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Air Italy, il fallimento del non-mercato

La crisi di Air Italy ha radici strutturali oltre che nella strategia dell’impresa. Difficile dunque pensare a una soluzione stile Alitalia. Ma è la mancanza di una seria politica di sviluppo del paese che fa sì che ogni crisi aziendale rappresenti un dramma.

Da dove nasce la crisi

La botte piena e la moglie ubriaca. Vogliamo salvare Alitalia, ma poi ci lamentiamo se le altre imprese non stanno in piedi. E così nasce la questione di Air Italy. Che ha diverse concause, per carità, ma che sicuramente non ha beneficiato dell’accanimento terapeutico che da anni tiene sul mercato un suo grande concorrente, quale è Alitalia, con ormai oltre un miliardo di denaro pubblico.

Una compagnia aerea uccisa dallo stato? Per certi versi sì. A quanto è dato sapere uno dei due azionisti (quello extra comunitario, Qatar Airways) sarebbe stato anche disponibile a metterci altri soldi, ma non ha potuto farlo. Se lo avesse fatto, avrebbe superato la quota azionaria del 50 per cento, e questo avrebbe fatto perdere la licenza a Air Italy perché solo compagnie aeree controllate da azionisti europei possono fare servizio in Europa. Una sorta di boomerang protezionista.

Air Italy nasce meno di tre anni fa dalle “ceneri” di Meridiana, bloccata da pesanti difficoltà finanziarie con una perdita di circa 40 milioni nel 2017. La nuova compagnia ha cominciato a volare a marzo 2018, perdendo denaro sia in quell’anno (oltre 160 milioni – oltre metà del fatturato) sia nel 2019 (si parla di oltre 200 milioni), tanto che ora viene messa in liquidazione. Perde meno di Alitalia, per carità, ma rispetto alla sua dimensione e ambizioni va perfino peggio.

Per tenere in piedi “a mercato” entrambe le compagnie aeree occorrerebbero più passeggeri o prezzi più elevati: chiaramente non si può pensare che un governo riesca a farlo per decreto. A parte la difficoltà ovvia di avere entrambe le cose, c’è il dettaglio che (per fortuna di noi passeggeri) esistono altre compagnie aeree che volano a prezzi inferiori e che addirittura ottengono profitti. Il problema principale di Alitalia e Air Italy è proprio la capacità di queste due compagnie aeree italiane di tenere il mercato con prezzi e costi ragionevoli.

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Intendiamoci, si tratta del fallimento di due modelli di business piuttosto diversi, ma che hanno un difetto in comune: l’incapacità di reggere al cambiamento. Alitalia non ha ancora capito di non essere più una compagnia di “bandiera” e ha cercato di replicare il modello anni Settanta in un mercato aperto alla concorrenza. Anche Air Italy – la ex Meridiana – non ha mai provato a fare la low cost. E puntava invece ad alcune nicchie regionali, che a suo tempo erano sostanzialmente protette dalla concorrenza, mentre oggi vi sono invece esposte in modo forte. Ad esempio, a Cagliari e Alghero volano sia Ryanair sia EasyJet e a Olbia vola EasyJet (e Ryanair sta per farlo). Su tratte brevi, queste low cost sono forse imbattibili.

Queste considerazioni mostrano anche come le preoccupazioni di quelli – che chiedono che si salvi Air Italy per preservare la continuità territoriale del paese e non isolare la Sardegna – non abbiano grande fondamento. A tutelare la Sardegna ci penseranno (in qualche modo) Ryanair e EasyJet. Almeno fin quando per loro sarà conveniente farlo. E come sempre faremo bene ad assicurarci che questo avvenga, in un equilibrio tra tutela dei viaggiatori e ragioni delle imprese – senza pensare di far pendere la bilancia troppo da una parte o dall’altra. Il loro modello di business è sempre stato basato su accordi con gli aeroporti e i territori serviti e il fatto che scompaia un vettore aumenta ovviamente il loro potere contrattuale rispetto alle comunità locali, e forse anche a questo occorrerà fare attenzione.

