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Rendiamo automatico il reddito di emergenza

Strumenti di sostegno al reddito per rispondere alle emergenze si sono già visti in Italia, dopo terremoti e altre catastrofi. Sarebbe forse più utile una misura permanente, da attivare in caso di necessità. Anche imparando dall’esperienza di altri paesi.

Il difficile debutto delle misure di sostegno al reddito

Il boom di richieste che il 1° aprile ha fatto “impazzire” il sito web dell’Inps ha attirato l’attenzione generale sui nuovi strumenti di sostegno al reddito messi a punto dal governo, a seguito delle restrizioni di orari di lavoro e attività produttive imposte per far fronte all’emergenza Covid-19.

A mandare in tilt la piattaforma Inps è stato l’avvio del “reddito di ultima istanza”, con cui il governo ha messo in campo circa 300 milioni a favore di una platea formata da lavoratori autonomi, liberi professionisti, operai agricoli, lavoratori del turismo e dello spettacolo, collaboratori coordinati e continuativi. Criterio comune per tutti è il non essere già titolari di ammortizzatori sociali o altri bonus previsti per far fronte all’emergenza coronavirus. Il beneficio, in questo caso, si traduce in 600 euro una tantum per il solo mese di marzo. Di pari importo, ma con caratteristiche differenti, è il prossimo strumento annunciato dal governo nel decreto di aprile. Si attende un “reddito di emergenza” (Rem) – nome che richiama il reddito di cittadinanza – destinato a tutti coloro che non sono rientrati nell’indennità di 600 euro per autonomi e professionisti e che non ricevono altri sussidi. Si tratterebbe quindi di gruppi marginali del mercato del lavoro – stagionali, precari, collaboratori di famiglia e domestici – i quali avrebbero accesso a 600 euro per due mesi.

Un collegamento tra Rem e Rdc effettivamente c’è e riguarda la composizione dell’importo del beneficio. La cifra di 600 euro si spiega, nelle parole della ministra Nunzia Catalfo, proprio in relazione alla struttura dello stesso reddito di cittadinanza. In quel caso, l’ammontare base di 780 euro risulta dalla somma tra 500 euro – il sostegno al reddito vero e proprio – e 280 euro come contributo per l’affitto. Il Rem, dunque, semplicemente eroga un importo simile a quello previsto dal Rdc, maggiorato di 100 euro, ma privato del contributo per la casa. Si potrebbe pertanto pensare a una sorta di “estensione” pro-tempore del Rdc. In realtà, il funzionamento dello strumento sembra più vicino a quello delle integrazioni salariali.

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La tipologia di sussidio non è comunque del tutto nuova nel nostro ordinamento, perché ha aspetti in comune con gli strumenti di sostegno al reddito erogati per rispondere alle emergenze create dai terremoti. Oggi la situazione emergenziale è molto simile: una condizione di bisogno economico imposta dalla sospensione o limitazione dell’attività lavorativa in conseguenza di una calamità naturale, a cui anche epidemie o pandemie come quella di Covid-19 sono assimilabili. E se in passato hanno interessato specifiche zone colpite da disastri naturali, stavolta riguardano tutto il territorio nazionale.

Gli strumenti strutturali

Strumenti di questo tipo esistono anche in altri paesi. Diversi stati americani (per esempio, il Texas) dispongono già da tempo di forme di Disaster Unemployment Assistance, che sono parte strutturale delle misure di sicurezza sociale, senza la necessità di emanare appositi provvedimenti di volta in volta. Negli Stati Uniti intervengono in genere per i problemi causati da uragani e terremoti, che colpiscono determinate aree del paese. In quelle situazioni, vengono erogati sussidi di disoccupazione alle persone che hanno perso il lavoro o ne hanno cessato uno autonomo, come conseguenza diretta della catastrofe, per un periodo specifico di assistenza.

In questi casi, i cittadini già conoscono l’insieme di misure di sostegno al reddito a cui possono avere accesso in conseguenza della calamità naturale che ha colpito la loro ordinaria attività lavorativa. Anche nel nostro paese, l’esperienza con le conseguenze economiche del coronavirus dovrebbe aprire una riflessione sulla possibilità di creare uno strumento permanente di questo tipo. Le sue modalità di funzionamento dovrebbero essere ovviamente “elastiche”, prevedendone l’automatica attivazione in circostanze emergenziali dettate da calamità naturali.

Nella recente storia italiana le emergenze sono state purtroppo frequenti, soprattutto nelle aree sismiche del paese. E tutte le emergenze hanno sempre sollevato la questione del tipo di gestione messa in campo dai vari governi che, di volta in volta, hanno dovuto farvi fronte. Rendere “strutturali” i provvedimenti di sostegno favorirebbe quell’omogeneità di trattamento che invece talvolta è mancata nell’affrontare la situazione post-emergenza, a seconda delle scelte effettuate da chi si è trovato a gestirla.

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Il Punto

  1. Lino Pagano

    Complimenti per l’ottima disamina del gravissimo problema. È un enorme problema aggravato dal fatto che la formazione professionale per i disoccupati è stata resa più complicata:per fare la OSS occorrono 18 mesi e 1000 ore di formazione. Il risultato è che una 90 enne pensionata deve mantenere 3 giovani disoccupati che si arrangiano a nero! E questo stato gli fa pagare anche la tassa sulla RAI! Bisogna che i giovani sollecitano i governanti a ristrutturare i Centri per l’impiego copiando e se possibile migliorando i corrispondenti operanti in Nord Europa. Il giovane povero di mezzi economici (sia che sia senza titoli di studio che laureato) deve essere supportato al meglio dallo stato se vogliamo un futuro. Non è possibile che un giovane diplomato italiano non abbia le cognizioni per aprire una gelateria e finisce a fare il cameriere in attività degli immigrati! Siamo al capolinea.

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