che potrebbe aprire ad una misura comune contro la povertà finanziata dalla UE. Semmmai le critiche possono essere mosse sui profili di incostituzionalità dei requisiti residenziali per gli stranieri che sono troppo onerosi rispetto a quelli esistenti in altri Paesi europei.

        • Gaetano Proto

          Giusto: non si devono impiegare male soldi pubblici alla vigilia di un’elezione per farne un’arma elettorale. E’ esattamente l’addebito che si può fare al Rdc, disegnato in tutta fretta e in modo azzardato per poter partire prima delle elezioni europee. Concordo invece sul profilo di incostituzionalità dei 10 anni di residenza: ne avevo già scritto in un commento su questo sito e mi auguro che la questione sia portata quanto prima davanti a un giudice, per una questione di civiltà. Riguardo all’Europa, ci eravamo già allineati con il ReI, dotato di un meccanismo valido e rodato (peraltro migliorabile) ma di poche risorse. Adesso ci troviamo con risorse più generose caricate su un meccanismo disegnato male, di cui stanno cominciando a emergere numerosi difetti, che potrebbero essere approfonditi se l’INPS mettesse a disposizione dati dettagliati sulle domande accolte (quando?). Mi colpisce comunque che non trapeli alcuna volontà di correggere i difetti del Rdc che stanno emergendo, per esempio riformando la scala di equivalenza del Rdc, e si pensi invece a trasformare la minor spesa che ne deriva in “tesoretti” a pretesa copertura (ovviamente irricevibile, in quanto non certificata) di nuove misure. Anche il Parlamento, che pure aveva deciso di stanziare una certa somma per il preciso obiettivo del contrasto della povertà, sembra disinteressarsi al suo impiego effettivo.

    • Michele

      Assolutamente d’accordo. Patetici certi critici del RDC ad ogni costo: pur di criticare ciò che aprioristicamente non amano a causa di militanza politica, non esitano a contraddirsi e a sfidare il ridicolo.

  2. Savino

    il reddito di cittadinanza somiglia più alla social card berlusconiana

  3. Fabio

    Tra i rischi vi sono anche quelli finanziari. Avendo scelto di finanziarlo perlopiù a disavanzo, soprattutto negli anni venire, la misura non appare sostenibile.

  4. Gaetano Proto

    Esistono certamente aspetti per i quali il RdC rappresenta un’accelerazione rispetto al ReI, collocandosi più o meno sullo stesso sentiero. Ma per altri importanti versi la deviazione è vistosa, e pone la questione di quale dei due sentieri fosse il migliore, il nuovo o quello che è stato abbandonato (almeno per il momento). Una scelta fondamentale del ReI era fare perno sull’ISEE, legge dello Stato che definisce e misura la situazione economica, sia pure con alcuni scostamenti minori (per esempio, la scala di equivalenza del ReI importava i parametri di quella dell’ISEE ma non le maggiorazioni). Il riferimento del RdC all’ISEE è invece molto più labile, nonostante la soglia ISEE di 9.360 euro figuri al primo posto nella lista dei requisiti, generando non pochi equivoci. Ci sono infatti due scostamenti basilari: una scala di equivalenza del tutto diversa (anche per la presenza anomala di un massimo), i cui effetti deleteri ho mostrato qui https://www.lavoce.info/archives/59045/59045/ e una definizione di “reddito familiare” che si discosta dall’indicatore della situazione reddituale, componente dell’ISEE, in quanto non prevede alcuna detrazione. Tra queste possibili detrazioni c’è l’affitto dovuto, che il RdC tratta invece in modo tendenzialmente più restrittivo, come una voce che innalza di un importo (equivalente) fisso la soglia di reddito da integrare e concorre all’integrazione con un importo (monetario) fisso, con un “effetto lotteria” che mi riprometto di esaminare.

  5. Marco Di Marco

    Soprattutto, non è chiara l’interazione fra RDC e lavoro nero. Se ho capito bene la legge, chiunque abbia guadagnato redditi in nero in passato, anche se adesso è povero, rischia da due a sei anni di carcere se chiede il RDC per il futuro. E’ curioso che il lavoro nero sia più rischioso per il lavoratore che per il datore.

  6. Massimo baldini

    Carissimo Asterix anonimo, mi pare lei non abbia letto bene quello che scrivo sul rei nella prima parte dell’articolo. Cordiali saluti

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