Tra gli obiettivi principali del G20 di Osaka c’è la sopravvivenza del sistema multilaterale degli scambi. Ma proprio la rinuncia degli Stati Uniti a svolgere un ruolo guida può essere la spinta per arrivare a una riforma del Wto su base plurilaterale.

Multilateralismo in crisi

Il multilateralismo vive una battuta d’arresto a causa delle politiche protezionistiche degli Stati Uniti e il G7 sembra aver perso molta della sua capacità di dialogo e cooperazione su temi che coinvolgono direttamente anche i grandi paesi emergenti: trovare una soluzione alle grandi sfide globali che il prossimo G20 si appresta ad affrontare a Osaka appare dunque un’impresa titanica. L’ambiziosa presidenza giapponese, però, si dichiara determinata a contribuire alla crescita economica globale promuovendo il libero scambio e l’innovazione, conseguendo al contempo crescita economica e riduzione delle disuguaglianze, senza dimenticare gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

I global commons in senso stretto (acque internazionali, atmosfera, Antartide, spazio), ossia i temi tradizionali del G20, restano prioritari, ma tra gli obiettivi principali quest’anno vi è la sopravvivenza stessa del sistema multilaterale degli scambi. Negli ultimi tre decenni ha favorito una crescita senza precedenti e un aumento del reddito medio di molti dei paesi più poveri.

Al centro del sistema, l’istituzione perno – l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) – ha promosso gran parte della riduzione delle barriere agli scambi e ha permesso a molti paesi in via di sviluppo di beneficiare del commercio internazionale senza discriminazioni. Alcuni di quegli stati, in particolare la Cina, sono oggi così grandi e potenti da rendere insufficiente e inadeguata la semplice distinzione tra economie di mercato e paesi in via di sviluppo, che ancora oggi definisce lo status dei paesi aderenti al Wto. Infatti, ai paesi in via di sviluppo è permesso un maggior ruolo dello stato nell’economia, che ha consentito ad alcuni di creare “campioni nazionali”, in chiara e aperta sfida al sistema liberale fondato sul principio di concorrenza.

Oggi il Wto rischia di essere smantellato per le difficoltà intrinseche di riformarla con l’appoggio di tutti i paesi membri. La sua legittimazione è messa in discussione non soltanto da Donald Trump, ma anche da alcuni grandi paesi emergenti, come l’India, che trovano inaccettabili eccessive ingerenze nelle politiche interne.

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Alleanze variabili per riformare il Wto

Nel breve termine, il G20 ha l’opportunità di salvare il meccanismo di risoluzione delle controversie del Wto, partendo dalla proposta dell’Ue, già sottoscritta da Australia e Canada. Nel lungo termine, il G20 potrebbe iniziare a coltivare l’idea che incentivare i paesi, invece di sanzionarli soltanto, potrebbe aumentare la loro convenienza a mantenere e quindi sostenere politicamente il Wto. Tuttavia, è auspicabile che venga mantenuta la capacità di stabilire regole condivise e di sanzionare il loro mancato rispetto, per evitare che l’organizzazione diventi irrilevante come il suo predecessore, il Gatt, che forniva linee guida senza potere sanzionatorio. Perché sia più conveniente mantenere il Wto, riformandolo (senza però renderlo irrilevante indebolendo il meccanismo di risoluzione delle controversie) invece di smantellarlo, è necessario favorire la formazione di accordi plurilaterali che coinvolgano gruppi variabili di paesi su temi diversi, di maggiore interesse per alcuni e minore per altri. Per esempio, nel marzo di quest’anno sono iniziate le negoziazioni per un accordo sulla regolamentazione dell’e-commerce, a cui hanno per ora aderito 76 paesi inclusi la Ue, la Cina e gli Stati Uniti. Le negoziazioni potrebbero portare all’approvazione di un sistema di regole multilaterali che sostengano i consumatori e le imprese, soprattutto quelle piccole, nelle transazioni online. Il G20 sarà un terreno di prova di questa soluzione: la crescita dell’economia digitale e la necessità di regolamentare un fenomeno che è per sua natura transnazionale.

In questo momento, la posizione del Giappone è in netta contrapposizione rispetto alla progressiva chiusura dell’amministrazione Usa, ripiegata su se stessa nel tentativo di difendersi da un imminente nuovo ordine mondiale che mette in discussione la sua incontestata supremazia economica e militare. Di fronte alla sfida che la Cina di oggi pone all’ordine liberale, Tokio ha raccolto il testimone della politica di contenimento di Pechino che le amministrazioni Clinton e Obama avevano condiviso con larga parte dei principali paesi affacciati sul Pacifico, e che era sfociata in un grande accordo plurilaterale, il Partenariato Transpacifico (Tpp), da cui poi Trump si è ritirato. Oggi quell’accordo, col nome di Comprehensive and Progressive Tpp, resta il tentativo più ambizioso di configurare un’alternativa plurilaterale a un sistema multilaterale che non è più in grado di gestire le relazioni economiche internazionali in modo accettabile per tutti. Oggi la crisi del ruolo degli Stati Uniti nel Wto ha il potenziale per portare l’organismo verso una nuova era. È una faccenda molto urgente, come ha dichiarato la commissiaria Ue al commercio Cecilia Malström, perché senza un fulcro il sistema multilaterale lascerà spazio a relazioni incerte e disordinate in cui il potere dei singoli paesi prenderà il sopravvento sulle regole.

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