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Garantire la dignità costa

Un reddito di dignità come quello suggerito da Silvio Berlusconi costerebbe circa 29 miliardi l’anno, 711 euro per ogni contribuente. Finirebbero all’8 per cento delle famiglie, per un trasferimento medio mensile di 1.200 euro. Quali sono le differenze con la proposta M5S.

Un reddito di dignità contro la povertà

Poco prima di Natale, dai microfoni di R101, Silvio Berlusconi ha spiegato che: “c’è una emergenza che più di ogni altra dovrà essere risolta quando il centrodestra tornerà al governo e riguarda quei 4 milioni 750 mila italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta, un dato impressionante e inaccettabile”. Da politico pratico che odia le chiacchiere, Berlusconi ha già indicato la soluzione al problema. Si chiama “reddito di dignità” ed è una “misura drastica sul modello dell’imposta negativa sul reddito del premio Nobel Milton Friedman”.

In poche parole (non se ne potrebbero usare molte di più perché non c’è ancora una proposta dettagliata), l’idea del leader di Forza Italia è che gli italiani in condizioni di povertà assoluta non solo non dovranno pagare le tasse, ma avranno diritto a ricevere dallo stato “la somma necessaria per arrivare ai livelli di dignità garantita sulla base dei criteri Istat”.

L’Istat stima la povertà assoluta in Italia in funzione del paniere di beni e servizi che una famiglia dovrebbe consumare “per evitare gravi forme di esclusione sociale”. Il valore del paniere è differenziato per tipo di famiglia e area geografica (maggiore al Nord e nelle grandi città, minore nel Sud e nei piccoli centri; qui un calcolatore delle varie soglie). Il paniere viene confrontato da Istat con la spesa delle famiglie, e in questo modo si ottengono i numeri citati anche da Berlusconi: nel 2016, ultimo anno per il quale ci sono stime, 1,62 milioni di famiglie in povertà assoluta (il 6,3 per cento del totale), dove vivono 4,74 milioni di persone (il 7,8 per cento del totale). La soglia di dignità a cui si riferisce Berlusconi è invece definita in termini di reddito, una media di mille euro mensili per persona o per capo famiglia (la proposta non ha precisato questo punto), variabili a seconda della zona del paese e in base al numero di figli a carico.

Il costo di garantire dignità

Se l’idea di dignità va applicata agli individui, garantire un reddito di mille euro a tutti quelli che oggi ne guadagnano meno è un obiettivo molto ambizioso per i conti pubblici. Nel 2015, infatti, c’erano 15,2 milioni di contribuenti con reddito complessivo dichiarato inferiore a 12 mila euro. Sulla base delle dichiarazioni Irpef per l’anno 2015, si può calcolare che integrare totalmente o parzialmente i loro redditi a 12 mila euro annui potrebbe costare 98,5 miliardi. Un costo che si ridurrebbe a 77 miliardi o meno, tenuto conto che il reddito di dignità porterebbe a eliminare almeno le detrazioni per reddito da lavoro dipendente, pensioni e redditi assimilati per i lavoratori con reddito complessivo inferiore a 12 mila euro (17 miliardi) e il bonus di 80 euro mensili oggi erogato ai lavoratori tra gli 8 e i 12 mila euro annui (4,5 miliardi).

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In questo modo, tuttavia, il reddito di dignità potrebbe andare nelle tasche di chi non è veramente povero, dato che ci sono persone abbienti con basso reddito. Inoltre sarebbero esclusi i 9,3 milioni di maggiorenni che non hanno presentato una dichiarazione dei redditi. Alcuni di questi – ma non tutti – godevano di misure di sostegno al reddito. Meglio dunque disegnare il reddito di dignità prendendo come base le famiglie e il loro tenore di vita al netto delle imposte pagate e dei programmi di assistenza da esse attualmente ricevuti.

Per stimare quanto costerebbe un possibile reddito di dignità, vanno individuati i poveri assoluti in base al loro reddito, non al loro consumo. Questo perché, non solo in Italia, per ottenere un aiuto contro la povertà non bisogna dimostrare di spendere poco, ma di guadagnare poco (o mostrare un basso Isee, una variante del reddito che tiene conto anche del patrimonio). Per valutarne il costo per le casse dello stato si possono usare i dati Eu Silc (Statistics on Income and Living Conditions) relativi al reddito disponibile (cioè al netto di tasse e trasferimenti statali) per un campione di circa 20 mila famiglie nell’anno 2015. Proiettando i dati del campione Silc all’aggregato nazionale, si ottengono circa 2 milioni di nuclei con redditi inferiori alle soglie di povertà assoluta Istat (cioè con un reddito disponibile insufficiente per poter raggiungere queste soglie), che corrispondono all’8 per cento del totale delle famiglie italiane, nelle quali vivono 4,8 milioni di persone (l’8,6 per cento dei residenti). Sono percentuali superiori a quelle ottenute da Istat sulla base della distribuzione della spesa, ma non troppo lontane. Usiamo queste come platea potenziale di misure contro la povertà assoluta.

