Quali saranno gli effetti economici dello shock da coronavirus sulle famiglie con lavoratori autonomi? Spesso dispongono di risparmi per rispondere agli imprevisti. E dunque per superare la crisi potrebbero bastare prestiti ponte e mutui a lungo termine.
L’effetto sulle famiglie
Il blocco produttivo disposto dal governo con il decreto del 23 marzo 2020 avrà un impatto economico rilevante su imprese e famiglie. Fabiano Schivardi ha analizzato quello per le imprese, noi ci concentriamo sulle famiglie: quanto è grande la perdita di reddito rispetto ai loro introiti? Come è distribuita? Quali famiglie sono più attrezzate a farvi fronte utilizzando i propri risparmi? Qual è la dimensione dell’aiuto finanziario che consentirebbe di assorbire meglio la perdita sofferta?
La quantificazione che faremo della dimensione dello shock non tiene conto di possibili effetti a cascata su altri settori produttivi, né di possibili rimbalzi della domanda una volta che il blocco sia rimosso. Quindi, molto probabilmente ne rappresenta una sottostima. Nondimeno, crediamo che possa aiutare a calibrare le misure di sostegno che il governo ha messo e, ancor più, dovrà mettere in campo. La calibrazione, a sua volta, è importante per due ragioni: a) per indirizzare gli aiuti pubblici lì dove sono maggiormente necessari, in modo da gravare il meno possibile sul bilancio dello stato e contenendo così lo stock di debito che la crisi lascerà in eredità; b) per mitigare gli effetti recessivi dal lato della domanda. Le famiglie che subiscono cali di reddito elevati e difettano di risorse proprie hanno infatti una propensione al consumo più elevata.
Utilizzando l’Indagine della Banca d’Italia sui redditi e la ricchezza delle famiglie (quella del 2016, l’ultima disponibile), si può calcolare che le famiglie più direttamente colpite dalla chiusura dell’attività – quelle cioè in cui almeno uno dei percettori di reddito lavora in una delle branche di cui il governo ha disposto la chiusura – sono circa il 25 per cento del totale (includendo le disposizioni dei due decreti, 23 marzo e 11 marzo). Di queste, il 72 per cento ha solo redditi da lavoro dipendente, il 21 per cento solo da lavoro autonomo (in entrambi i casi, non necessariamente tutti nei settori bloccati).
Nel seguito, prendendo per buono l’impegno del governo a evitare licenziamenti e a sostenere il reddito, assumeremo che i lavoratori dipendenti siano completamente schermati dalla perdita. Si tratta di un’ipotesi estrema, fatta per concentrare l’analisi sul segmento di famiglie – quelle in cui almeno uno dei percettori è un lavoratore autonomo – che è verosimilmente più esposto allo shock derivante dal blocco produttivo (qui esaminiamo anche la perdita dei lavoratori dipendenti).
Autonomi davanti agli imprevisti
La figura 1 mostra la distribuzione della quota del reddito disponibile perso come conseguenza del blocco delle attività nei settori Nace che approssimano quelli coinvolti dal decreto del governo, nell’ipotesi che la sua durata sia di 30 giorni lavorativi (sarà il periodo ipotizzato anche nel seguito, molto vicino a quello implicito nella proroga al 15 aprile); consideriamo le sole famiglie in cui almeno uno dei percettori è un lavoratore autonomo nei settori esposti al blocco.
La perdita media è pari al 6,7 per cento del reddito disponibile, circa 2.435 euro; un quarto delle famiglie ha una perdita inferiore al 3,3 per cento del reddito e, sempre per un quarto, almeno uno dei percettori è un lavoratore dipendente (che per ipotesi non subisce alcuna perdita di reddito).
Figura 1 – Perdita di reddito dovuta al blocco: stop licenziamenti dipendenti (quota del reddito disponibile pre-blocco)
Fonte: Elaborazioni sui dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, 2016, Banca d’Italia
Attraverso una domanda del questionario dell’Indagine, che chiede alle famiglie di indicare l’ammontare di risparmio precauzionale che ritengono sarebbe sufficiente ad affrontare i “normali” imprevisti (anche se non necessariamente lo hanno accumulato), possiamo calcolare la distribuzione dell’imprevisto che la pandemia ha generato sui redditi.