Le ragioni strutturali

Poi c’è un fenomeno più ampio del quale tenere conto. Il mercato internazionale del volo è ormai polarizzato tra un numero limitato di operatori tradizionali ben attrezzati sulla lunga percorrenza e le low cost. Dei primi, in Europa sono rimasti (in buona salute) il gruppo British Airways (con Iberia) e Lufthansa, perché lo stesso gruppo Air France-Klm ogni tanto manda segnali di non essere proprio in grande forma finanziaria. Queste compagnie vanno bene per una certa utenza e certe percorrenze. Sul corto raggio, si fatica a capire come si possa competere con le due grandi low cost europee.

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Con Air Italy siamo quindi di fronte a una crisi aziendale che ha radici strutturali oltre che nella strategia dell’impresa. E l’esplosione del corona-virus causerà certamente ulteriori ripercussioni negative che solo chi ha le spalle larghe riuscirà a contenere. Difficile pensare a una soluzione stile Alitalia, che comunque non funziona neppure in quel caso. Non solo perché non ci sono quattrini, ma soprattutto perché è inutile provarci.

Resta ovviamente aperto il tema dei dipendenti, che sono 1.450. Parte della soluzione occupazionale sarà data – sempre corona-virus permettendo – dalle compagnie aeree che servono ora le tratte di Air Italy e che la sostituiranno. Non credo ci sarà un assorbimento di tutto il personale, e comunque le condizioni economiche delle low cost sono fatalmente diverse. Sul resto, la risposta è la solita: ammortizzatori sociali nell’immediato, e sviluppo economico nel medio periodo.

È proprio la mancanza di una seria politica di sviluppo del paese che fa sì che ogni crisi aziendale rappresenti un dramma. Anzi, le uniche politiche che sappiamo mettere in piedi sembrano essere gli (italiani) aiuti di stato a imprese non riformabili e i vincoli (europei) alla immissione di capitale da parte degli “stranieri”. Restiamo un paese così fragile che riassorbire qualunque problema diventa un macigno insormontabile. Quando poi i problemi (noi e l’Unione europea) ce li creiamo da soli, viene davvero da chiedersi se siamo masochisti.

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C’era una volta l’industria italiana

  1. Henri Schmit

    Non capisco il messaggio di questo articolo; cioè che cosa è giusto fare? In Air Italy c’è tanta tanta Italy … Il tratto comune non è però solo “l’incapacità di reggere al cambiamento”, ma una mentalità sbagliata di tutti, non solo del management e dei soci (che sapevano che c’era la protezione del mercato UE contro acquirenti extra-europei, quindi inutile lamentarsi ora di un “boomerang” inesistente, aizzando l’opinione pubblica contro l’UE; si tratta in realtà di una garanzia per tutti gli altri, concordata tempo fa all’unanimità), non solo dello Stato (come dice l’articolo), ma anche degli esperti muti e dei commentatori loquaci (il giornalista Sommella MF dice due mesi fa in piena crisi Alitalia che il bidone tirato a Air-France 12 anni fa era cosa giusta da fare perché i Francesi intendevano dirottare il traffico aereo italiano sul loro hub), dell’opinione pubblica e degli elettori (che hanno votato Berlusconi che vinse con lo slogan della “cordata nazionale” e che ora votano coloro che non escludono l’ipotesi della nazionalizzazione). E stiano parlando solo di trasporto aereo, non di altri settori come la siderurgia e le banche. Per trovare una soluzione bisogna prima dire la verità guardando la realtà in faccia. Qua c’è solo propaganda, discorso politico di parte (pro e contro, ugualmente colpevoli) e rinvio dei problemi (piuttosto che delle soluzioni, di cui non c’è nemmeno l’ombra).

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