A ogni nucleo familiare in povertà assoluta, seguendo l’idea del reddito di dignità, potrebbe essere trasferito un ammontare pari alla differenza tra la soglia di povertà e il reddito disponibile della famiglia. La soglia di povertà della famiglia potrebbe essere calcolata come il prodotto tra 1000 euro e una “scala di equivalenza” che varia in funzione del numero dei familiari e del loro ruolo familiare. In base alle raccomandazioni dell’Ocse, la scala di equivalenza dovrebbe sommare vari coefficienti: 1 per il primo adulto, 0,5 per il secondo adulto, 0,3 per ogni persona al di sotto dei 14 anni. Per una famiglia con papà, mamma e due figli di 10 e 12 anni, la scala di equivalenza varrebbe dunque 2,1. In questo caso la soglia di povertà assoluta sarebbe pari a 2.100 euro. Se la famiglia disponesse di un reddito pari a 1.100 euro, il trasferimento necessario per garantirle un reddito di dignità sarebbe di 1000 euro. I dati Eu Silc dicono che, in tal caso, il costo del reddito di dignità per le casse dello stato sarebbe di 29 miliardi. Sarebbero destinati a circa l’8 per cento delle famiglie, per un trasferimento medio mensile di 1.200 euro a famiglia. Il costo pro capite per ognuno dei 40,8 milioni di contribuenti sarebbe di 711 euro annui.

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Reddito di dignità, di cittadinanza e di inclusione

In questa versione, il reddito di dignità assomiglia molto al reddito di cittadinanza proposto dal M5S (non a caso Luigi Di Maio ha subito accusato Berlusconi di plagio). La differenza sta nel fatto che il leader di Forza Italia sceglie come obiettivo la povertà assoluta, mentre la proposta dei Cinquestelle guarda alla povertà relativa, cioè considerando chi ha spesa (metodo tradizionale Istat) o reddito disponibile (metodo comune Eurostat) inferiori a una certa percentuale del valore medio o mediano nazionale della stessa variabile. Per questo, la proposta del M5S coinvolgerebbe un numero più elevato di famiglie. Il reddito di cittadinanza del M5S costerebbe anch’esso circa 29 miliardi di euro all’anno (la cifra che serve per colmare il divario tra la soglia di povertà relativa e il reddito dei poveri relativi, secondo il metodo di calcolo della povertà relativa usato da Eurostat). Otterrebbero il reddito di cittadinanza molte più famiglie di quelle a cui si riferisce Berlusconi, circa il 19 per cento (la quota di famiglie in povertà relativa è di solito maggiore di quella dei nuclei in povertà assoluta), per un trasferimento mensile medio di circa 500 euro. Ma circa la metà dei beneficiari riceverebbe una cifra più alta.

Per completezza, va anche ricordato che, con provvedimenti inclusi nelle ultime due leggi di bilancio, l’assistenza universale alla povertà parte già da una base, il reddito di inclusione. Entrato in vigore lo scorso dicembre, raggiungerà entro un anno circa 700 mila famiglie, le più povere, corrispondenti al 2,7 per cento del totale. La spesa relativa per il 2018 sarà di circa 2 miliardi (per una media mensile di circa 240 euro a nucleo).

Tabella 1 – Reddito di dignità, reddito di cittadinanza e reddito di inclusione: numeri a confronto

Fonte: Elaborazioni lavoce.info su dati Eu Silc e Istat

Cosa manca dalle stime

È possibile che le stime di spesa riportate sovrastimino la spesa effettiva, perché alcuni dei potenziali beneficiari potrebbero non richiedere il trasferimento (Ugo Trivellato citava un tasso di utilizzo medio del reddito minimo pari al 70-80 per cento nei paesi europei).

È però anche possibile che le stime citate sottostimino i numeri veri, perché non considerano che alcuni membri delle famiglie beneficiarie, contando sul trasferimento, potrebbero decidere che non valga più la pena di lavorare. Un rischio che riguarda soprattutto il lavoro femminile o i lavori più faticosi o a basso salario. Se prevalesse questo secondo effetto, il numero di beneficiari potrebbe diventare ben più grande e così anche il costo del trasferimento.