Figura 2 – Chi è colto di sorpresa (quota della perdita di reddito coperta dal risparmio per normali imprevisti)
Fonte: Elaborazioni sui dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, 2016, Banca d’Italia
La figura 2 mostra che per l’89 per cento delle famiglie con almeno un lavoratore autonomo il risparmio precauzionale “normale” è inferiore alla perdita di reddito dovuta al blocco; per il 76 per cento la perdita di reddito è il doppio del risparmio precauzionale. Detto altrimenti, per la stragrande maggioranza delle famiglie, l’entità dell’impatto del blocco sul reddito va ben oltre le contingenze avverse che avevano in mente. Oltretutto, il risparmio precauzionale indicato non è necessariamente uguale alle loro disponibilità effettive, trattandosi solo di una valutazione soggettiva e ipotetica.
Consideriamo allora, nella tavola 1, la capacità effettiva di far fronte alla perdita, usando risorse liquide o facilmente mobilizzabili, per le famiglie in cui è presente almeno un lavoratore autonomo (sempre, beninteso, limitandoci ai settori esposti al blocco). Meno di un quarto ha attività finanziarie inferiori alla perdita di reddito; il 50 per cento ha depositi almeno pari a circa tre volte e mezzo la perdita e attività finanziarie pari a quasi sei volte. In generale, quindi, sebbene la dimensione della perdita di reddito sia per la quasi totalità delle famiglie superiore alla fluttuazione “normale” che si aspettano, una quota non piccola ha comunque una discreta capacità di assorbirla. In buona misura, è il riflesso del fatto che per i lavoratori autonomi, che hanno un reddito relativamente rischioso e devono poter far fronte a esigenze di liquidità della propria impresa, è naturale detenere un cuscinetto consistente di attività finanziarie con cui assorbire l’incertezza.
L’ultima colonna della tavola presenta una misura di copertura della perdita di reddito basata sull’iniezione, in aggiunta ai depositi, di un prestito di 5 mila euro attraverso canali informali (parenti e amici). Nel 2016, il 66 per cento delle famiglie con almeno un percettore di reddito autonomo riteneva di poter attivare questa fonte di liquidità addizionale. È verosimile che nelle circostanze attuali la quota sia inferiore.
È comunque interessante osservare che solo il 14 per cento delle famiglie che ritenevano di poter avere accesso a quella addizionale, registra oggi una liquidità potenziale inferiore alla perdita di reddito.Possiamo anche fare un calcolo diverso: un prestito di 5 mila euro, in aggiunta ai depositi, sarebbe sufficiente a garantire che il 99 per cento delle famiglie con lavoratori autonomi nei settori esposti al blocco abbiano disponibilità liquide almeno pari alla perdita di reddito. Dandogli la forma di un piccolo mutuo a lungo termine, per esempio a 15 anni con tasso fisso, anche ai valori correnti di mercato, praticamente tutte le famiglie con lavoratori autonomi potrebbero affrontare la crisi acuta senza pesare sui propri consumi, e dunque senza aggravare la già pesante recessione.
Che fare per i dipendenti degli autonomi
Abbiamo finora ipotizzato che durante il blocco produttivo i salari dei lavoratori dipendenti continuino a essere erogati. Per le famiglie che stiamo considerando, questi lavoratori sono spesso dipendenti degli autonomi dello stesso settore. Il salario medio netto per famiglia nei settori soggetti a blocco, per 30 giorni lavorativi, è di 1.723 euro. Sul totale delle famiglie italiane (27 milioni), la sua corresponsione genera un fabbisogno finanziario di 46,5 miliardi circa.
Gli autonomi con un maggiore grado di copertura finanziaria (attività finanziarie su perdita maggiore di 2) posseggono in media 68 mila euro di attività finanziarie al netto della perdita di reddito subita e contano per il 5 per cento del totale delle famiglie. In aggregato, possono mobilizzare fino a 97 miliardi di euro, che in linea di principio sarebbero sufficienti a erogare i salari netti di tutto il settore. Non sarebbero tuttavia sufficienti a erogare quelli lordi e i contributi sociali. Né è detto che i risparmi siano distribuiti in modo tale da consentire a ciascun autonomo di pagare il salario ai suoi dipendenti. Infine, il mantenimento in vita delle imprese richiede risorse per sostenere costi fissi, come ad esempio affitti e utenze. Nel complesso, dunque, anche i lavoratori autonomi con elevato grado di copertura finanziaria colpiti dal blocco difficilmente potrebbero garantire con i loro risparmi il reddito dei propri dipendenti e mantenere al contempo solida la propria azienda. Tuttavia, la presenza di un “cuscinetto” non trascurabile di risparmio dovrebbe rassicurare circa la sostenibilità di prestiti ponte, mutui a lungo termine e a basso tasso di interesse, ripagabili in un periodo sufficientemente lungo e di importo proporzionato al numero di dipendenti. In questo modo, almeno per questa categoria di famiglie, lo shock potrebbe essere facilmente smussato.
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