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Come tutelare il patrimonio delle imprese*

Il sostegno alle imprese punta a iniettare liquidità. Ma il blocco della produzione comporta rischi di erosione del patrimonio, con possibile fallimento o ingresso nel capitale di organizzazioni criminali. Meglio allora intervenire sulle regole contabili

Dalla crisi sanitaria gravi rischi per le aziende

Sostituire i mancati ricavi delle imprese con ulteriore debito non è la soluzione migliore per sostenere la ripresa del sistema produttivo del paese. E poco importa che il debito sia concesso a condizioni vantaggiose (interesse quasi nullo), in quantità quasi illimitata e con importanti garanzie pubbliche.

La crisi generata dalla diffusione del virus Sars-CoV2 ha impatti economici, oltre che finanziari, rilevanti perché altera le condizioni di equilibrio delle aziende. Le conseguenze dello stop alle attività produttive si rifletteranno sui loro conti economici perché la riduzione dei ricavi, a fronte di costi difficilmente comprimibili (per esempio, lavoro, servizi, affitti, ammortamenti), genererà ingenti perdite nei bilanci 2020, comprimendo il patrimonio netto delle imprese.

I recenti interventi normativi e regolamentari sono orientati ad assicurare liquidità. Sebbene necessari e urgenti, questi interventi necessitano di misure più ampie orientate a ristabilire adeguate condizioni di equilibrio economico, finanziario e patrimoniale delle imprese. In sintesi, sostituire i mancati incassi dovuti alla riduzione dei ricavi con finanziamenti a tasso agevolato assicura la solvibilità nel breve periodo, ma mina la solidità e la possibilità di sopravvivenza delle aziende nel medio-lungo periodo.

Le imprese che riusciranno a sopravvivere grazie alle forti iniezioni di liquidità andranno incontro a ingenti perdite, che avranno conseguenze dirette:

– il peggioramento dei rating economico-finanziari per effetto di leverage elevati; ciò comporta difficoltà di accesso ai consueti canali bancari o la necessità di aumenti del capitale in condizioni di contrazione del sistema finanziario;

– l’erosione del patrimonio netto delle aziende per oltre un terzo o un patrimonio netto negativo, rendendo necessaria la ricapitalizzazione. Secondo il codice civile, una perdita che intacca il capitale sociale e lo porta al di sotto del limite legale può comportare la messa in liquidazione della società (articoli 2446 e 2447), in assenza di provvedimenti volti alla trasformazione o al reintegro del capitale

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Quindi, molte aziende potenzialmente sane, che hanno sperimentato in passato andamenti positivi ma per le quali i soci non avranno le disponibilità per reintegrare il patrimonio netto nei limiti di legge, saranno costrette a:

– interrompere l’attività economica con conseguente perdita di occupazione;

oppure

– ad accettare interventi di soci pronti a ricapitalizzare. In alcuni, casi i nuovi soci potrebbero essere legati alle organizzazioni criminali di tipo mafioso, aprendo le porte a un loro rafforzamento. Il fenomeno si è verificato in modo significativo nella crisi del 2008.

L’importanza del patrimonio

Per far fronte a questi rischi, è opportuno articolare una serie di interventi che tutelino la redditività e solidità patrimoniale delle imprese.

In primo luogo, è necessaria la capitalizzazione dei costi attribuibili all’emergenza sanitaria. Il blocco delle attività economiche genera una situazione del tutto nuova, nel cui ambito per esempio i costi relativi ai contratti periodici – inclusi i fitti passivi, gli ammortamenti delle immobilizzazioni e i costi del personale – si configurano come necessari alla normale ripresa delle attività economiche. Si tratta di costi non comprimibili o non ricorrenti e interamente riconducibili al mantenimento in vita delle aziende in vista del ripristino delle normali condizioni di operatività. In tale ottica, si propone la capitalizzazione di tali costi e il loro successivo ammortamento, così come già avviene per gli “oneri pluriennali” che hanno un’utilità futura. In questo modo si ridurrebbe l’entità della perdita in conto economico.