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13 commenti

  1. Savino

    Quale dignità garantisce elargire soldi pubblici senza controprestazioni di lavoro solo per creare nuove figure di consumatori?
    Le multinazionali andranno a nozze: per un ragazzo disoccupato che percepisce 700-800 euro di reddito solo per permettergli di consumare ci saranno fast food tutte le sere, jeans e smartphone nuovi.
    Non siamo più lavoratori o cittadini, ma il nostro ruolo nella società è solo consumare.

    • Giorgio

      Chi fatica ad evere un lavoro che gli permetta un certo reddito o si trova in povertà non deve sentirsi responsabile di trovarsi in quella condizione. In un mondo globalizzato dove lo sfruttamento è orami chiamato precariato l’unica risposta per ridare dignità alla persona è il reddito minimo garantito. Solo così passeremo da sudditi dei ricchi e dei potenti a uomini liberi. Come possiamo pensare che si possano fare passi avanti quando il 20% più ricco degli italini detiene il 70% della ricchezza nazionale, dato della ong Oxfam. Alla luce di tutto ciò, forse dovremmo chiederci chi è che governa veramente il nostro paese?

    • Eleonora

      Non riesco a capire che dignità di crea con uno stipendio di carità che grava sugli altri contribuenti. Una persona dignitosa dovrebbe essere schifata!
      I soldi pubblici farebbero meglio a garantire l’accesso gratuito a ospedali, alloggi, istruzione primaria e per reimmettersi nel mondo del lavoro, musei, mense, case dello studente, per queste categorie di persone. Non è necessario “far girare” i solidi privatamente per dare una vita decente a chi in questo momento non più permetterselo. Non è la maniera di creare la società civile che sostiene il cittadino e gli da la possibilità di crescere, ma l’ennesimo un impoverimento sociale e morale.

      • alberto ferrari

        Forse varrebbe la pena di leggere le motivazione di una delle prime proposte sul reddito minimo annuo garantito, fatta nel lontano 1955 da Erich Fromm e riportate nel libro Avere o Essere. Le motivazioni addotte sono esattamente opposte. Non è l’assistenza caritatevole, spesso veicolata da una burocrazia che umilia, che aiuta le persone in difficoltà ad uscire dalle loro condizioni di povertà, ma la certezza di poter contare comunque su di un reddito minimo che aiuta a risollevarsi e a cercare di migliorare la propria condizione sociale, anziché cadere in un pericoloso circolo depressivo senza più via di uscita. Non umiliare, ma riconoscere un diritto è la visione proposta da Fromm..

        • Giuseppe G B Cattaneo

          Bella citazione. Ci sono appunto due ideologie. Avere un reddito minimo assicurato incentiva il lavoro o lo inibisce? La risposta può solo essere empirica. Personalmente penso che se Bill Gates fosse nato povero non avrebbe mai costruito Microsoft

  2. Giuseppe G B Cattaneo

    Sono sempre più stupito da queste proposte elettorali, compreso il rei, che non tengono conto del principio di uguaglianza e sono ancor più stupito che nessuno lo dica apertamente.

  3. enzo

    Colgo l’occasione per fare una domanda agli autori anche se solo in parte collegata all’argomento. 29 mld (annui) che dovrebbero provenire dalla fiscalità. Ogni mese la tipografia di francoforte ha stampato 60 mld per acquistare altra carta con la scusa di innalzare il tasso di inflazione. Indipendentemente dai redditi di cittadinanza e similari è forse efficiente questo indirizzo o non sarebbe stato meglio indirizzare questo flusso di carta fresca per redistribuire il reddito a favore di coloro che hanno una propensione al consumo elevata (oltre che per evidenti motivi di equità sociale e legittimazione politica)?

    • Fabrizio

      Se posso permettermi un’intromissione, la BCE (l’istituzione a cui credo lei si riferisca quando scrive “tipografia di Francoforte”) non stampa esattamente banconote per i 60 mld (che ormai diventeranno 30) di cui parla, ma piuttosto li accredita sui conti di riserva che le varie banche private dell’Eurozona possiedono presso la BCE stessa (esattamente come lei possiede il suo conto corrente presso una delle summenzionate banche private). Pertanto, non è tecnicamente né legalmente possibile “indirizzare questo flusso di carta fresca per redistribuire il reddito a favore di coloro che hanno una propensione al consumo elevata” come lei suggerisce, in quanto l’unico modo che ha il denaro “stampato” (o, meglio, immesso) dalla BCE di entrare in circolazione è tramite l’accensione di debito privato o pubblico, e cioè, alternativamente o congiuntamente, che le banche private accettino di prestare alle imprese private e/o all’amministrazione pubblica (il che significa maggior deficit, ma a bassi interessi, in quanto, all’aumento dell’offerta di moneta del QE, la BCE ha aggiunto gli interessi negativi sui succitati conti di riserva). Quello a cui credo lei si riferisca è l’Helicopter money, teoria suggestiva ma, a mio avviso, di scarso valore pratico, perlomeno stando a quel poco che ricordo del corso base di economia monetaria. Se le interessano questi argomenti, può trovare molti articoli interessanti scritti dal prof. Andrea Terzi. Mi si facciano pure notare errori o imprecisioni.

      • enzo

        Sono contrario all’elicottero. In realtà sono contrario anche a redditi di cittadinanza e similari per motivazioni logiche più che teoriche. In un paese come il nostro bisognerebbe mettere il braccialetto elettronico ai percettori per evitare un incremento del lavoro nero, inoltre in un paese di bassi salari costituirebbe una soglia minima che rischierebbe di disincentivare l’offerta di lavoro. Voglio semplicemente dire che politiche redistributivo del reddito potrebbero avere effetti di stimolo maggiori di quelli fatti.Ovviamente la Bce ha fatto quanto poteva nel rispetto dello statuto. Ma proprio qui sta il limite. Maggiore liquidità indirizzata a chi ha contratto i propri consumi avrebbe avuto maggiori risultati che chiedere ad imprese di investire a basso costo certo , ma senza motivo. Se l’inflazione e’ salita in misura risibile, le imprese e i privati trattengono liquidità non remunerato, le obbligazioni pubbliche e private non hanno rendimenti, le azioni aumentano il loro valore nominale oltre il buon senso, vuol dire che le attuali politiche monetarie non raggiungono obiettivi significativi

    • Giuseppe G B Cattaneo

      Giusto. Peccato che il modello di sviluppo della BCE non comprenda i consumi dei poveri ma solo quelli dei banchieri

      • Facrizio

        Mi scusi, ma il punto nodale credo stia proprio nel fatto che non spetta alla BCE pensare a come redistribuire il reddito o la ricchezza; la politica monetaria governa alcune variabili (offerta di moneta e tassi di interesse) che possono “scaldare” (cioè stimolare il PIL facilitando gli investimenti) o “raffreddare” (nel caso in cui l’eccesso di produzione inneschi spirali inflazionistiche) le economie. E’ compito dei governi, tramite la politica fiscale, cogliere al volo le opportunità che un determinato orientamento del banchiere centrale (che persegue altri obbiettivi) offre all’economia, e stabilire per mezzo di essa chi aiutare e come farlo. Almeno questo è il mio personale punto di vista, per cui se non abbiamo sfruttato il QE la colpa non è di Draghi il cattivo, ma di chi ha scritto le leggi di bilancio negli ultimi 5 anni.

  4. Oltre ai calcoli bisognerebbe porsi il problema se i soldi sono ben spesi,in linea di principio sarebbe meglio che lo Stato facesse il datore di lavoro di ultima istanza piuttosto che l’elergitore di mance perchè com dice Minsky “Ai poveri senza valore non devono essere negati persino la soddisfazione e il riconoscimento sociale che derivano dal lavoro”, cioè il lavoro come dice la nostra Costituzione deve essere il fondamento della Repubblica; quindi al di là di misure di emergenza sarebbe meglio spendere i soldi in un piano di investimenti statali ( di cose dafare cene sono mille: dalla messa in sicurezza del territorio al miglioramento ambientale e al recupero archeologico ed edlizio ecc. ecc). Questi investimenti andrebbero poi tolti dal conteggio del debito peri parametri europei. In questo modo si migliorerebbero le infrastrutture si farebbero cose concerte e le persone oltre ad essere utili potrebbero anche farsi una professionalità.

  5. Ugo Colombino

    Ottimo lavoro. Per quanto riguarda le osservazioni finali sulla riduzione della propensione al lavoro: mie stime ottenute con un modello microeconometrico indicano che il reddito di cittadinanza 5S indurrebbe 6-7 occupati su 100 ad abbandonare il lavoro (10 su 100 nel caso delle donne single)

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