In secondo luogo, va prevista la sospensione temporanea dei principi contabili relativi alla determinazione delle perdite di valore delle immobilizzazioni materiali, immateriali (per esempio, impairment test) e finanziarie (per esempio, fair value e mark-to-market). I principi contabili trovano ragione nelle “condizioni di normale funzionamento”. Data la straordinarietà delle circostanze che oggi viviamo, una sospensione andrebbe nella direzione di offrire una rappresentazione veritiera – e non alterata dalla crisi – delle condizioni di funzionamento delle imprese.

Le proposte potrebbero avere ricadute anche sulla definizione di politiche di sostegno economico alle aziende, fornendo un meccanismo di quantificazione degli oneri a loro carico e la possibilità di diluire gli interventi pubblici in un arco temporale pluriennale (si veda il punto 1). Prevedere il solo supporto attraverso un accesso facilitato al debito bancario – o dilazioni di pagamento – significa mettere a repentaglio le condizioni di funzionamento futuro.

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In sintesi, l’esperienza della crisi del 2008 suggerisce che fin dall’approvazione dei bilanci 2019 – ancora in corso – e in misura maggiore al momento dell’approvazione dei bilanci 2020 (circa il 7 per cento delle società li approva entro giugno) le aziende, per allinearsi al dettato normativo, potrebbero essere costrette a cessare l’attività in conseguenza delle perdite subite o ad accettare soci e capitali di dubbia provenienza, oppure a manipolare pesantemente il proprio bilancio.

* Oltre ad Antonio Parbonetti e Amedeo Pugliese, sono autori di questi articolo Giacomo Boesso, Fabrizio Cerbioni, Michele Fabrizi, Francesco Favotto, Andrea Menini, Emilio Passetti e Silvia Pilonato.

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Così il blocco delle attività ha ridotto il rischio contagio

  1. Stefano Fiorini

    La proposta non tiene conto del fatto che esistono legislazioni in cui è consentito il funzionamento con un patrimonio netto negativo laddove l’impresa è dotata di capacità di credito da terzi e che, le banche o i fornitori svolgeranno le loro analisi per determinare il fido del cliente su bilanci e reportistica normalizzata andando a costruire gli indicatori con tutte le informazioni disponibili (sulla traccia di quello che era il “bilancio aperto” proposto dal prof. P. Capaldo nel 1980 circa). Quindi senza cassa e capacità di credito non c’è misura del patrimonio netto (fittizia”) che serva. Come risolvere, inoltre il tema delle società che non hanno capacità di ammortamento degli oneri pluriennali capitalizzati? La sopravvivenza di chi non aveva neanche in precedenza una economicità della gestione perchè dovrebbe essere “garantita”? e questo non falserebbe la concorrenza? E che dire dell’affidamento dei terzi laddove la beneficiaria non fosse comunque in grado di riprendersi? Chi pagherebbe?

    • Oscar Bazzotti

      Se il problema sta negli effetti che un risultato d’esercizio significativamente negativo produce ai fini della consistenza patrimoniale dell’impresa, a me sembra più logico non stravolgere le regole tecniche, cioè i principi contabili, ma intervenire piuttosto sulle norme civilistiche generali e speciali. Ad esempio, sterilizzando le perdite 2019 e 2020 ai fini degli articoli 2446 e 2447 del Codice civile ed anche del Codice della crisi d’impresa. Tali interventi, peraltro, sono già previsti negli articoli 5 e 6 del decreto legge n. 23/2020 ma si potrebbe anche fare di più; si potrebbero iscrivere le perdite 2019 e 2020 da COVID (e solo quelle) in una apposita riserva negativa e disporre che, per un periodo di 5 anni, tale riserva non sia computata nel calcolo del patrimonio netto per gli scopi previsti dal 2446 e 2447 c.c. e dal Codice della crisi d’impresa. In questo modo, si curerebbero le conseguenze contabili della pandemia ma senza snaturare il trattamento clinico, pardon contabile, della stessa.

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